giovedì 25 luglio 2013

Sarà il caldo?

Trafelati, assaliti dall'afa, stanchi quanto basta, rimbambiti oltre misura, ci prepariamo ad andare in ferie. Ma come? Con la crisi che c'è in giro, parli di vacanze? Credi di essere un parlamentare o una velina fidanzata con calciatore? Oppure hai rotto un improbabile salvadanaio che conservavi per i tempi difficili?
Niente di tutto questo, sono un paria, senza ambizioni di laticlavio, mai peraltro nutrite o manifestate. Addirittura felice di non avere aspirazioni di eccellenza o manie di grandezza. Quadro mentale che corrisponde esattamente ad un soggetto della mia generazione, cresciuto in un clima ideale di apparente ricostruzione. Spazi per la solidarietà, movimenti di massa e spinte verso l'uguaglianza, quanto meno per la parità dei diritti.
Le mie vacanze, almeno per la gran parte, le trascorrerò nel mio paese in Lucania. O meglio, per non incorrere negli acuminatissimi strali di mia moglie Elisabetta, nel paese di elezione,  o come dice lei, con sarcastico accento,  il "paesello". Già perché l'etrusco e' nato a Napoli, fatto che considero neutro, senza enfasi o vergogna. Perché nascere, come mi hanno insegnato e' solo un accidente. Si può nascere dal lato comodo - il mio caso - oppure da quello del bisogno. Questa considerazione mi ha accompagnato tutta la vita, con la colonna sonora delle parole di mio padre che mi ricordava come essere serviti o servire fosse solo legato al caso e raramente ai meriti.
Al paesello, mi. chiedono in tanti, che fai? Rispondo variamente, ma vorrei poter liberamente dire: niente o quasi niente. Chissà in quanti riusciranno a capire il senso profondo del mio essere pigro e fannullone. Costretto dalla vita ad agitarmi senza sosta, a vivere in  una città che fa del caos la sua regola indiscussa. 
Così a Bella, il paesello, cerco di fare il meno possibile. Certo leggo, quotidiani e libri accantonati per l'occasione, partecipo ad una contenutissima vita sociale locale. Amo disperatamente trascorrere ore sulle panchine del borgo paesano e poche volte ci riesco. Arriva sempre qualcuno che vuole fare conversazione sulla politica nazionale e paesana. È non posso certo allontanarli, ma il mio desiderio resta quello di sentire la mia musica dalle cuffiette e di completare le pagine che ho davanti. O anche quello di farmela da solo la musica o con qualche fidato compagno di melodia.
Certo potrei andare a Capri dove  mia moglie ha una casa che più centrale non si può. Via Camerelle, via dello shopping e della mondanità. Concetti che stanno agli antipodi con il mio modo di intendere la vita. 
Preferisco i miei amici semplici del paese con i quali talvolta non è semplice intendersi. Su qualche argomento, e' vero, dissentiamo. Ma non in quella comune visione di certi rapporti fondamentali.
Non sono ancora partito e già pregusto il fresco delle mie serate lucane. Chi volesse venirmi a trovare sia il benvenuto. Pasti e bevande semplici, ma condivisi all'insegna della sincerità. E non è poco. Arrivederci.

lunedì 22 luglio 2013

or tu..sei Maresca - sei un avvocato se..

Sul mio amato facebook mi sono imbattuto - a completa mia insaputa - in un sito che offre ogni giorno spunti di riflessione per le tante vicende che mette in campo. Si chiama "sei un avvocato se..." ed è frequentato in prevalenza da giovani colleghi che con pudore e tanta freschezza pongono domande sui molti dubbi professionali legati all'inesperienza. 
Una casistica completa ed incisiva di situazioni umane che andrebbe esaminata dai Ministro della Giustizia se davvero volesse capire  quali siano i reali problemi della categoria. 
Dal momento della scelta,  a seconda dei casi volontaria o necessitata, del ruolo di avvocato, alle tante vicissitudini e difficoltà personali e professionali che si pongono  ad un soggetto che abbia imboccato quel difficile percorso lavorativo.
Mamme in difficoltà perché non sanno come provvedere alle necessità di figli piccoli, giovanotti di belle speranze e poche lettere che provano ad imporre il proprio entusiasmo, mestieranti che se la cavano con sistemi empirici e talvolta indovinati, tromboni falsamente magniloquenti che si parlano addosso invocando etiche professionali e scelte di parte politica.
C'è veramente tanto da apprendere nel labirinto affollatissimo dell'avvocatura italiana. Non mancano errori formali, prontamente rilevati dai polemisti d'occasione che fanno partire filippiche sui criteri di selezione.
Che parliamoci chiaro, non esistono quasi più. Le prove d'accesso, nonostante il numero esorbitante di avvocati già  operanti in Italia, non hanno quelle caratteristiche di severità o complessità che servirebbero quanto meno a far un po' di spazio a quelli disposti ad impegnarsi e studiare con impegno.
Un giovane neo laureato in giurisprudenza  dei tempi nostri non ha altra strada da tentare che quella della libera professione. Posti da lavoratore dipendente non ce ne sono più o sono così pochi - spesso già assegnati - da scoraggiare anche il più studioso dei neo-dottori. E allora si parte con la borsa regalata dal padrino della prima comunione e si affronta il pelago infinito di questo meraviglioso mestiere.
Incertezze, timidezze e timore di sbagliare, il tutto spesso mascherato da una apparente sicurezza che sfocia talvolta nell'aggressività nei confronti del mondo esterno.
Resta un lavoro fantastico che se si potesse fare con i tempi ed i metodi corretti riserverebbe ulteriori positive sorprese quanto a maturazione del pensiero e del comportamento.
Forza giovani avvocati, non lasciatevi intimorire dai tromboni e dalle loro presunte capacità e conoscenze. Spesso ne sanno meno di voi, ma il pagliettume riesce sempre a trovare l'espediente o l'escamotage dialettico che vi faranno sentire in colpa.
Fregatevene e andate avanti per la vostra strada, coltivando il dubbio come massimo fiore del pensiero umano.
Mi raccontavano gli anziani un episodio accaduto un tribunale del Sud. L' avvocato d'ufficio era impegnato nella difesa di un ladro, preso in flagrante reato e portato presso i Carabinieri dove aveva inscenato una strenua resistenza alla forza pubblica.
Al processo, il difensore del soggetto accusato di furto, tal avvocato Maresca, si impegnava da ore in una perorazione accorata sulle cause sociali che avevano portato il suo assistito ai margini della società e lo facevano vivere di espedienti. Accenti lirici che risuonavano per l'aula di giustizia da oltre tre ore affinché la corte potesse trovare nei gesti dell'imputato una giustificazione sociologica.
Il povero PM, che di fronte ad un caso di flagranza di reato non si era nemmeno letto le carte, si sentì in dovere di articolare una sia pur minima requisitoria. Davvero minima, perché espletata la formula di rito di saluto alla Corte così si rivolse all'accaldatissimo e stremato avvocato difensore: "or, tu sei Maresca, quindi: esca del mar. Non ti dispiaccia il mio pesce pigliar.." 

lunedì 15 luglio 2013

Il cavalier Mennona

Il testo che riproduco è un  libero adattamento di un brano scritto da mio nonno, Angelo Gallo, che  racconta del suo debutto in magistratura presso il Tribunale di Firenze. Sono consapevole di aver fatto violenza al testo originale, assai più incisivo. Ma lo stesso era pieno di riferimenti familiari che ho preferito evitare.
 
Avevo da poco compiuto i ventuno anni. Quasi tutti spesi a studiare in modo forsennato, pur di levarmi da quella cloaca di seminario dove ero stato costretto a studiare. Non c'è da sorprendersi e non dimenticare che parliamo dell'ottocento, anche se alla fine. Nell'Italia appena unificata le poche scuole pubbliche importanti erano nelle grandi città. Nella zona dove vivevo non c'era altro che il seminario di Muro Lucano e così fui costretto a studiare con una zimarra addosso per cinque anni di ginnasio e liceo classico. Tappe bruciate, a diciassette anni ero diplomato, a ventuno laureato in legge. Primo concorso in magistratura affrontato e vinto, freschissimo di buoni studi. Così  nel 1901 - non avevo compiuto ancora ventiquattro anni- mi presentai al Tribunale di Firenze con la mia faccia da ragazzino, appena irrigidita da un paio di baffi neri. In cancelleria ci volle mezza giornata a far accettare dal cavalier Mennona, dirigente di quell'ufficio, che quello sbarbato davanti a lui era il nuovo "uditore giudiziario" assegnato al "suo" Tribunale.
Guardava e riguardava il decreto regio di nomina, i miei documenti, poi mi scrutava per carpire  la benché minima esitazione che potesse svelare dove fosse l'inganno. Niente, era tutto maledettamente in ordine ed io lo guardavo con lo stesso rassegnato sguardo di sopportazione che avevo riservato per tanti anni agli squallidi preti del seminario. E per allentare l'atmosfera tesa mi permisi una osservazione sul decoro di quel palazzo giudiziario. Mennona sembrò indispettito dal commento. Come mi permettevo giudizi sul suo palazzo? Ma chi credevo di essere, il presidente della Corte d'Appello?
Gelidamente commentò che rientrava tra le sue responsabilità quella della cura degli ambienti. Senza altre aggiunte o concessioni di confidenza al presuntuoso che aveva di fronte.
Da quando mi ero presentato al suo sguardo il cavaliere non faceva altro che pensare a suo figlio, che all'età di trentotto anni, laureato da dieci, non era ancora riuscito a vincere quel concorso, pur avendoci provato tre volte. L'esito dell'ultimo tentativo era ancora sconosciuto, ma il padre assicurava di essersi  mosso per tempo presso gli amici del Ministero che gli avevano promesso un consistente sostegno.
E voleva pure vedere che gli negassero questo favore! Lui, dirigente di cancelleria da ventitré anni, burocrate di livello superiore, che aveva cominciato come aiuto messo notificatore dei Regi Ufficiali giudiziari.
Ma guardate un poco, pensava, un terroncello di nemmeno ventiquattro anni, che gli si presentava davanti e poteva persino dargli ordini. E poi, quell'aria sorniona da sfottitore.
Io chiesi se fosse tutto in ordine e se potevo incontrare il giudice anziano al quale ero stato assegnato come uditore. Mennona capì che quello era l'ultimo lembo di potere che potesse esercitare su di me. E fece seguito con una grave faccia di circostanza. ". Per il Giudice dovrà attendere perché è impegnatissimo". Intanto se vuole le presento il personale subalterno. Mi segua, così potranno conoscerla tutti. Introdotto dal cavaliere con faccia da quaresima conobbi tutti gli uscieri e cancellieri del Tribunale. Un giro che non finiva mai, ma che mi dette il modo di capire come fosse grande quel palazzo e quanta gente ci lavorasse all'interno.
Dopo la cavalcata per le scale fui presentato al Presidente del Tribunale ed a tutti i giudici presenti. Da quei contatti ricevetti  sensazioni alternate di parrucconi sussiegosi e di tanta gente in gamba. Mi colpì più di tutti, e fu l'inizio di una lunga amicizia, un giovane giudice di Grosseto. Parlava chiaro e non era abituato a giri di parole nel definire le persone. Se "era un bischero" potevi metterci la mano sopra e se era uno giusto altrettanto.
Faceva quasi il verso al becero vociare di Mennona, omarino conosciuto per la sua meschinità, invidioso e borioso per quanto possibile. "Il figlio" aggiungeva "un coglione autentico che intanto riesce a vivere perché il padre è capace di procurargli incarichi in qualche causa minore. Diversamente sarebbe davanti ad una chiesa per quanto  poco ne sa di legge e di processi.
Davanti a te stava per schiantarsi per la bile. Un giovincello del sud più remoto che riesce a vincere il concorso al primo tentativo? Ti avrà attribuito legami con belzebù, altrimenti come avresti potuto fare a  riuscire nell'impresa?"
Fu comunque un bel periodo. Trovai casa sulle colline di San Miniato, nello stesso caseggiato dove abitava il collega di Grosseto. E tra pandette e scartoffie alternate alle giovanili passioni per donne e divertimenti vari, trascorsi il periodo più spensierato della mia vita. E aggiungo che me lo meritavo per davvero. Dopo tanti anni di sacrifici e di rinunce.

mercoledì 10 luglio 2013

Vendono tutto

Nei tempi morti di una giornata spesso convulsa mi faccio la mia "dose" di televisione. Avete presente la programmazione dopo le 14? C'è la saga della tv generalista, falsamente compassionevole, inciuciona, ipocrita da far spavento, con interlocutori da viaggio in metro o da fila alla posta. Per sfuggire a questo sconcio del gusto e della decenza preferisco le televendite, un genere a torto negletto che presenta quotidianamente uno spaccato rappresentativo di questa nostra società contemporanea. Il mio debutto fu suggerito da una piccola passione per gli orologi anni 50' e 60'. Cercavo un vecchio Zenith di quel modello che avevo ricevuto per la prima comunione e che tra traslochi e spostamenti non trovavo più. Così è partita l'avventura tra mercanti e cialtroni. Più rappresentati i secondi, che si presentano adottando tecniche di vendita differenziate, ma tutte evidentemente fruttuose per i guadagni dei venditori. Il personaggio a mio avviso più rilevante di questo panorama di vendite televisive si chiama Luciano. Napoletano, grossier al limite dell'immaginabile, ha creato lo stile dell'aggressione continua allo spettatore. Che viene offeso in ogni modo possibile con un"escalation di epiteti che vanno dall'incompetente, al morto di fame, allo stupido. La colpa di questo ignoto telespettatore sta nel non comprare gli orologi di marca infima che l'imbonitore, nemico giurato dei congiuntivi e della sintassi, propone a prezzi convenienti solo per lui. Partendo da cifre assurde, tra risate di disprezzo per il pubblico, arriva a 20 o 30 euro, valutazioni comunque esagerate per le autentiche bufale che vende, tutte disponibili a 5/6 euro presso bancarelle di strada. Ma il nostro ha ormai le sue caratteristiche e non smette le sue intemerate contro questa gente meschina, incapace di apprezzare le occasioni impagabili che lui propone. Ogni pomeriggio passa due ore a fingere di irritarsi per l'incomprensione che lo circonda, lui, arcangelo vendicatore della patacca Made in China. In alternativa allo sgrammaticato orologiaio partenopeo una signora, forse  toscana, che astutamente propone gioie e grazie; la signora mostra un davanzale degno di rispetto dove adagia collane, punti luce ed altri gioielli, valorizzati dal supporto naturale della dama. È  consapevole.  del richiamo di quella sua dotazione mammaria, tanto da scherzarci sopra, con ammiccamenti e frasi a doppio senso. La merce proposta e' solo modesta, ma il valore aggiunto dell'avvenenza della venditrice dove lo mettiamo?  Sono convinto che il successo della ditta dipenda in larga misura dalle misure della vendeuse che soffre nei periodi freddi, ma che appena arrivano i primi caldi si scatena, mostrando la sua parte migliore. Una chicca per gli appassionati del settore. Concludo la rassegna con sincera ammirazione per le presentatrici di una rete riservata solo allo shopping. Queste signore riescono a far diventare imperdibili ignobili anelli o collane di acciaio. Sciorinando aggettivi accattivanti, blandendo le possibili acquirenti con astuzie femminili, dichiarando che senza quelle fetenzie in vendita non ci sarà eleganza  o fascino e che le possibilità seduttive aumenteranno in modo esponenziale una volta in possesso dell'oggetto. Vedete un poco che si deve fare per campare!




giovedì 4 luglio 2013

quanto vale il tuo blog ?

Un amico che ha la bontà di seguire le peripezie etrusche mi ha chiarito le idee a proposito di un quesito che mi ponevo in un post precedente. Il suo ragionamento: etrusco caro, ti sorprendi che anche la "terra etrusca" possa avere una quotazione commerciale e ti chiedi come si arrivi a definire un valore per un contenitore di modesti scritti. 
Si vede che non sei adeguato ai tempi e ti sfugge la sola logica che sostiene un prodotto commerciale. Quella del profitto. Che nel tuo caso proviene dalla visibilità del tuo messaggio. Avrai notato che il tuo blog è corredato da una voce, "statistiche". Raffigura i contatti che raggiunge il tuo blog, il numero di persone che si perde per le scale etrusche. Nel tuo caso circa 300 persone al mese ti leggono. Ecco da dove nasce il valore figurativo del tuo blog, dai potenziali fruitori di messaggi pubblicitari inseriti nel tuo spazio.
Logica impeccabile, pienamente rispondente alla lucida mente dell'amico. E devo, colpevolmente, aggiungere che non era impossibile arrivarci da soli. Ma gli amici capaci a questo servono. Con l'umiltà del cercatore che chiede e per questo ottiene, si riesce ad arrivare al "quia" delle cose. 
Quest'ultima riflessione mi convince particolarmente e mi fa rimpiangere  tempi andati,  forse più trasparenti. Nei quali i giovani o chiunque volesse chiarirsi le idee sulle vicende della vita, attingevano a piene mani alla saggezza degli anziani. Senza chiedersi se questi avessero praticato studi alti o libri elevati. La parola della esperienza  era un viatico molto utile a chi affrontava le cose nuove, sconosciute. Talvolta era necessario interpretare le poche parole biascicate, accompagnate da un proverbio o, nel migliore dei casi, corredate da un aneddoto.
Ricordo come il mio vicino di bosco, un preziosissimo signore anziano con poca scuola ma con sapienza infinita, tentasse di spiegare ai miei giovani anni dove fosse meglio costruire la casetta che avevo in mente. E  il perché di questa scelta, originata dallo spirare dei venti che avrebbe risolto naturalmente e senza interventi umani il problema dell'umidità.
E sempre parole di una persona semplice mi ispirarono una modesta piantagione di amarene che rappresenta ora tutto il mio vanto di "proprietario terriero".
Patrimoni preziosi di cui ho tenuto conto. Il tutto paragonato a certe esternazioni di persone giovani, contatti di Facebook, estremamente sicure di affermare cose giuste ed intelligenti. Che a mio avviso sono minchiate straordinarie, diffuse ai venti senza nemmeno un minimo tentativo di autocontrollo: "ma che sto scrivendo?"
Niente, certezze in parte proprie e in parte derivate da una formazione familiare rispettabile, ma completamente fuori testa.

lunedì 1 luglio 2013

eterno imperialismo

Nel novembre del 2008 al momento della prima elezione di Obama, dissentendo da un amico entusiasta, avanzai caute perplessità  sulle possibilità che un presidente degli USA potesse effettivamente rappresentare un elemento di speranza per gli spiriti liberi del mondo.
Un Paese che crede di  modellare a propria immagine il resto del mondo esportando i concetti nazionali di realtà, democrazia e verità deve essere preso per quello che è. E così i suoi governanti che per quanto possano dare mostra di  aperture mentali e disponibilità ad interpretare i tempi resteranno soltanto i cani guardiani della porta dell'imperialismo.
Le recenti rivelazioni sui sistemi di controllo, rigorosi e continui, posti in essere da una delle tante agenzie statali per monitorare opinioni e fermenti negli altri Paesi ci fornisce ulteriore conferma sul fatto che chiunque sia alla guida temporanea di quella potenza non farà altro che consolidare il modello di predominio esercitato finora. Con buona pace delle speranze dei tanti spiriti liberali di casa nostra che vedevano in un giovane nero, smarcatosi dalla condizione di emarginato, una credibile sponda di democrazia reale. 
Che cosa è effettivamente cambiato? Guerre ovunque, dirette o attraverso mercenari, ingerenza nei governi di tutto il mondo, spie e controlli informatici nell'etere e sul territorio. Ulteriore perfezionamento  della difesa degli interessi economico/militari nazionali o delle grandi corporazioni che rappresentano la vera spina dorsale del sistema a stelle e strisce.  
Questo il succinto vademecum di qualsiasi leader di quella nazione. Che sia espressione delle grandi dinastie terriere del sud o che venga per avventura da altra provenienza, conservatore oppure democratico, il capo della Casa bianca avrà poche ma formidabili certezze. E se dovesse dimostrare la pur minima deviazione da quei percorsi tracciati si troverà il metodo per convincerlo.
O eliminandolo fisicamente o facendogli ricordare  con ricatti di ogni tipo e concrete minacce che occupa quel posto perché il lavoro sporco lo deve pure fare qualcuno. Ma che non credesse di poter innovare o cambiare lo stato di cose che resta fissato dagli esempi dei padri pellegrini. Che con la spontaneità dei conquistatori posero le basi violente ed immodificabili dell'intero sistema nazionale. Una breve vacanza, anche di pochi giorni, in quelle terre vi convincerà dell'atmosfera che regna e che è passata ancora integra nello spirito nazionale, realizzando persino il miracolo di fare diventare feroci kapò anche quelli nati  in condizione disagiata.
Ora poi che ognuno di noi è diventato rintracciabile grazie alle miracolose modernerie che ci portiamo in tasca o in borsa, quel progetto di controllo e dominio totale diventa di sempre più agevole attuazione.
Presuntuosamente, persino l'etrusco si sta convincendo che i suoi follower di terre lontane non siano altro che  occhiuti indagatori, diretti o da call center, per sapere se trami contro l'ordine dello zio Sam. Come ho già detto in altra occasione, state tranquilli. Non tramo e soprattutto non ho il potere di influenzare nessuno. Non vi amo, questo è certo. Ma questo fatto non scalfirà in alcun modo, sia pur minimo, il vostro imperialismo.