domenica 23 marzo 2014

Il sofferente immaginario

Capiterà anche a voi, come un po' a tutti, di avere periodi di scarsa intensità. Certo, potrebbe essere colpa della primavera, come ci ricorda una risalente canzone della Goggi, ma  in questo periodo la mia  vena fancazzista prende il sopravvento ed anche il sottovento.
Cerco di fare il meno possibile, sarcasticamente censurato dalle femmine di casa: Elisabetta e gatta Mics.
Evito persino l'amatissimo tennis. O per meglio dire, lo riduco al minimo sindacale. Che per un patito è già tanto.
Per la inesorabile legge del contrappasso, da quel temerario che mi ritrovo ad essere, durante il fine settimana ho aderito all'invito per una gita con amici. Posto fantastico, San Gimignano. Che consiglio a tutti.
Ma che fatica arrivarci dalla mia tana partenopea! Oltre cinque ore di auto sono uno sproposito per un etrusco ormai tarato alle due ore scarse Napoli/Bella. Appena superata quella percorrenza oraria mi vengono, nell'ordine, la scabbia, la dermatite seborroica, il ginocchio della lavandaia, le piaghe da decubito. Insomma divento un sofferente immaginario, assistito dalla paziente e vigile  consorte che, di tempo in tempo, mi chiede se sono molto stanco, se ho sonno, se devo andare nel bagno e così via.
Insomma, chiedo a me stesso, sono lo stesso etrusco che per incontrare una lontana fiamma d'antan altoatesina  fece 24 ore di auto in poco più di due giorni; in cinquecento poi, con le reni che cantavano e qualche spossatezza per aver  tentato di non sfigurare..?
Inutile rifugiarsi nei ricordi quasi centenari. La realtà è questa. Posso anche fingere pesantemente con me stesso e considerarmi ancora in gamba. Semplicemente, non è così.
E penso al povero, si fa per dire, Renzie. Che gira tutta l'Europa nel tentativo di convincere il suo sfiduciatissimo uditorio che l'Italia è super, che riuscirà a centrare tutti bersagli che si è proposto con la sua mirabile azione di governo.
Lo stanno a sentire e poi, appena fuori di vista, fanno gesti d'intesa tra di loro e commentano: ci è capitato pure l'italiano esaltato, dopo quello arrapato, l'ingessato e quello che aveva ingoiato una stampella.
Ma uno normale ci sarà in quella terra? 

giovedì 13 marzo 2014

giustizia ai tempi della miseria

Tanto per farmi del male, ma sul serio, ho dedicato un pomeriggio ad un convegno sul tema "quale giustizia nella stagione dell'emergenza". Si avete sentito bene, una specie di amore ai tempi del colera, solo che al centro dell'attenzione c'era il pianeta giustizia alle prese con le arcinote ristrettezze del bilancio statale.
I tre relatori hanno affrontato l'argomento da tutti i lati, dicendone di ogni colore sulle infinite lacune, carenze incongruenze, schizofrenie legislative, sciorinando numeri spaventosi sullo stato comatoso dei nostri tribunali. Una mole di lavoro da incubo, organici giudiziari ridotti, organici amministrativi in progressiva estinzione  per il blocco dei concorsi, impossibilità di reperire i materiali di uso normale, incompatibilità tra le varie piattaforme  informatiche proposte per il decollo del processo telematico.
Tra le righe, i tre concludevano scorati che piuttosto che far ricorso a corti ed avvocati è preferibile, nell'ordine, andare da un esorcista, dal vescovo di zona, dal boss rionale in veste di conciliatore, ovvero più saggiamente rinunciare a qualsiasi costoso proposito di far valere la tutela dei propri diritti e non pensarci più!
Atmosfera ed umori da due novembre piovoso, magari con i calli doloranti e le scarpe di tela.
Starete pensando che frequento i soliti ritrovi da ex sessantottini nostalgici e contestatori, con qualche inserimento di pentastellati, che fa tanto fino e di tendenza. Oppure che per un irrefrenabile rigurgito di spirito anarchico-nazional popolare sia andato ad un incontro dei Fratelli d'Italia, magari per vedere se la Meloni è più alta di Brunetta.
Niente di tutto questo, maligni detrattori del povero etrusco.
Contesto borghese, da circolo sportivo e gli interventi sulle tristi e meschine sorti del fenomeno giustizia erano affidati al presidente della corte d'appello distrettuale, al presidente del locale ordine forense, ad un magistrato in servizio presso la corte di cassazione.
E da loro è venuto un serrato intreccio di denunce, lamentele e querimonie sparse su organici inesistenti, fondi tagliati, minchiate ministeriali a raffica sulle varie procedure.
La domanda veniva spontanea: ma voi, che non state ai vostri posti per smacchiare i bersaniani giaguari bensì per rivestire ruoli e funzioni apicali, che cosa fate per dire basta e per restituire un minimo di fiducia ai poveri cittadini?
La domanda non è mai arrivata. Si era fatta l'ora del rinfresco e che cosa c'è di meglio di un prosecchino e di un cartoccio di fritturine appena spadellate per affogare le malinconie?

sabato 8 marzo 2014

la santa della fertilità

Comprare il giornale a via Toledo, da don Antonio,  era diventata in trenta anni una consuetudine piacevole. Anche l'occasione per uno scambio di opinioni sul tempo o sui tanti fatti della città ovvero sugli accadimenti dei Quartieri Spagnoli di Napoli. Il piccolo giornalaio dagli occhi vivi ha fatto sempre parlare me. Lui si riservava piccole sortite di buon senso, specialmente se l'argomento erano le turbolenze del suo quartiere. Lui è nato ed è vissuto in quella zona così speciale. Dove si incontrano e si annusano due pezzi della città. La zona degli affari e dei grandi studi professionali, innestata nel cuore plebeo della capitale partenopea. Ed il saggio edicolante ha visto e sa tante cose di quelle accadute negli ultimi sessanta anni. Ma spesso il suo commento è stato soltanto un sorriso e quando proprio è in vena particolare si lascia andare ad una battuta.
Così due giorni fa non ha battuto ciglio davanti alla mia domanda sul perché di tanta folla in quel vicolo Tre Re. Sistemando una pila di giornali ha borbottato: "signò, so femmene che non riescieno a restà prene e vanno adda santarella". Chella, o sapite, è l'unica santa napoletana.."
Mi sono così ricordato del piccolo palazzo riservato al culto di una piccola suora napoletana elevata agli onori degli altari. Sulla sedia di legno sulla quale la religiosa ha vissuto gli ultimi istanti di vita si è andata formando una piccola leggenda. Che vuole che la donna in età fertile che si sieda su quella paglia usurata resti incinta di li a poco.
La folla era di quelle da brivido, riempiendo il piccolo vicolo, senza lasciare spazi vuoti.
Ricordo l'interno per averlo visitato in un'occasione:  spartano, come si conviene alla piccola dimora di una suoricina, ma tenuto pulito con grande cura. E con tanti ceri e lumini.
Per contro il business è fiorente, grazie a tre o quattro avveduti e svelti soggetti che si sono attribuiti ruoli diversi, ma molto remunerativi, nel promuovere il culto e la fama della suorina. Segretario della Fondazione, coordinatrice delle attività di culto, tesoriera del fondo.
"Don Antò, ma davvero ci credono?"
"Signò, o munno è comme uno so fa 'ncapa" Il mondo ognuno se lo crea a proprio modo.
Già, pensavo andando via. Perché sorprendersi. Piuttosto che andare in un freddo consultorio ospedaliero quelle donne, spesso accompagnate dai partners o dalle mamme, vanno a spendere qualche centinaio di euro di speranza da suor Maria Francesca. Che, è bene non dimenticarlo, è l'unica "santa" nata a Napoli.
Mentre lascio alle riflessioni dei miei attenti lettori la spiegazione sul perché di una così isolata presenza partenopea nella miriade di santi e beati, mi fa piacere riferire che la piccola economia della zona si giova del culto. Tante pizze fritte, molti dolci nella vicina pasticceria dai profumi allettanti, frutta, vino sfuso, verdura e carne per la gioia dei rivenditori della zona.
L'attesa spesso è lunga e volete non approfittare dei tempi morti per una spesa rapida?
E poi quei cibi hanno un sapore speciale grazie alla benedizione della santarella e chi sa che  non servano anche loro a favorire quella tanto desiderata "dolce attesa".

lunedì 3 marzo 2014

A caccia di errori

Dal 28 febbraio al 2 marzo Bologna ha dedicato una mostra evento dedicata all'errore. Si, proprio agli errori che riguardano tutto il mondo dell'arte, della scienza, della pubblicistica e della comunicazione, anche di quella personale. Lo sbaglio è dietro l'angolo, pronto a manifestarsi in tutta la sua evidenza. Vuole ricordare a ciascun essere che è possibile fare qualche fesseria. Inavvertitamente, ovvero per ignoranza, per superficialità, per la fretta che ci divora tutti, per eccesso di sicurezza.
Così la scritta stradale che non riporta un categorico "STOP", ma un ben più misterioso "STPO", il titolo del giornale con una parola in posizione ambigua che disperde il significato di quel richiamo di stampa. O più semplici strafalcioni contenuti negli annunci scritti a penna nei negozi delle nostre città, come "paste fresce" oppure in annunci tipo "Ingresso riservato al personale destinato all'ingresso" (?). E tenero e gustoso lo sbaglio dell' amante che lascia un messaggio stradale all'amata.
Ai tempi del ginnasio avevo una orribile e sadica professoressa di lettere. Che martirizzava 30 fanciullini dell'età media di 13/14 anni con sevizie al limite di ogni tollerabilità. Alta non più di un metro e 50 imponeva una sua regola aspra e senza sorriso a noi poveri malcapitati allievi. Che in misura maggiore o minore la detestavamo con tutto il cuore, augurandole  ogni possibile disgrazia o accidente. Cuori evidentemente generosi ed incapaci di volere il male, perché a quanto a me noto, l'arpia ha vissuto circa 90 anni.
Unico aspetto che avvicinava questa Idra di Lerna al resto degli uomini era una sua personale raccolta di strafalcioni a mezzo stampa collezionati nel tempo che in un'occasione, alla fine del V ginnasio, ci mostrò. Era compiaciuta di quegli errori fatti non da sprovveduti ginnasiali, bensì da giornalisti e titolisti della carta stampata. E così partiva nella sua denuncia verso l'ignoranza, i raccomandati dei giornali, il mondo di fesserie che, nonostante i suoi sforzi, la circondava.
In qualche modo anche l'arcigna prof aveva una sua quota di ragione, ma  soprattutto il suo metodo didattico, ancorché mortificante ed inesorabile, produceva positivi effetti. Ciascuno di noi fu costretto ad imparare greco e latino in modo almeno accettabile,  tanto da vivere di rendita nei successivi anni del liceo.
Arrendiamoci allora alla possibilità di sbagliare. Una resa incondizionata che invece di avere il sapore della disfatta abbia il sapore della partecipazione al mondo dei vivi.