mercoledì 27 agosto 2008

Napoletanità o scuorno


L’incisivo articolo di Marco Lombardi a commento del libro di Durante, “Scuorno” riapre un dibattito su uno dei luoghi comuni più resistenti, quel ripetuto e mai sepolto richiamo alla “napoletanità”. Con la umiltà dell’artigiano della riflessione ho tentato negli anni di individuare i caratteri distintivi di questo troppe volte abusato concetto, che come viene detto in maniera egregia, “ha lasciato scorrere fiumi di inchiostro”. E’davvero possibile astrarre dai comportamenti dell’uomo medio che abita questa città un compendio di connotati caratteristici dell’anima partenopea? C’è o c’è stato un consolidarsi di caratteri distintivi idonei ad evidenziare in modo non equivoco l’appartenenza allo spirito locale? Il napoletano è il filosofo che riesce a darsi spiegazione di tutto, capace di accettare con rassegnazione che passi “la nuttata”, istintivamente portato all’ironia, ricco di fantasia e incapace di autentica cattiveria? Ovvero il furbo, mai disposto ad accettare una regola di civiltà, sempre pronto a cercare scorciatoie e sotterfugi per il tornaconto proprio, con una morale a doppia faccia, quella personale e quella che dovrebbero osservare gli altri? I risultati di una sia pure modestissima ricerca che dura da sessanta anni non mi confortano. La nebulosa della “napoletanità” viene evocata quando torna comoda o fa da corredo a compiaciute rievocazioni di episodi di inosservanza delle regole del vivere civile. La realtà rischia di essere diversa perché frequentare tutti i giorni un caos crescente e spesso maleodorante rende ciascuno irritabile e pronto alla violenza, pur restando condizione irrinunciabile per andare avanti. Chi resiste, per necessità o per tenacia, impara che dovrà pagare prezzi sconosciuti nella maggior parte degli aggregati civili. Fino a perdere persino “o scuorno” , quella sana vergogna che ci dovrebbe far riflettere su tutti i nostri comportamenti scorretti o abnormi.