martedì 18 dicembre 2012

test preselettivo

Ha riscosso un gran successo di partecipanti il "concorsone" del MIUR, prova preselettiva per concorsi a cattedre. Migliaia i partecipanti in Italia, con medie di ammessi che superano il trenta per cento. Bisognava rispondere a quiz  "multiplechoice"  di carattere vario, informatica, letteratura, grammatica, principi di logica.
La qualità espressiva e la conoscenza della lingua italiana hanno ancora una volta fatto selezione, oltre alla qualità della formazione di base ricevuta. Risultano ammessi così i candidati toscani al 44% circa, seguiti da lombardi, piemontesi e veneti. In fondo alla graduatoria - e come ti sbagli - abruzzesi, calabresi, lucani e campani. con medie vicine al 20% di ammessi.
Sono dati, ma avranno pure un significato e la loro lettura ci potrà indurre a trarre qualche riflessione.
Intanto che  nelle regioni  in testa come numero di ammessi si parla un italiano migliore. E che la capacità di leggere il testo delle domande avrà aiutato i concorrenti nella formulazione delle risposte. Personalmente ho esperienza di tanti giovani della mia città che conoscono quasi esclusivamente un italiano "basico", con poca capacità di trovare sinonimi e perifrasi. E che al solo uso di parole un poco meno conosciute sbiancano in volto, quasi come colpiti da paralisi. 
Le generazioni passate, specie quelle che erano abituate allo studio del latino, non avevano troppe difficoltà a trarre un'etimologia e qualche assonanza. 
Ma oggi? Sono tempi che 42 significa "per te", desumendo simboli e lingua dalla messaggistica dei cellulari. E quindi che parliamo a fare di etimo e di radici linguistiche?
Altra deduzione, ahi noi, inevitabile è quella di dover riconoscere che in alcune aree del Paese venga impartita un'istruzione di base di livello superiore o quanto meno accettabile ed idonea ad affrontare prove come quelle proposte dal MIUR. 
Tralascio le tante polemiche dei precari che hanno fortemente criticato la loro equiparazione ai tanti nuovi arrivati alle prove del concorsone. Mi auguro di cuore che la maggior parte di loro riesca a superare i test e che si vedano i riconosciuti i sacrifici passati. Senza dimenticare che è una guerra tra  miseri.. Proprio mentre l'ultimo farabutto incapace che va in pensione in una grande azienda privata o di stato riesce ad arraffare ancora milioni e privilegi. Alla faccia degli oltre centomila concorrenti che hanno affrontato disagi e freddo per assicurarsi il pane ed una minuta fettina di companatico.

venerdì 7 dicembre 2012

nano ad orologeria

Dite la verità, vi stavate annoiando con le facce cupe dei ministri tecnici? Ecco che magicamente è finita la quaresima, suonate le campane, levate i panni viola dai santi, stappate il vino migliore. Per fortuna Silvio c'è e non si dimentica di nessuno di noi. Torna ad occupare la scena, dopo una finta uscita, ricordando agli allegri buontemponi della sua "banda dei disonesti" che il "paron" è sempre lui e  che se tira giù la corda cadono tutti i burattini che in questi anni si sono abbarbicati alle sue fandonie.
E da capocomico con tempi scenici appropriati sceglie il momento in cui gli italiani sono sempre più incazzati ed in emergenza per il pagamento dei vari balzelli montiani, ultima ma non minore, la famigerata IMU.
Torna lui, quello che aveva eliminato l'ICI, proprio quello che con le sue infinite puttanate in campo economico ha costretto l'Italia a fare appello  a questo ameno complesso di schiattamorti, capitanati da "rigor mortis".
Come sempre, un capolavoro di tempismo e di senso dell'opportunità. Le malelingue vogliono attribuire la sofferta decisione del ritorno alla legge sull'incandidabilità parlamentare, ovvero alla possibile riforma della legge elettorale? Lasciateli parlare, il nano bagonghi ha ben 316 uomini e donne - e di che specie - dalla sua parte, pronti a sacrificarsi ed a votare qualsivoglia cagata: nipote di Mubarak, conferma del porcellum, istituzione del sultanato di Arcore, settimana  nazionale della "patana". Sarà sufficiente che l'unto chiami e correranno i soliti ascari in soccorso.
Con possibilità di vincere ancora: basterà agitare ben prima dell'uso quei  tre o quattro concetti che fanno bene agli italiani: condoni fiscali, abbuoni di tasse, comunisti magna bambini e televisione senza mutande.
Ne volete di più? Restate fiduciosi in attesa e ne vedrete, come sempre, delle belle!

mercoledì 21 novembre 2012

Morum paritas

Dicevano i Romani: " Morum paritas et similitudo animorum amicitiae causa est". Ed è davvero difficile cercare di approfondire il concetto di amicizia in un tempo che sembra aver perso completamente il senso di questa ricerca. Ne vale ancora la pena? Non è più semplice lasciarsi andare nella direzione che sembra suggerire lo stile di vita contemporaneo ed abbandonare ogni ricerca sul valore dell'amicizia. Troppo spesso la contiguità degli interessi, concetto ovviamente transitorio, appare fattore determinante nell'individuare l'amico. Consegue che venuta meno questa contingente prossimità si manifesta il distacco da quei soggetti che abbiamo considerato amici. Pensate alle amicizie di quartiere, a quelle nate tra i banchi di scuola, alla comunella con i colleghi di lavoro. Possono certamente trasformarsi in legami duraturi, così come possono scomparire con il passare degli anni.
A chi di noi non è capitato non riuscire più a dialogare con quelli che hanno diviso un certo tempo assieme a noi? Con il passare dei giorni  in ciascuno si radica una scala valoriale che risente della formazione, delle esperienze, degli incontri di vita, di mutate convinzioni. Ecco che quell'individuo un tempo frequentato  non ci piace  più nella versione contemporanea  e magari non lo cerchiamo nemmeno. Mi pare rappresenti un diritto rivisitare l'ambito delle proprie conoscenze, specialmente quando con l'età avanzata si tende a diventare selettivi. Così parlare lingue diverse, leggere "un diverso libro della vita", diventa elemento di progressiva eliminazione di precedenti frequentazioni. 
Quella parità di costumi invocata dagli antichi diventa così un elemento  di riconoscimento. Similitudine di costumi  da intendersi come paradigma generico di comportamenti omogenei che portano alle scelte di fondo di più persone, avvicinandole. Fino a scoprire che tra di loro c'è un legame di comune sensibilità rivelato da quei comportamenti. 
Il vostro etrusco ha molti amici rimasti tali dopo oltre 50 anni. Così come ha tagliato vecchie consuetudini amicali. Penso intanto a tutti quelli che legittimamente hanno fatto altrettanto nei miei confronti. Così come non posso trascurare la positiva valutazione per quei rapporti che nel tempo sono diventati più forti e significativi.


venerdì 16 novembre 2012

troppa conoscenza, poca comprensione

Uno dei profili emergenti della nostra epoca risiede nella agevole possibilità di apprendere nuove nozioni, elementi di  qualsiasi sapere.  Non so niente di foglie, piante e fiori?  Mi documento con pochi click e posso fare anche la mia .. porca figura in un ambito di conoscitori superficiali della materia. Di quella o di qualunque altra. E siamo già molti passi avanti rispetto a quella conoscenza che diventava patrimonio esclusivo di un gruppo di "bramini". 
L'elemento di pericolo insito in una apprensione così agevole ed a portata di mano sta però nel progressivo processo di auto convinzione di poter possedere qualsivoglia sapere. Senza grandi sforzi, senza dover dedicare a questa o quella disciplina il sacrificio dell'impegno. Certamente è diverso avere le basi teoriche di una certa scienza. Comporta fatica nell'individuazione dei criteri, sforzo mnemonico, necessità di collegare gli elementi dell'apprendimento. Procedimento ben diverso da quello di affrontare di volta in volta il singolo quesito, in base alle specifiche necessità, servendosi dell'enorme materiale messo a disposizione dalla rivoluzione informatica.
Pare che questa straordinaria disponibilità di informazioni provochi un disturbo conoscitivo, di breve durata, ma non per questo meno inquietante. Nella traduzione italiana il termine inglese della sindrome  suona come "che cosa stavo cercando, da dove sono partito?" I soggetti affetti da questa patologia  transitoria perdono per un certo tempo la capacità di concentrarsi sull'argomento iniziale della propria ricerca, naufragando in mille rivoli di diversa conoscenza. 
Talvolta in modo consapevole ed autonomo, molte altre per ché il "web" ti dà qualcosa, ma molto pretende. E così la subliminalità dei messaggi induce l'internauta a disperdersi per i percorsi attraverso i quali  i padroni del web intendono farci transitare. Per venderci un prodotto ovvero un servizio, per orientare il nostro pensiero in una direzione invece che in un'altra. E mentre seguono i nostri impulsi conoscitivi si formano un'idea, sempre più realistica, dei nostri gusti, delle nostre idee politiche, degli orientamenti personalissimi.
Questo pacchetto di informazioni  sul nostro conto viene poi ceduto ad altri e senza rendercene conto diventiamo una merce che produce utili per chi si è impossessato delle nostre rivelazioni personali.
E così, apparentemente per caso, diventiamo oggetto di un bombardamento mediatico che non si acquieta facilmente, fino a che "lo sciagurato"  non risponde. Ad un messaggio apparentemente neutro che ci pone interrogativi di tipo semplice e non impegnativo. Ma che ci pongono definitivamente in una "gabbia" da consumatore.
C'è difesa? Probabilmente no. Il consueto invito al buon senso basterà a farci restare nell'ambito del normale senza entrare in infernali gironi? In bocca al lupo! Il nemico è tra i più tosti che si possano incontrare sulla nostra strada.


domenica 28 ottobre 2012

Gerard Malanga, provocazione per idealisti e polemisti

Poeta, fotografo, art performer, protagonista della vita culturale degli anni '60 e '70, amico di Andy Wharol e di molti altri artisti newyorkesi. Questa una scheda necessariamente affrettata di Gerard Malanga, nato nel 1943 negli USA, di chiare origini italiane, meridionali, quasi certamente lucane. 
Sarebbe un soggetto di grande interesse per una ricerca finalmente culturale di quei tanti giovani che sento riempirsi la bocca di orgoglio localistico. Ma che in realtà oltre che a dare vita a  stucchevoli polemiche personali non vanno. 
Gerard Malanga, ricordato per la sua bellezza ed eccentricità, icona gay del suo tempo, artista che ha attraversato come pochi altri la scena culturale del Village. Presente in tanti "happenings", tutti ispirati alla chiara provocazione intellettuale contro il conformismo che da sempre impone regole e comportamenti alla cultura USA, attraverso il denaro di potenti fondazioni, tutte riconducibili ai poteri mediatici di quel Paese.
Un invito rivolto ai tanti "sepensanti"  testa d'uovo che gravitano intorno alla Basilicata perché si mettano sulle tracce di Malanga, ancora vivo e vegeto, per domandargli delle sue origini e dei lucani inseriti nel mondo dell'arte della Grande Mela.
Chiedergli come lui,  il figlio di un profondo Sud, sia arrivato nei circoli che contavano, dove stava prendendo corpo un fenomeno di imponente trasformazione del modo di intendere l'arte visiva e l'immagine.
Mi piacerebbe scoprire così che quel Malanga ha radici in quella zona del potentino dove quel cognome è assai diffuso. Sapere della sua formazione personale ed artistica, chiedergli se in casa sua si parlasse come prima lingua il nostro dialetto. E quali altri usi nostrani si fossero conservati.
Avanti giovani idealisti e polemisti. Datevi da fare, il mio è soltanto un suggerimento. Scegliete voi l'argomento da sviluppare, ma uscite dalla morta gora delle reciproche invettive. Date un senso ai vostri furori, trovate un campo di battaglia che restituisca spirito e fantasia alle vostre divergenze. E, ancora, non vi fate strumentalizzare da chi ha soltanto voglia di mettere il suo piccolo e meschino giogo al minuscolo potere su un paesino di poche migliaia di anime.
Volate più in alto, fate sentire a tutti che i secoli non sono passati invano. E che il fatto che moltissimi di voi sappiano leggere e scrivere ed abbiano voglia di imparare serva a tutto il resto della comunità per crescere in consapevolezza e senso civico.

mercoledì 24 ottobre 2012

Baroni tanti, signori pochi

Per fortuna c'è ancora chi ci ricorda le cose come stanno davvero. Ancora una volta la rubrica quotidiana L'amaca di Repubblica, curata da Michele Serra, in poche righe riesce a fare la sintesi di troppi e spropositati commenti sulla "querelle" tra don Patriciello e il prefetto De Martino. Sentite:

Il prefetto di Napoli è stato subissato da una tale quantità di critiche e sberleffi (meritati) che si esita a infierire.
Ma c'è un punto, potentemente politico, che merita una ulteriore  riflessione. Il prefetto non sa che "signore" (e ovviamente "signora") è molto più di prefetto, eccellenza, commendatore, cavaliere, dottore. Più di signore - che vuol dire Sire ed è il titolo onorifico di Dio - non esiste nulla. E mano a mano che un appellativo così assoluto diventa appellativo di tutti, finalmente ciascuno diventa signore di se stesso: è la democrazia.
Il prefetto De Martino ha parlato nel nome di quell'inguaribile notabilato meridionale - e più in generale di quella inguaribile piccola borghesia italiana - che vive di titoli, onorificenze, diplomi da appendere dietro la scrivania, perché non è mai stata contagiata dal virus liberatorio della con-concittadinanza. Quel virus che la Rivoluzione Francese tentò di esportare quasi ovunque, nel nostro povero Sud morì infilzato sui forconi della Santa Fede, ferale alleanza tra plebi servili e baronie neghittose, con la benedizione del papato. Le conseguenze le paghiamo ancora: abbiamo molti parrucconi, pochissimi signori.

Baroni tanti, signori pochi

lunedì 22 ottobre 2012

Serve ancora votare?

Secondo i risultati di un recente sondaggio gli italiani vorrebbero un governo espresso dalla maggioranza che emergerà dalle prossime elezioni, a condizione che a guidarlo ci sia il prof. Monti. "Il dilemma della democrazia rappresentativa, scrive Ilvo Diamanti su "Repubblica" è tutto qui. se il voto non serve a scegliere chi governa attraverso i rappresentanti eletti, a che serve votare?"
Dilemma nemmeno tanto paradossale e neppure inedito. Per quasi cinquant'anni, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, l'assetto dei poteri internazionali ha di fatto impedito una vera alternanza, per la presenza in Italia del maggior partito comunista della sfera "occidentale". Giorgio Galli, a questo proposito, parlava di "bipartitismo imperfetto" perché doveva governare o la DC con coalizioni gradite agli USA oppure da sola. Al PCI, forte di milioni di consensi, spettava di guidare l'opposizione, avendo un proprio peso in molte   scelte. Questo fino al 1989, cioè  al momento dello storico crollo del muro di Berlino. Pur consapevoli dell'impossibilità di mutare questo assetto deciso altrove, gli italiani hanno continuato a votare, con percentuali alle urne vicine al 90%, tasso di partecipazione tra i più alti del mondo occidentale. Il voto era pro o contro la DC, talvolta sfiancata dagli alleati di coalizione che si chiamarono PLI, PSDI, PSI, PRI, e sullo sfondo la Chiesa e la sua influenza.
Nella seconda Repubblica questo modello sembrava tramontato. Ma non è stato così davvero, perché a ravvivare i fantasmi del comunismo ci ha pensato il nano di Arcore. E' cominciata così la stagione di anticomunisti contro antiberlusconiani, veri e propri referendum sulla fiducia che gli italiani riponevano su questo leader venuto dal niente. Mentre i votanti erano indotti a scegliere nomi voluti dai partiti e dai loro leader.
Fino ai giorni nostri, in cui nessun partito appare davvero credibile. In parte per la disinvolta disonestà che ha percorso trasversalmente tutti gli schieramenti, ma anche per il consolidarsi di queste scelte sul premier.
Oggi la partecipazione elettorale appare separata da quella del premier. Gli italiani o parte di essi vogliono ancora votare, ma a guidare il governo pretendono ci sia un tecnico, perché hanno imparato a non fidarsi dei partiti. Si vota cioè non per impostazione ideologica, ma pro o contro i partiti.
Lo suggerisce il successo travolgente del movimento 5 stelle che raccoglie tutti gli umori dell'antipartito e sostiene un concetto del tutto nuovo, la democrazia diretta attraverso la rete.
Mentre si dilata dismisura l'area degli incerti, che avvicina il 50% degli aventi diritto.
Una nuova stagione si profila: quella della dissoluzione dei partiti come li conoscevamo un tempo e resta una prospettiva inquietante Che un premier come Monti governi da solo in mezzo a tutti e contro tutti.





venerdì 19 ottobre 2012

Bohemian sound - La maschera ed il volto di Zeman

Una recensione letteraria di Giovanni Chianelli


Zeman è grande e Sansonna il suo profeta.
Dopo 'Zemanlandia', e 'Due o tre cose che so di lui', documentari poi confluiti in un cofanetto edito da Minimum fax, il regista barese torna sulle tracce del tecnico boemo con 'Zeman, un marziano a Roma', sempre per i tipi della casa editrice di Ponte Milvio.
Questa volta Sansonna si trasferisce in Alto Adige, nel ritiro dei lupacchiotti alla cui guida Zeman è tornato dopo quindici anni passati sulle panchine di mezza Europa. Una favola il cui fine sarà sempre lieto, a prescindere dai risultati dei giallorossi: la serie A ritrova uno dei protagonisti più amati e discussi, artefice di gioco spumeggiante e feroce critico dei guasti del calcio.
Passato per la Gehenna delle serie inferiori, negli anni ritrova una seconda giovinezza ma resta quello di una volta: maschera muta, eppure ipercomunicativa, amore da padre putativo per i suoi talenti e ghigno ineffabile dedicato ai nemici.

Sansonna, con l'arte del cesellatore, in questa maschera ci è entrato ormai da anni. E ne conosce a memoria la semantica, riuscendo a riprodurre la parlata senza articoli, considerati fronzoli da sfrondare; la perentorietà di intenti, scanditi da sentenze e precetti; i tic lessicali, esemplificati dalla cantilena in cui remixa i brani del suo amato Battisti.
Quello che i lettori troveranno è uno Zeman passato ai raggi x, colto nelle passioni musicali (Venditti) e negli scarti di una disciplina ferrea, ma non tanto da impedirgli eccezioni: come quando, istigato da Totti, per scommessa si fa a nuoto tre vasche in apnea. Il rapporto con il Pupone è uno dei capitoli più interessanti, in cui Sansonna contrappone il gelo dell'uomo di Praga ai vezzi da Rugantino del capitano giallorosso, ottenendo la miscela che muove Zeman da anni alle nostre latitudini: il fascino, da parte di uno cresciuto in un regime comunista, metodico fino alla mania, per l'Italia barocca e caciarona, regno delle truffe e del calore, dell'imprevisto che è più prevedibile del previsto.

A una lettura più profonda, ci si rende conto che il periodico stigmatizzare gli scandali calcistici appartenga ad una precisa ossessione del boemo: in una dinamica di attrazione e ripulsa per ciò che è torbido. Ma il pregio del libro è, per una volta, mettere in un angolo le polemiche e il ruolo di Zeman nel nostro sistema calcio: partendo dal ritiro estivo, l'autore ci immerge in una divertentissima teoria di aneddoti, rimandi, ricostruzioni di un ambiente, quello della Roma del nuovo corso dei 'god father' stelleestrisce, con il suo cascame di folklore e indotto commerciale, che rende il paesino altoatesino una filiale di Disneyland. Per lo scetticismo di Zeman, la cui sobrietà è nota, più a suo agio con corse e sacchi di sabbia, per tonificare i muscoli dei suoi atleti, in nome di quell' "efferato sadismo ginnasiarca" di cui fu accusato da Gioan Brera.

Perfetti i passaggi sulla preparazione atletica cui vengono sottoposti i giocatori, snelliti e rinvigoriti dopo un anno di vacuo intrattenimento agli ordini del 'progettista' Luis Enrique; al confuso, velleitario "tiki taka" asturiano, il tono marziale dell'allenamento zemaniano suona come un ritorno all'ordine. Mentre grappoli di vamp di mezz'età, "che assecondando facili categorie mentali viene da immaginare come estetiste del Tuscolano", testimonial del 'generone' capitolino che va in vacanza dove la squadra si allena, si sdilinquiscono per i muscoli dei giovani miliardari in mutande, e un palchetto con presentatore strapaesano festeggia la presentazione della squadra in clima tra Festivalbar e sagra della porchetta.

Sansonna precipita i contrasti di queste due settimane, tra echi del passato e aneddotica da trovatore, con precisione chirurgica e stile definitivamente letterario. In una cifra che pesca da Gadda, Bufalino, Manganelli, ma che è ormai sansonniana, una lingua in cui l'arabesco è sensato, il beau geste lessicale sempre funzionale alla resa dell'atmosfera, vuoi epica vuoi grottesca, dell'universo zemaniano: "Il tramonto della val Pusteria è una palese prefigurazione dell'Eden [...] la folta distesa di conifere, i fiori multicolori, il verde brillante della prateria. La prova lampante dell'esistenza di Dio, che convive con la sua più beffarda confutazione", dove De Gregori è messo al servizio di un affresco che sintetizza il delirio di fanatismo, marketing e eterno ritorno dell'imbroglio che è il calcio nel suo lato deteriore. Dove il tecnico boemo si è sempre sentito un alieno, ma che, fuori dalle vesti espiatorie che spesso, comodamente, l'intellighenzia gli ha tentato di cucire addosso, ha continuato ad amare con la nettezza del suo credo: "Questo non è un villaggio turistico".

mercoledì 17 ottobre 2012

Scrivere, che passione

Etruscamente presuntuoso, immagino di avere qualche lettore. Gente di bocca buona oppure il classico amico che ti segue, vuoi per farti le bucce o per affetto. Uno, dieci, nessuno? Non è certo questa la mia preoccupazione mentre mi accingo a "bloggare" la mia terra etrusca.Per me è un un diario, certamente meno sincero della classica agenda che si tiene nel cassetto al riparo dagli occhi degli altri. Mia madre ha scritto il suo diario per oltre trenta anni sulle agende che di volta in volta le dovevo procurare. E che dovevano avere un certo formato oltre ad un aspetto esteriore piacevole. Non so se qualcuno di noi riuscirà a leggere quelle memorie. Ci servirebbe tanto, specie a chi oggi rivede in fase soltanto critica l'atmosfera e le dinamiche familiari.
Ma tornando a noi o forse soltanto a me ad al mio eco informatico, ho scelto la modalità del blog perché mi consente di mediare tra i mal di pancia istintivi e la rappresentazione formale.
Come tutti anche il vostro etrusco ha le sue incazzature e turbolenze intestinali. Ma quando devo trasporre le idee sulla carta mi sforzo di essere meno fazioso ed "etruscocentrico". Rileggo le parole e l'impatto che mi fanno. Ed in molti casi comprendo che una posizione va mitigata, un atteggiamento smorzato in favore degli altri. Che in parecchi casi non ho ragione. 
Non mi sembra risultato da poco. Rileggersi, mettersi in discussione, accettare il contraddittorio delle altre opinioni, dover ammettere che c'è anche un'altra possibile interpretazione rispetto ai fatti della realtà.
Un libro, un film, un dibattito politico o civile, una musica. Sono questi i miei filoni di ispirazione mentre mi accosto al mio amato blog.
Da un po' di tempo sto covando un'idea forse perversa. Ma che siccome è la mia vale la pena di essere presa in considerazione.
Ebbene si, miei amati lettori - il numero è sempre imprecisato - sto portando a termine la mia prima compiuta fatica letteraria. Ero preoccupato di far parte di quella ormai minima percentuale di italiani che non avesse mai dato alla luce un libro. E così da giorni mi arrampico sulle impervie strade dello scrittore. Senza sapere da che parte si incominci e con una appena accettabile cultura media. L'idea, il "plot" del romanzo - perché è di questo che si tratta - sta prendendo faticosamente forma. Una storia banale, come molte delle mie esperienze, ma mi sta prendendo la mano. E pare che proprio questo raptus  di incontrastabile vigore sia  il sintomo che identifica i colpiti dal virus della scrittura.
Ne vedremo delle brutte..








martedì 9 ottobre 2012

Mi pento, fortissimamente!

E' arrivata pure per il vostro etrusco l'ora del pentimento. Forse mi inseriranno in uno programma  di protezione e ci guadagno. Chi lo può mai dire? Ma ormai ho deciso. Tempo fa' mi sono pentito dall'essere stato per anni sparatore di botti. A ragionarci ora mi struggo a pensare su come avessi fatto  a non capire che si trattava di una fesseria, pericolosa e fonte di illeciti guadagni. Ma gli anni si attraversano anche per questo: avere il modo di riflettere sulle proprie castronerie e cambiare strada. Su quante altre cose ho nel tempo ripensato? Tante e non irrilevanti. Si sa, l'imprinting te lo da la famiglia e l'impostazione di altri soggetti. Magari avranno anche i loro meriti, ma alla fine, la vita appartiene a ciascuno di noi. E proprio per questo è giusto, se non doveroso, uscire dalle orme già tracciate e trovare un percorso proprio. Che si alimenti dei propri errori, delle convinzioni che la vita ci assegna e che non risenta soltanto della vita di altri.
Io ho deciso di abbandonare il calcio! Spero di non fare soltanto del moralismo, ma un ragionamento con ancoraggi alla realtà. Il sistema televisivo generale ci presenta partite di calcio ad ogni piè sospinto. Orari serali, di mezzo, lunch time. Un orgia di pallonate che, fatte le poche eccezioni meritevoli, sarebbero per la gran parte da dimenticare. Ma questa invasione sistematica e preorganizzata intende intrappolare il malcapitato soggetto passivo, rendendolo sempre più succube e meno autonomo nelle decisioni. Senza tener conto dei guadagni stratosferici di queste emittenti a pagamento che si possono permettere di finanziare tutto il calcio mondiale ed i suoi capricciosi protagonisti.
E penso che, venti anni or sono, seguendo le medesime suggestioni. ho smesso di bere una certa bevanda gassata di colore scuro proprio perché vedevo gli artigli dei padroni affondare anche nelle mie carni ed impormi comportamenti non voluti. Non solo quindi perché quella bibita è un'autentica fetenzia dalla formula semisconosciuta, ma  poi perché quel "brand" esclude tutti i concorrenti. Nei bar delle nostre città e paesi il titolare che non accetti quel marchio non riceve  una serie di altri prodotti e rischia di finire fuori mercato. Una politica commerciale fatta di prezzi e veti per gli altri competitori che finisce con l'emarginazione dei produttori minori.
E' così mi propongo di vedere il calcio solo su canali in chiaro e magari quello minore, lega pro e serie "d" o l'interessante calcio femminile. Che, almeno per il momento, ha spunti di grande interesse e viene giocato con sempre maggiore capacità. E ancora, cosa che non guasta affatto, con una lealtà sportiva assolutamente diversa da quella dei maschi.


giovedì 27 settembre 2012

che meraviglia di squallor

Al PAN di Napoli ieri sera, 26 settembre, presentazione del documentario di Michele Rossi dedicato agli Squallor. Gruppo musicale, potremmo dire semplicisticamente, in attività dal 1972 ed il 1994, che nel periodo pubblicò 15 LP, dai titoli più suggestivi: "Palle", "Tromba", Arrapaho" "Vacca" e peggio discorrendo.
Ma cavandomela così ometterei di ricordare quanto gli Squallor rappresentarono per la cultura del periodo. Dissacratori, provocatori, capaci di prendere per il culo tutti, senza farsi contagiare nemmeno un poco dal successo, sotterraneo e diffuso, riportato dai quattro amici. Divertendosi tra di loro, senza pretendere di fare operazioni artistico/culturali, i quattro amici lanciarono fendenti sanguinosi al comune senso del sentire, attraverso le parole apparentemente stralunate delle loro canzoni. Ma che colpivano nel segno, centrando bersagli da sempre protetti, chiesa, poteri forti, stilisti, industriali, establishment della musica  e dell'arte. Furono di conseguenza emarginati dai canali ufficiali di comunicazione - in sostanza dalla RAI, monopolista del periodo - ma circolarono in modo travolgente attraverso il passaparola, attraversando la società senza eccezioni. Dai coatti delle periferie più abbandonate fino alle massime emergenze accademiche, tutti conoscevano almeno una canzone degli Squallor. Cassette pirata o nastri copiati, ma loro c'erano nelle case degli italiani. A ricordare che una cattiva parola detta bene, al momento giusto, vale molto più di un testo noioso di sociologia destinato a pochi "bramini" del sapere. Testi abbozzati e poi sviluppati nel corso delle incisioni. Senza sapere né come né quando la canzone sarebbe finita, al punto che spesso si sentiva il vocione di Alfredo Cerruti che tuonava: "ma sta cazza e base nun finisce mai?"
Perché non hanno continuato, nonostante il riconosciutissimo successo? Un destino oscuro ha eliminato tre dei quattro componenti, scomparsi prematuramente. Resta solo Cerruti che più alternativo di così non si può,  rimasto a fare la caricatura a se stesso ed alla sua immagine di vitellone anni '60.
E il pubblico del PAN composto da giovani, dai loro genitori e qualche critico ha tributato un consenso unanime all'operazione del regista. Rispettosa della verità. Niente di più, niente di meno. Non invasiva delle vite private dei quattro artisti. Con commenti, quasi tutti giusti. A partire da quelli dell'unico erede del gruppo. Quel Gianfranco Marziano che sembra un gaglioffo di periferia, ma da artista vero e pieno di contenuti, esprime meglio di ogni altro che cosa intendessero rappresentare i mitici Squallor. Un tentativo non retorico di dare la sveglia alle coscienze addormentate, adagiate nel conformismo. Di dire con volgarità  paradossali quello che il resto della società non riesce a concepire o ad esprimere con parole alate. Grazie amici!

giovedì 20 settembre 2012

giunta alla vaccinara

Giorni difficili per il Batman "de noantri", Franco Fiorito. Questo omaccione dall'aria poco tranquilizzante è il capogruppo PDL alla Regione Lazio. E fin qui, pazienza. Abbiamo visto ninfette e showgirl sedere sugli scranni del parlamento nazionale, volete che ci scandalizziamo per l'aspetto norcino di questo signore? Ma se fosse soltanto questo, potreste prendervela con quella spocchia un po' etrusca di fare le bucce alle persone in base all'aspetto. Un nascosto razzismo che emerge di tanto in tanto? Ma intanto c'è, ed al proprio diario non bisogna nascondere nulla. Altrimenti diventa come quei "quaderni di comodo" che le fanciulle scrivevano, riempendoli di poesie e sospiri d'amore, per tranquillizzare le famiglie, mentre nella realtà ci davano dentro come fabbri.
Torniamo al nostro. E' accusato, lui già sindaco della civilissima Anagni e recordman di preferenze - ricordatevi questo termine che tornerà d'attualità nel prossimo futuro - di aver sperperato, fondi pubblici, di essersene graziosamente appropriato, trasformando il proprio patrimonio immobiliare da consistente in straordinario. Lui si difende: "sono ricco di famiglia. Ho ereditato quattro case e per il resto pago pesanti rate di mutuo". Basterebbe accertare con i soldi di chi e poi tutto a posto, Mr. Batman. A 41 anni di solito, la gente normale combatte coi problemi quotidiani, facendo di tutto per sostenere le giovani famiglie e le proprie ambizioni. 
Di fronte alle accuse, lui, come fanno tutti le persone di buona fede che non hanno nulla da nascondere,  ha presentato uno "scatolone" di documenti. Accumulati negli anni, già pronti per l'uso, non si sa mai, qualche fetentone dovesse venirgli in testa di chiedergli conto del sopravvenuto benessere.
Documenti giustificativi di tanti movimenti che hanno in questi tre anni di potere regionale beneficato tutti i compari di PDL. Pare persino la povera innocente e dimissionata Polverini.
Intanto al povero Batman spunta una casa "in affitto" di 200 metri quadri a via Margutta. Una strada, che se non ricordo male, era il cuore della Roma degli artisti. E lui, a modo suo, è un artista  e voleva sempre di più impossessarsi di tecniche da maestro.
Chissà come andrà a finire. Potremmo avanzare un'ipotesi. Troveranno un modus per sistemare la questione. Sono in troppi gli interessati e gli avvantaggiati. Batman è certamente il testimonial ideale per la sagra della "coda alla vaccinara" ma fesso non è. Si sta già muovendo bene a meglio farà con il passare dei giorni.
Nonostante le oscure trame adombrate da quell'altro mostro di politica ed amministrazione che è il sindaco di Roma. A TG7 stamattina diceva che la colpa è del "listino" e della confusione che si è venuta a creare, al momento delle elezioni,  a seguito della mancata partecipazione all'Amministrazione regionale di "cinque o sei" autorevoli esponenti della destra romana e provinciale.
E meno male, dice il vostro etrusco! Se no la torta andava spartita ancora di più e certamente, siamone certi,  a tutto vantaggio dei cittadini e delle istituzioni pubbliche del Lazio.

venerdì 14 settembre 2012

sangue e .. arena

Con un ritardo di circa quaranta  anni, Napoli si è dotata di uno spazio denominato arena del tennis. A via Caracciolo, contigua con i campi del T.C. Napoli  ,di cui quel campo è parte integrante. La spinta alla realizzazione dell'impianto, certamente rapida, è stata conferita dall'amministrazione comunale. Il sindaco ha voluto fortemente il perfezionamento di questo progetto per poterlo annoverare tra i meriti della propria giunta. Su quei campi si svolgerà, tempo permettendo, l'incontro di coppa Davis Italia/Cile.
Dicevo del ritardo. Il tennis italiano ha conosciuto i suoi fasti negli anni '70, grazie ad una fortunata nidiata di atleti che vide in Panatta l'esponente più significativo dal punto di vista tecnico. A quei memorabili tempi lontani, modestissimi cronisti sportivi sollecitavano la costruzione di uno stadio del tennis, ovunque dislocato, appuntando peraltro l'attenzione su quelle aree che si erano venute a creare all'epoca della costruzione della tangenziale. Il suggerimento nasceva dalla possibilità, allora esistente, di utilizzare gli spazi di "verde attrezzato" che gli strumenti urbanistici offrivano proprio in prossimità della nuova arteria cittadina che stava crescendo.
Giova ricordare che grazie alle buone imprese degli azzurri di Davis, gli anni '70 erano epoca di boom del tennis e delle scuole di addestramento. Pensate che in alcuni maggiori circoli (tre o quattro potevano essere legittimamente definiti tali) ci voleva la raccomandazione di un politico locale o nazionale per poter veder inserito l'aspirante tennista nelle SAT - Scuole Addestramento Tennis - che potevano contare su centinaia di iscritti ai corsi.
La situazione attuale è effettivamente diversa. Anni di gestione burocratica e talvolta rapace da parte di Federazione nazionale e propaggini locali, hanno ridimensionato i numeri di quel fenomeno. A completare il quadro, ha contribuito anche l'estendersi a macchia d'olio di tante altre discipline concorrenti che ha di fatto impoverito il bacino di utenza del tennis.
Ma ecco che solo nel 2012, sotto la spinta del Sindaco, nasce questo spazio, apparentemente suggestivo perché su uno dei tratti più panoramici della litoranea cittadina. 
Da semplice osservatore della realtà locale, rilevo  che con la costruzione dell'impianto si è sottratta alla libera fruizione della cittadinanza una parte del lungomare per creare una struttura privata di cui, a parte una o due occasioni di apertura al pubblico pagante per i possibili tornei maggiori, usufruiranno soltanto i soci del Tennis Club Napoli. 
Sorgono così una serie di domande sulla legittimità di questa "ablazione" dalla sfera del patrimonio pubblico per creare vantaggio ad una struttura di natura privatistica, che ricordiamolo bene, sorge pur sempre su suolo demaniale attraverso il meccanismo della "concessione".
Non ho gli strumenti tecnici per inquadrare l'opera dal punto di vista dell'impatto ambientale. A braccio dico che un manufatto prevalentemente in cemento di questo genere rappresenta una discontinuità fisica evidente con il naturale sviluppo della strada litoranea.
Probabilmente urbanisti ed architetti potrebbero esprimersi sul punto. A me sembra soltanto una propaggine di cemento proiettata nel mare, priva di quel garbo estetico che avrebbe meritato uno dei tratti stradali più belli del mondo. 


lunedì 10 settembre 2012

Estate o inverno? Sempre ai Monti

L'ultima moda dei politici di casa nostra è quella di fare la corte o prendere le distanze dal prof. Monti, capo del governo tecnico. 
Una domanda ce la siamo posta tutti. Come siamo arrivati a questo grigio distinto signore? E' stata  una scelta di qualcuno ovvero l'incapacità di governare dei politici eletti? Potremmo affermare, senza tema di errore, che i due fattori si sono strettamente combinati. Gli ultimi dieci anni di rovinose gestioni politiche avevano fatto in modo che il nostro Paese si trovasse in una condizione così misera dal  punto di vista economico, a tacer d'altro, al punto che  il resto dell'Europa pretendeva e sostanzialmente imponeva  una forma di commissariamento. Indicando persino i nomi di chi potessero essere gli organi fisici di questa manovra di raddrizzamento finanziario e patrimoniale. Soggetti che per storia professionale ed esperienza si fossero segnalati nel contesto internazionale ovvero comunitario europeo. Così il presidente Napolitano, altra figura sulla quale si discute moltissimo, nominava Monti senatore a vita, fornendo anche una legittimazione formale al premier incaricato.
Il suo governo è tutto composto da nomi - quasi tutti accettabili - degli ambienti accademici e finanziari del nostro Paese. Predestinati a grandi cose da collegamenti familiari, da qualità personali, dalle infinite risorse della cooptazione.
L'alternativa a Monti, scartatasi da sola quella politica, era soltanto una dittatura. Militare verosimilmente, non essendo reperibili  in Italia altre forme di organizzazione capaci di imporre con metodi autoritativi una propria linea di gestione.
Ed eccoci al professore in loden. Modi signorili, capacità di tenere saldi i nervi anche di fronte a Scilipoti o alla Binetti, alle puttanate ispirate dal  patonza, o alle insipide arguzie di Bersani.Una linea di condotta in gran parte necessitata, con un agenda già largamente tracciata. Si potrà certamente accusare di mancanza di coraggio o di lungimiranza politica. Ma queste potrebbero essere qualità di un politico, che forte di un consenso ragguardevole, sposti in avanti la barra del timone. Non certo di commissario straordinario ai conti, che nei timidi tentativi di guardare fuori del compitino assegnato  è stato immediatamente stroncato dai  "leali" sostenitori della coalizione.
Dopo Monti? Qui il vero problema. Sono in questi pochi mesi effettivamente cambiate le condizioni di fondo? Oppure, malauguratamente, si sono ulteriormente incancrenite le patologie che affliggono questa sventurata nazione?
Chi etruscamente si propone a voi, è convinto che non ci sia attualmente alle viste un male minore di Monti.
E allora saremo costretti a tenercelo, con tutto il vascello dei suoi ministri saputi e infallibili.


venerdì 7 settembre 2012

l'ossessione dell'immagine

Mi ha molto colpito quel tale che per 12 anni di seguito si è fotografato ogni giorno. Ha così immortalato la propria immagine sottoposta ai quotidiani cambiamenti. Non so esattamente che cosa pensare di questa notizia diffusa dal web che riproduce un video, cliccatissimo, con la faccia di questo tizio che cambia con il passare del tempo. Ho il timore che questa nuova mania di fotografie fatte con tutto il possibile stia trasformando il concetto che ciascuno di noi ha della propria immagine. Troppi clic, conservati nei luoghi informatici più disparati. Se volete che vi dica la mia personale posizione, ho una concezione quasi araba, gelosa della mia fisionomia, con la nascosta preoccupazione  che chi mi guarda mi rubi l'anima. Autentica fesseria, condivido. Ma personalissima angoscia che potrà, nel migliore dei casi, essere lo spunto per un'analisi della personalità. Non certo per un giudizio. 
Vedo su Facebook soggetti che incessantemente riversano decine di proprie foto. Avranno i loro motivi, non discuto. Ma talvolta scorgo in alcuni volti un aspetto luciferino, inquietante, che forse andrebbe celato. Occhioni sgranati verso l'infinito, a reclamare un commento entusiastico. Ma che spesso nascondono angosce esistenziali, fragilità delle quali preoccuparsi, piuttosto che esibirle.
Prima della Polaroid che segnò una straordinaria trasformazione nel settore, c'erano vecchie macchine. Pochissime quelle degne di tal nome, all'epoca costosissime, con ottica DDR. Quelle in mani giovanili erano una specie di  usa e getta che era quasi meglio gettarle prima di usarle. Ma si, tra le incertezze dei manovratori e la scarsa qualità del materiale, venivano fuori ombre cinesi. Ho ancora una foto dei 18 anni, scattata alla fanciulla che mi faceva all'epoca sospirare. E' praticamente inguardabile. Dice qualcosa solo a me, che riesco a distinguere tra quei fantasmi le sagome ed i volti di amici. 
Ed è già un miracolo tenuto conto della mini macchina che produsse quell'immagine, un giocattolo più che una fotocamera. 
Ora vedo nelle mani di fanciullini straordinari aggeggi, capaci di fare di tutto e di più.
Auguro loro di avere cura e amore per le cose preziose che maneggiano e per quello che riprodurranno. Sembra incredibile, ma a distanza di tempo guardando quelle foto tornano i sentimenti, le emozioni, persino i  dubbi di quei momenti. Ed è bene non perdere il contatto con quello che siamo stati.

mercoledì 5 settembre 2012

i misteri metropolitani

Passavo da quel posto tutti i giorni feriali per andare al lavoro. In moto, senza casco, perché allora era permesso. E sentivo sempre nello stesso posto un intenso odore di salsa genovese. Per chi non fosse partenopeo, chiarisco che la "genovese" è una straordinaria salsa di cipolle, carne ed odori che nella "Superba" non conoscono proprio. O, almeno, non è originaria della città della Lanterna. Pare sia stata introdotto a Napoli da cuochi francesi. Devo riconoscere che della storia di questa fantastica ricetta non me ne frega niente. Mi importa assai di mangiarla, perché la trovo squisita. Con mia moglie siamo arrivati ad un accordo per la genovese di due/tre volte l'anno. Io taglio le cipolle, sotto l'acqua che scorre. Pare faccia piangere di meno. Quantitativi enormi, perché nella cottura si riduce molto.  Lei si occupa del resto. Alla fine della cottura, breve la nostra, lunghissima quella di altre famiglie, si impone la scelta della pasta. Mafaldine, mezzi ziti, trenetta, ziti rigati. Magari trovare facilmente la pasta di una volta, quella nei pacchi blu, da tagliare a mano! Perché le spezzature di pasta, i piccoli angoli ritorti, immersi nella genovese sono un momento di piacere indimenticabile per il palato. A, già, dimenticavo o piuttosto, vinto dalla forza evocativa della genovese, mi ero lasciato trasportare verso il nirvana dei sensi gastronomici. Vi stavo dicendo del posto della mia città dove intenso era il profumo della genovese. Spinto dalla golosa curiosità cercai in più riprese di capire da quale casa del Corso Vittorio Emanuele provenisse l'aroma desiderato. Svolsi  anche qualche cauta indagine, suscitando sospetti di portieri ed edicolanti. Che non capivano perché questo tizio coi baffi - c'erano allora - si intrigasse di sapere da dove venisse l'odore. Ma che fosse, nu spione? oppure, peggio ancora,  uno delle tasse? "Voi dite giovino'? Io nun sente niente, sulo na puzze e munnezza ca non sa retirano mai, sti fetienti e scupature." E così la mia indagine sulla fonte del  piacere olfattivo non ha mai prodotto risultati. Solo un sospetto su una signora del primo piano che nel corso delle mie ricerche si era affacciata, con fare distratto, presa da superiori impegni familiari. Signora, lo dico adesso per allora, se siete voi l'autrice di cotanto prodotto, ebbene si, vi confesso che vi ho amata. Non per le vostre grazie, diciamo trascurabili. Ma per quella meraviglia che producevate così spesso, per la gioia di vostro marito e della famiglia. Statevebbuone 

sabato 28 luglio 2012

Vacanze etrusche

L'etrusco va in vacanza. 
Era ora, penserà qualcuno! Come che sia e per quanto poco credibile, ho dei "follower". Insomma gente che non ha molto meglio da fare che leggere le chiacchiere che io "posto" nella terra etrusca. E che, in aggiunta, commenta o mi scrive per esprimere adesione o dissenso. Risultati straordinari, se penso alle mie esitazioni e perplessità del debutto.  
Ci sono i seguaci fissi e quelli occasionali. Tra loro, il figlio che opera nel settore editoriale che  spesso mi fa le bucce. Sostenendo che non tutta la produzione ha la stessa freschezza d'ispirazione. Che mi preferisce quando riesco ad ironizzare ed a prendermi poco sul serio,  molto meno quando assumo posizioni, a suo dire pedanti.
Ho consensi che definirei preoccupanti dal settore mogli. Con stimoli a proseguire, magari a scrivere pure io l'ennesimo libro inutile, di quelli che si leggono per tre pagine. Per ora resisto, poi sempre più rimbambendo, può essere che cambi idea, per la gioia dell'editore di turno. La figlia mi legge un po' più distratta. Però anche lei.. con punzecchiature, se non condivide.
Gli amici. 
Credetemi, ho amici stranieri, carissimi, che leggono le mie ..etruscate. Mica roba da poco: sono ragazzi di ottima levatura culturale e allora vuol dire che mi vogliono bene. Come io a loro! C'è l'amico napoletano fedele, quello lucano, scrittore e poeta di rara qualità. E pure da loro ricevo un incoraggiamento che gradisco oltre modo. 
Addirittura lettori e lettrici sconosciuti. Con passioni e hobbies simili ai miei. Che bello!
E per farvi sorridere della mia melensa vanità, vi riferirò che un amico, apparentemente serio, ha paragonato le mie "pietre" etrusche alla notissima e seguitissima "amaca" di Michele Serra,
Il quale se sapesse "secuterebbe" me e l'amico. Ma per fortuna non sa.
La sola similitudine che posso rilevare  sta nello spazio breve che normalmente occupo, proprio come il famoso opinionista di Repubblica. Che è certamente un mio modello. Ma dal quale pure io mi dissocio in più casi. Non parlo dello stile, incisivo e lieve ad un tempo, come si addice a chi conosce forma e sostanza della scrittura. Mi riferisco al suo essere diventato nel tempo molto "istituzionale", magari nella migliore interpretazione che del termine si può dare. Ma pur sempre uomo di un'area di pensiero che in massima parte condivido. 
Troppo spesso però Serra non fa alcuno sforzo di fantasia e di lungimiranza politica, limitandosi al "politically correct" in senso stretto. Ordini di scuderia? Convinzioni personali indefettibili? Come che sia, talvolta risulta di complessa digestione. 
Se qualcuno mi leggerà: buone vacanze, riposatevi e riprendete le forze. L'autunno si presenta complesso.

giovedì 19 luglio 2012

Le regole?.. sono per i fessi!

Nonostante i tanti esempi raccolti nel corso della vita, il vostro etrusco resta un ingenuo. Lo potrete anche chiamare fesso. Lui non potrà dispiacersi, ne è consapevole.
Inciampa sempre in ostacoli, neanche nascosti, che un soggetto di esperienza avrebbe dovuto imparare a scansare.
Una vita passata nelle prossimità di volponi, faine, di camaleonti ovvero di animali cangianti al variare degli elementi, gli avrebbero dovuto insegnare ad individuare le minuscole panie della finta democrazia. Ma lui, tomo tomo, cacchio cacchio, pensa di poter richiamare al rispetto delle regole un gruppo di persone. Per di più giovani.
Ma allora è inguaribilmente tonto e non si merita nemmeno la lapide che si scrive ai fessi: qui giace un uomo che pagò per aver creduto alle regole.
Quando l'atmosfera è allegramente e fantasiosamente anarchica, quando il piccolo gruppo di furbi si è appropriato di una cosa - ovviamente non loro, ma pubblica - guai ad invocare una disciplina che nella finalità possa evitare i contrasti inutili o confronti con soggetti di diversa educazione. 
Quanto meno gli diranno che pretende fare il Solone - se non il Dracone - senza averne alcuna investitura o incarico. Non importa se chiede una regola trasparente. A maggior ragione quella trasparenza darà fastidio a chi si è impossessato di fatto della gestione e prospera in quel privilegio, magari minuscolo, senza dover rendere  conto o ragione a chicchessia.
Basterà che uno dei colpiti invochi la sotterranea complicità con gli altri fruitori del privilegio ed il gioco è fatto. Si alzeranno voci di garantisti un tanto al chilo, di arbitri non richiesti, non importa se della materia non capiscono un cavolo. L'importante è fare schieramento. Insomma questo etrusco non ha capito che se prova ad agire in modo lineare va a calpestare le posizioni già occupate dal gruppetto egemone. Che non tarderà ad armare il normale ambaradam perché nulla cambi.
Ancora più ingenuo se l'iniziativa che intende manifestare  è fuori dell'abituale contesto di vita.
Fioccheranno gli improperi rivolti allo straniero che osa fare pipì fuori del vaso. Ma che si è messo in testa? Tornasse a casa e non disturbasse i manovratori. Qualcosa di  già incontrato, un sapore di deja vu, che dovrebbe far riflettere sull'opportunità di aderire incautamente ad iniziative estranee da tutti i punti di vista, ma specialmente da quelli della civiltà  e della sensibilità.

venerdì 13 luglio 2012

ma tu non sei un vincente..

Il solco generazionale tra i nati nel dopoguerra e quelli degli anni '70 è rappresentato sostanzialmente da una parola: "vincente". Noi figli del primo dopoguerra abbiamo imparato a declinare una diversa sintassi. Nel periodo di ricostruzione c'era bisogno di tutto e di tutti. Soprattutto era necessario che lo spirito di solidarietà prevalesse sui principi individualistici. Lo sforzo collettivo era il solo che potesse consentire la ripresa di un Paese piagato dai disastri che avevano lasciato le bombe, dall'indigenza e dall'ignoranza. Quel senso di obbligata cooperazione non tardò a dare frutti positivi, fino alla grande illusione di essere diventati davvero una potenza economica. 
Qualche anno in bilico e poi a perdifiato verso la direzione indicata in malafede dai peggiori cattivi maestri: il riflusso nel privato. Significava in parole povere l'abbandono di quella atmosfera di condivisione di valori umani interpersonali per "rifugiarsi" nell'ambito più o meno ristretto della sfera personale. Farsi furbi, pensare al proprio particolare, irridere chi resisteva sul fronte solidale. Coniare addirittura il lessico valido nel periodo: "protagonista", "emergente", "pesce pilota", "vincente" ed il terribile contrario "perdente". Tutti termini che stavano ad indicare quale fosse la deriva della società nazionale nel dare risalto alle vere o presunte doti individuali che servivano per staccare una trincea tra i soggetti. Da un lato chi ce la faceva, a qualsiasi costo o prezzo, turandosi il naso o seguendo inclinazione naturale. Dall'altra, nell'inferno dei perdenti, quelli che vedevano nello sgomitare scorretto il tradimento dei principi che avevano ispirato intere generazioni e che avevano portato a conquiste sociali a suon di leggi di autentico respiro democratico. 
Quelle parole e le idee connesse servivano di fatto a dare una spallata esiziale al timido tentativo di stato sociale che si era venuto faticosamente formando dopo il '45.
Concetti mutuati da un mondo, quello di cultura statunitense, dove il valore di un individuo è esclusivamente legato a quanto lo stesso riesce a realizzare in termini di beni materiali e di apparente benessere. Alla formazione di questo clima di sottocultura contribuiva la straordinaria forza comunicativa dei nuovi mezzi audiovisivi. Trasmettere per anni insulse serie di fiction rendeva alla fine i fruitori inconsapevoli portatori di scale valoriali inconsistenti. Capaci di tutto pur di sentirsi protagonisti nell'irrinunciabile "quarto d'ora di notorietà". Un concetto che ha ispirato e continuerà ad animare tutti i serial killers e che nasconde tutta la solitudine e l'inconsistenza di una intera società.
Chi non avrà i propri quindici minuti di celebrità è un perdente, etichetta peggiore di iettatore o di sfigato, ma con lembi sovrapponibili a questi ultimi.
Insomma, una vera soddisfazione! Capita così di parlare con giovani che non capiscono altro che il tentativo di affermazione personale, prescindendo da qualsiasi tentativo di articolare un pensiero e quindi un giudizio sulla propria posizione, tenendo conto delle diverse opinioni. Li sentirai dire che sono giovani, che non vogliono regole, che sono interessati soltanto dalla propria soddisfazione di bisogni. Democrazia, condivisione, trasparenza rispetto della diversità. Ma di che parlate? Ci interessa un passaggio televisivo nel programma delle signore che si insultano o un provino per "il grande fratello". Andate a ramengo voi, il '68, le assemblee, la partecipazione e le altre macerie della vostra epoca!

giovedì 12 luglio 2012

Sandra di Guido Catalano

Sandra

di Guido Catalano


mi dicevi spesso: “non essere triste”
che cosa assurda, pensavo
dire a uno triste: “non essere triste”
che cosa assurda, inutile e carina
e assurdi erano
quei tuoi occhi di gatta verdi
e quel tuo viso di gatta solcato
da quella portentosa cicatrice
che ti faceva
definitivamente
bella
fumavi tanto
camminavi avvolta
in cumulonembi di fumo
davi l’idea di essere leggerissima
mi hai toccato una sola volta
io mai
chissà dove sei
che fai
chissà se credi ancora
che i cani abbiano sempre ragione
io no
ho smesso di credere tanto tempo fa
forse non ho mai creduto
ma mi piaceva il suono
fin da subito fu implicito
che avremmo mischiato i nostri dolori
e non
i nostri umori corporei
sei l’unica donna alla quale
io abbia regalato una bambola
e non ce ne sarà un’altra

martedì 3 luglio 2012

antidepressivo Scilipoti

Vorrei sapere quanti sono usciti indenni dalla depressione post batosta calcistica europea? Pochi, secondo me. Persino le donne, abitualmente estranee alle vicende pedatorie, si sono lasciate agganciare dalla  smania della finale e dal malumore conseguente all'esito infelice. Insomma, un'atmosfera diffusamente mesta, che si è per me fortunatamente  assai alleggerita dopo la notiziona del giorno.
Come il settimo cavalleggeri con trombe e sciabole sguainate è venuto in mio soccorso un superuomo. E chi avrebbe mai potuto  sostenermi meglio dell'inarrivabile Domenico Scilipoti? Proprio lui,  il segretario del movimento di responsabilità nazionale nel parlamento italiano. Che si è rivelato ancora una volta per quel gigante che è. Dichiarando  alla trasmissione radiofonica "un giorno da pecora" di radio 2 che lui, ebbene si,  è un eccelso  amatore.
Credetemi, è accaduto! Mimmone nostro, la confidenza me la prendo per la simpatia del personaggio, si è lasciato andare alle confessioni personali, stuzzicato da Lauro e Sabelli Fioretti. In quel settore, ha detto pubblicamente,  è un grande e da il meglio di se! Riesce ad  amare per quattro ore di seguito, senza interruzioni. Formatosi agli insegnamenti del taoismo, Scili è una turbina che non conosce pause. E ci da giù che è un piacere, persino senza orgasmo.
Ora, una volta ripresomi dalla sensazionalità dell'esternazione, ho fatto meschine considerazioni sulle personali capacità, facendo sforzi di memoria per tornare ai tempi in cui praticavo la materia. Et de hoc, satis!
E per contrasto ho immaginato  il grande responsabile nazionale, che non cede e non demorde. Con la sua faccia a metà tra Enzo Cannavale e Luis De Funes, con inserimenti di Danny De Vito. Un vero demiurgo, che quando incontra un partner riesce a fare scintille ed a lasciare  un ricordo imperituro.
A dirla tutta, un pensiero grato e memore è andato pure alle controparti del "nostro", che per quattro  ore di seguito si sono sorbite lo sguardo provocante e sensuale del Gregory Peck de noantri che trapanava. Roba da restarci sul colpo. Ma questo le storie non lo narrano..

martedì 26 giugno 2012

matrimoni ed altri misfatti

Come trasformare la giornata pro terremotati in una cagnara. A Bologna, buoni propositi a parte, ci sono riusciti. Raccogliere fondi, oltre 2.5 milioni di euro, a favore delle popolazioni emiliane colpite dal terremoto è ottimo scopo, di alto profilo sociale. 
Per radunare folla e possibili sottoscrittori gli organizzatori  hanno riunito artisti italiani, prevalentemente della zona del sisma, assemblandoli in una seratona televisiva su RAI 1. Presenti più o meno i soliti, Morandi, gli Stadio, la Pausini, Cremonini, Paolo Belli, Nek. 
Capaci nella circostanza di dare il peggio di se stessi. L'acustica infelice? Esibizione senza le band abituali? O forse l'emozione, perché tentavano di ricordare Lucio Dalla? Il caldo, la paura delle scosse? Forse di tutto un po', ma il risultato finale è apparso tragico. Stonature, mancanze di voce, la Pausini a trombetta monocorde, Cremonini in parte fuori tempo, e molto fuori voce e nota, capace addirittura di dimenticare le parole di un testo arcinoto come l"'anno che verrà", Belli quasi afono, Morandi patetico, che non ce la fa più.
Come non immaginare il povero rievocato che tra le nuvole,  sentendo i latrati sottostanti, avrà fatto quella sua faccia da folletto furbo, E avrà commentato a modo suo: ma andate a dar via el ciap, brutti cagnacci!
Certo il carrozzone era montato, Frizzi era caricato a molla,  le madonne pellegrine mobilitate e non si poteva rivedere il tutto. Magari immaginando una formula un po' meno scontata che avesse maggiore rispetto della  tanta buona musica di Dalla. E se non si poteva fare diversamente, era forse il caso di suggerire agli invitati di imparare a memoria almeno una - dico una - canzone di Lucio, senza fidarsi della memoria. Che in alcuni casi fa brutti scherzi. Chi può dimenticare la tragica esibizione  televisiva di Celentano di qualche anno fa, quando ebbero la pessima idea di affidargli una canzone di De Andrè in una serata rievocativa del cantautore genovese. Una pena infinita! 
Molti di questi interpreti, ormai raggiunte ragguardevoli età sempre calcando le scene, dovrebbero riservare l'impegno - se proprio non ne possono fare a meno - allo studio di registrazione. Tra le mura ovattate di quei laboratori di alta tecnologia, tra "trucchi e parrucchi", camuffamenti, campionature e aggiustamenti informatici vengono annullate quasi tutte le "zelle" come diciamo noi a Oxford, dalle parti di Forcella.  E sembrano tutti angeli melodiosi, perfettamente in tono, per la gioia di fan e discografici.
E sempre per la serie "zombie alla riscossa" appena finito il concertone, l'ineffabile "neo parlante" Bruno Vespa ci ha riservato una chicca deliziosa. Era inquadrato in primo piano quel che resta del quasi ottantenne Edoardo Vianello. Una bambola! Rifatto quasi in tutte le parti possibili, con cinque centimetri di cerone e la boccuccia con un rossetto rosa tenue che valorizzava i contorni della bocca. Anche lui tuffato nei ricordi di quando dominava le classifiche estive con quei brani indimenticabili, tipo Abbronzatissima o Con le pinne, fucile ed occhiali. E Vespone nostro a slinguare persino sui ricordi dell'ottuagenario imbalsamato.
Pago il canone, numero di abbonamento ........... e per fortuna sul tardi Rai movie ha proposto un bel film che avevo perso: "Matrimoni ed altri misfatti", film del 2009 di speciale garbo. Dove il paradossale sembra verosimile, grazie alla grazia interpretativa della Buy ed all'efficacia della sceneggiatura. Ero "groggy" alla fine. Soddisfatto però di aver visto almeno una cosa decente.

mercoledì 20 giugno 2012

real politica batte utopia 25 a zero

Giunta municipale di Napoli. Perde pezzi, uno dopo l'altro. E il Sindaco che fa? De Magistris risultò come il più amato dai napoletani e riuscì nella difficilissima impresa di battere le locali agguerrite conventicole di PD e PDL. Applausi, speranze, e qualche atto concreto nell'indicazione di nomi di prestigio a rappresentare l'amministrazione.
Dopo pochi mesi quel progetto sembra definitivamente naufragato sugli scogli aguzzi della politica reale. Che lascia solo i relitti di una fantastica utopia a cui molti avevano dato credito. Avevamo pensato e ci eravamo detti: ma non può essere sempre la stessa solfa.Questa volta  ci sono nomi di giovani, qualificati rappresentanti della società civile e delle professioni. Sarà la svolta!
Macché, siamo punto e daccapo. I nomi di punta se ne vanno, sbattendo  la porta. E rinfacciando al Sindaco di non aver tenuto fede agli impegni assunti al momento della costruzione di quell'equipaggio.
All'inquilino di Palazzo San Giacomo viene addebitata  una azione di governo pavida, insicura, di esclusiva facciata. Negli ultimi tempi, vistosi perso, ha addirittura auspicato che rientrino dalla finestra quei nomi di apparato PD che lui stesso aveva sbattuto fuori dalla porta, accompagnato dai peana e dai pernacchi popolari.
E' l'ennesima sconfitta dell'ideale, alto quanto si vuole, ma pur sempre distante dalle necessità reali e dalle difficoltà che comporta qualsiasi forma di amministrazione. Figurarsi a dover agire in una città disgraziata e priva di decoro civico come Napoli.
Caro Giggino, ci hai fatto fesso pure tu. Manco fossi Schettino, hai condotto in poche ore di navigazione la nave ad adagiarsi su un fianco. 
E pur continuando ad essere convinto che tu sia meglio della tua imbarazzante alternativa proposta dalla destra, devo con tanto rammarico prendere atto ancora una volta che con le parole, gli slogan, i richiami ai valori etici non si va da nessuna parte.
Aspettando il prossimo Masaniello!

giovedì 14 giugno 2012

questa è la fine , signor tassista

 catalanoguido

questa è la fine
strepitosa ragazza
sì, questa è la fine
finalmente questa è la fine
ce la siamo sudata
è stata una lunga, lunga camminata
e così
questa
è
la fine
(tutti insieme: oh yea)
non ti scusare per le cattiverie
spesso le cattiverie sono verità
e la verità è cosa buona, giusta e santa
buona come il pane
non ci si scusa per il pane
e non ci si scusa per la pioggia
non ci si scusa per i baci
non ci si scusa per i meravigliosi gatti
non ci si scusa per il cielo azzurro
non ci si scusa per i tetti
non ci si scusa per gli occhi verdi
non ci si scusa per aver detto a un uomo:
“tu non sei stato il mio più grande amore”
(tutti insieme: oh yea)
questa è la fine
generosa ragazza
sì, questa è la fine
è giunto il tempo di andare
qualcuno gentilmente può chiamarmi un taxi?
e mi porti dove crede signor tassista
guidi piano che soffro
il mal di macchina, intendo
no, signor tassista non sono lacrime queste
è pioggia
sì lo so che non piove signor tassista
non si preoccupi per la mia faccia
lei guidi, guardi avanti e taccia
verso est?
verso est va bene
e se ti chiedo ti tornare indietro non farlo
(tutti insieme: oh yea)

mercoledì 13 giugno 2012

lettera ad un padre

Caro Mimmo,
ti scrivo nella notte tra il 3 e il 4 giugno 2012. Nella notte, cioè, in cui compi cinquantanove anni. Lo faccio perché sono incapace di farti altro regalo che non sia questo. Lo faccio chiamandoti per nome perché non sei solo mio padre, ma anche amico e complice, in questo momento, in questo periodo in cui non ho ancora smesso di esserti solo figlio e però vivo ancora con te e con la mamma. Lo faccio perché sei anche una guida, e arriva sempre il momento in cui il tuo spirito guida ti dice che puoi chiamarlo per nome.
Io so che tu sei Jimi Hendrix. Da piccolo guardavo il quadro del vecchio Jimi nel salone ed ero convinto che fossi tu, che tu fossi negro. Tu da giovane eri così, sempre abbronzato e magrissimo, con quei capelli riccissimi e neri. Sei il rock e il jazz, il blues, tutta la musica che mi hai passato senza spiegare. Tu sei Otis Redding che fischietta quella canzone sul molo. Sei i quadri che hai dipinto e che nessuno conosce perché non ti sei mai spacciato per pittore. Sei tutte le lampade e gli oggetti che hai costruito con le tue mani mentre mi raccontavi le trame dei film di fantascienza. Sei il Boris Vian de La schiuma dei giorni, che forse non hai neppure letto, ma sei proprio tu e vuoi salvare a tutti i costi la povera Chloè. Io ti ho visto rimanere sveglio per due giorni quando non sono stato bene. Ti ho visto rincorrerti e poi smettere per dedicarti alla mamma. Quando racconto di te in giro, quando racconto tutte le cose che so di te e che tu neppure sai, ho di fronte un pubblico in adorazione; perché, papà, la gente pensa che esistano le persone interessanti. Pensano che tu sia un tipo strano, un papà originale, ma non è quello il punto, e ogni volta devo spiegarlo. Se c’è una cosa che ho imparato da te, infatti, è che non esistono le persone interessanti: esistono le persone, punto, quelle vere.
Adesso che ci penso sembra che stia scrivendo da orfano. Ma non è così e tengo a precisare che sei vivo e vegeto, e che ti scrivo pubblicamente, da vivo a vivo, non solo per farti un regalo o, peggio, per un malcelato desiderio di autoviolazione della privacy; ti scrivo in questo modo perché se c’è una cosa che non si fa o si fa in maniera retorica, è ammettere quanto si sia debitori, nel bene e nel male, a un genitore. Potrei dire che i miei maestri si trovano tra i libri e i dischi, tra i filosofi e gli esegeti di questi tempi malaticci; ma io non sarei mai arrivato a quei libri e a quei dischi e a tutto il resto se non fosse stato per te. Soprattutto, tu oggi compi cinquantanove anni e li porti come dovrebbe portarli un uomo della tua età, e sei arrivato a questa età senza nascondere il peso e le amarezze che la contraddisintguono. Non ti sei nascosto, mai, e di questo soprattutto ti sono grato. In te ho visto l’uomo, non il feticcio inesistente che di volta in volta necessitiamo di innalzare a mito o distruggere, secondo la moda del momento. In ogni mossa sei stato tu, non un altro, l’unico Mimmo Montanaro che esiste al mondo. Porti il peso delle tue scelte e delle tue responsabilità come si porta sulle spalle un bambino: nel più naturale dei modi.
Arriva un momento – per me è arrivato molti anni fa – in cui comprendiamo che i nostri genitori sono uomini e donne, prima ancora che padri e madri. Uomini e donne che ci hanno messo al mondo e che con noi hanno imparato un mucchio di cose. Quel momento è molto traumatico e per me lo è stato, in effetti; ma al tempo stesso è stato un passaggio necessario. Così è stato necessario vederti soffrire e gioire, e poi ancora, per comprendere che sei un uomo; e che tipo di uomo sei. Come genitore non mi saresti bastato, in una vita intera non ci si può accontentare di esser solo dei figli per un genitore. E viceversa.
Così c’è stato quel viaggio. Tre anni fa, in questa stessa parte dell’anno. Io dovevo fare una cosa a Roma e l’unico modo che avevo per andarci era andarci in auto con te. Io lo sapevo che non ce l’avrei fatta in altro modo. Te l’ho detto come un gioco, “Andiamo a Roma”, e lo hai saputo anche tu, che era per me che dovevi farlo. Hai guidato tutto il tempo, per una notte e un giorno, e mentre io ero con gli altri tu sei andato a vedere Caravaggio per gli affari tuoi. Ci sei stato senza dire nulla, senza aspettarti nulla in cambio, come ci sei sempre stato non solo come farebbe un padre, ma con qualcosa in più. Questa cosa io spero soprattutto di imparare da te, la disponibilità umana. Che significa fare quel che si può e anche qualcosa in più, e non chiedere nulla in cambio. Non so se ne sono capace, anzi, sembrerebbe di no. Ma ho tempo per migliorare. Intanto non si contano le volte che mi hai raccolto in condizioni pessime, non si contano.
Sopra ogni cosa, però, mi hai insegnato a usare la mia testa. Mi hai insegnato il dubbio che viene dopo l’ascolto, solo dopo l’ascolto. Non mi hai negato nessuna esperienza, però so che non mi avresti perdonato se mi fossi mosso senza usare il mio cervello. A vent’anni, con netto ritardo rispetto a te o alla mamma, mi sono avvicinato alla politica. Avrebbe fatto comodo un figlio che la pensava come te, ma sei allergico al pensiero chiuso in se stesso e anche quando mi sono avvicinato al partito con la falce e il martello mi hai detto: “Ascolta tutti, ma usa la tua testa”. E così è sempre stato anche in seguito, in tutti gli ambienti che ho frequentato o che frequento. Così ho poi fatto anche con te e infatti non andiamo d’accordo quasi su niente, anche se a volte ci contraddiciamo solo perché siamo simili e innamorati allo stesso modo della chiacchiera e dell’esercizio retorico che impedisce di dar ragione agli altri.
Ti scrivo in un anno molto particolare. Mi sono accadute cose molto intense, diciamo così, cose che – pensavo – sarebbero arrivate, come dire, un po’ più dilazionate nel tempo (un po’ prima o un po’ dopo). Cose che ti fanno perdere il controllo, che ti fanno montare la testa o te la fanno perdere del tutto; eppure ritengo di avercela ancora sulle spalle, questa mia benedetta testa, anche un po’ più di prima (buona o cattiva che sia, non ha importanza, è sempre quella). Ecco, se tu ateo non mi avessi insegnato a non essere uno stupido e blasfemo materialista, se tu, a volte raggomitolato tra i tuoi fantasmi, non mi avessi insegnato l’apertura e la curiosità verso gli altri e l’inutilità e la volgarità della prevaricazione e del possesso a tutti i costi, se tu non avessi incoraggiato il mio spirito critico, probabilmente le cose che mi sono accadute mi avrebbero mangiato vivo. Invece mi hanno solo rosicchiato qui e lì. Sono tutto intero, Mimmo. E, a quanto pare, più passa il tempo e più ti assomiglio, anche fisicamente (anche se tu alla mia età i capelli li avevi fin sulla fronte, o almeno così dice la mamma).
Ecco, se io dico queste cose in pubblico, non è solo per vantarmi d’avere un buon padre; ma per dire che persone così esistono. Non si tratta di santi o divinità, ma di uomini, e questo è quanto trovo di buono ancora nell’umanità a trent’anni.
E c’è poi un altro motivo: perdiamo l’abitudine a dire le cose in tempo. Per orgoglio o imbarazzo, manchiamo l’incontro. Ma una cosa che ho imparato a mie spese, e anche, purtroppo, guardando alle tue esperienze, è che le persone ci sono quando e finché ci sono; dopo è troppo tardi, perché vanno via (e ne hanno tutto il diritto) o muoiono o che so io. E allora certe cose bisogna dirle in tempo. Non c’è altra scelta, e fanculo a cci ni voli male.
A proposito: quando le cose non vanno tanto bene, prendo a canticchiare (tu dici che non lo faccio mai, ma non è vero) quella canzone di Cat Stevens che spesso tu hai cantato a me. E allora per farti un piccolo sgarbo (è il massimo dello sgarbo che posso permettermi a quest’età) la metto qui nella versione di Johnny Cash, artista che tu non hai mai amato particolarmente – e questa è l’unica cosa che non ti perdono, ma fai ancora in tempo a recuperare, i dischi li ho tutti.
Auguri, papà. Cinquantanove non sono pochi e non sono molti. Non ci crederai ma anch’io un tempo ero come te, e so che non è facile, sei ancora giovane, e questa è la tua unica colpa…
Come continua?

lunedì 4 giugno 2012

se scelgo il silenzio..

In questo Paese, per la causa della libertà di opinione o forse anche parzialmente a ragione di essa, c'è stata una guerra civile. Di cui più passa il tempo e minori sono le possibilità di ottenere informazioni effettive. Cioè che non siano il frutto della violenza dei vincitori o del vittimismo dei perdenti. I quali ultimi, sotto spoglie svariate, sono da tempo riemersi a far capire che potrebbero pure aver perso una battaglia, ma la guerra vera è ancora in corso e le truppe della loro crociata non hanno mai smesso di pugnare.
Per uscire dal cul de sac, accettiamo una specie di dogma: la libertà di opinione esiste in Italia.
Qualche esempio apparente potrebbe ricavarsi dai social network e dai blog. Io mi faccio il mio blog e scrivo un diario interattivo, concetto ad onor del vero un po' antitetico, ma che dovrebbe riflettere il mio pensiero ovvero il maldipancia del momento. Il sistema è così concepito e i mugugni rispetto alle tante castronerie che viaggiono per il web sono malposti. Questa è  la nuova realtà virtuale alla quale "bongrè malgrè" dobbiamo adattarci.
Personalmente ho aderito da qualche anno alla soluzione blog e mi presento ai miei improbabili lettori come etrusco. Nel frattempo ho ceduto anche alla voglia facebook, inserendomi in siti dove in prevalenza ci sono giovani "postatori".
Che in qualche caso dicono fesserie a iosa, senza il minimo controllo neppure della logica delle esternazioni. Credo sia profondamente giusto. Avere poco più di venti anni e rimasticare pochi elementi cognitivi digeriti in famiglia oppure sproloquiare per slogan è un diritto! Il fatto stesso di rendere per iscritto un'elaborazione mentale porta avanti con il lavoro. Che, ahiloro, si completerà con il passare degli anni e la constatazione che molti degli argomenti di tradizione familiare si sono dimostrati superati dai tempi ovvero in contrasto con la realtà percepita. E che tante delle avventate frasi della gioventù assumeranno addirittura un sapore beffardo, se confrontate con un'onesta analisi delle vicende della propria vita.
A questi giovani l'augurio di poter sempre continuare ad esprimersi secondo coscienza. Anche quella che nel tempo matureranno e che potrà porsi in antitesi completa con gli odierni ardori.
Diventa invece assai difficile accettare le parole di soggetti di età avanzata che, ancora oggi, a distanza di sessantasette anni dalla fine della guerra, continuano a parlare come se stessimo affrontando il referendum costituzionale sulla forma della nazione ovvero stessimo vivendo il clima di frontismo degli anni '50.
E' passato il tempo anche per loro? Hanno vissuto o si sono fatti ibernare nel frattempo? Solo una possibilità del genere rende plausibili le loro "intemerate" populiste ovvero parole che sono soltanto susseguirsi di slogan in voga nell'immediato dopoguerra. Che cosa hanno fatto questi signori nel frattempo? Hanno partecipato alla lotta in prima persona pagando tutti i prezzi che l'esposizione comporta? Oppure si sono semplicemente ritagliati il ruolo di grilli parlanti con riserva di ogni forma di censura?
E ancora: snocciolare "pronunciamenti" senza un filo logico, privi di una proposta concretamente adattabile alle necessità del momento, è operazione di intelligenza politica?
Io credo proprio di no. Ed è ancora più amaro prendere atto di fenomeni del genere se provengono da soggetti in teoria capaci e qualificati. Occasioni perse per i contesti di riferimento e persino umana delusione: fare i conti con se stessi è sempre l'esame più difficile.

mercoledì 30 maggio 2012

Giorni di cattivi pensieri

Giorni di pensieri cattivi.  Oppure, forse meglio, le angustie da prima pagina.
1) perché a morire di terremoto sono sempre gli operai? Quale forza disperata di attaccamento alla propria fonte di reddito induce o costringe tante povere persone a non allontanarsi dalla sede di lavoro, nemmeno quando sta crollando tutto?
2) Ricordare a tutti che in caso di terremoti le chiese non sono posti sicuri. A ciascuno la propria devozione, ma non venga in mente di affollare i luoghi di culto. Le nostre chiese, talvolta meravigliosi esempi di passate architetture, sono posti pericolosi. I denari raccolti dai fedeli e dallo stato sono normalmente impiegati per la sopravvivenza del clero, mentre il patrimonio immobiliare è invece sistematicamente trascurato. Volte , tetti, arcate, campanili: tutti da revisionare e da porre in sicurezza. In quei posti è più facile essere travolti da crolli di macerie. Lo sa bene il povero prete che per recuperare una statua di madonna è rimasto sotto una trave. Tenerissimo esempio di attaccamento, ma anche grave dimostrazione di incoscienza: per recuperare una statua di gesso non deve morire un uomo.
3) Rigor montis cerca di cacciare gli attributi. Ma il coro dei pretoriani lo costringeranno a ricoprirsi. Aveva detto, quasi per caso, una serie di cose giuste: Tipo: questo mondo del calcio, fatto da privilegiati che non conoscono crisi e ottengono sempre di più, ci ha rotto le scatole. Laddove ci aspetteremmo difesa di valori etici, quali impegno e lealtà sportiva, ci troviamo al cospetto del peggio dei mali italici: corruzione, prossimità ad ambienti malavitosi, turpe presa in giro dei tifosi e dei loro slanci. E allora, dice a mezza voce il capotecnico italiano, sarebbe il caso di prevedere una sospensione di due  o tre anni dei campionati.
Una cosa fantastica, a mio avviso. Consentirebbe ai milioni di abbelinati e rincoglioniti di tifo una pausa adeguata per disntossicarsi. Magari pensando un po' più a se stessi e meno ai loro idoli miliardari. Specialmente se sono giovani, potrebbero indirizzare forza e desideri verso qualsiasi altro valore che sia davvero tale. Allontanando dal Paese questa orda di ricottari che, a vario titolo e scrupolo, gestiscono le scommesse sportive.
Non se ne farà nulla: è una proposta troppo seria per una nazione discarica, gestita fino ad ieri da un capopolo a pompetta, impegnato nel "burlesque".
4) Un forte grido di popolo: abolite quella pagliacciata di parata del 2 giugno e destinate le risorse ai terremotati. Uditi i boatos, il capo condominio del quirinale tenta di prenderci sublimemente per il culo: la facciamo sobria, però!
3 milioni di euro non sono una cifra da capogiro. Ma in un momento in cui si intenda recuperare sia pure in parte minima il decoro nazionale, anche piccoli esempi non guasterebbero. Alla fine prevarrà la ragion di .. stato. I militari non vedono l'ora di mettersi quelle belle divise da parata. Truppe cammellate e carri viareggini sono impazienti di mettersi per via dei Fori imperiali, con tanto di pattuglia aerea rombante. La celebrazione massima della retorica statale, che non serve ad un cacchio, come tutti sanno, primo fra gli altri l'amministratore migliorista (?). Massimamente in un momento terribile per i migliaia di senza tetto e senza posto di lavoro. Si farà, ma sarà " in tono minore, dedicata alle vittime del terremoto". Mr. president, please, ci spiega un poco meglio Ke vordì? Leverete qualche medaglia ai generalissimi da operetta, luciderete meno le fanfare? Dimezzerete il rinfresco o i pennacchi ai corazzieri? Mancano ancora due giorni e un rigurgito di serietà è ancora possibile! 
5) Forminchioni. Frater militiae sanctae. Casto, solidale e memore. Ma perché non te ne vai a fare quello che, a mio fortissimo avviso, è il tuo sport preferito? Cioé a prenderla nel c.. Un'intera nazione, a cominciare dalla tua regione, avrebbe immenso giovamento dal tuo indirizzamento ad ovest o al lato "b". Ci risparmieremmo l'ennesima fuga di panzane e sconfessioni sul tuo caso. Hai preso i soldi? Bravo, ma al tempo stesso è suonata la campanella di fine turno. Scappa con il tuo circolo di sodali e goditi il maltolto. Tu saprai bene come utilizzarlo.. però allontanati e apri pure la finestra per far passare l'aria puzzolente che ci lasci.

lunedì 28 maggio 2012

La menzogna come presupposto

Nella piazza simbolo della fede, un gruppo di giovani. Con una grande foto di Emanuela Orlandi. Chiedevano che il papa parlasse anche del misterioso caso o che almeno nominasse la giovane scomparsa. Niente! Come sempre arroccata in difesa, la chiesa di Roma oppone il suo pesante carapace alla richiesta di verità. Mostrando in questo comprensibile  coerenza. Che nei secoli è stata la ragione della propria continuità: utilizzando il doppio binario dell'occultamento del vero e della opera di diffusione di ogni forma di ipocrisia. Questa è l'istituzione, capace di superare tutte le crisi, persino quella gravissima della fine del potere temporale. L'istituzione opulenta, carica di ricchezze materiali sottratte alla gente normale che crede. E spesso veramente ispira la propria vita ad alcuni principi di sobrietà umana e spirito di solidarietà.
Ho conosciuto persone e famiglie che hanno fatto proprio l'aspetto spirituale dell'insegnamento cristiano. Persone fantastiche, capaci di slanci di generosità impensabili per assistere malati, bisognosi, bambini rimasti da soli. Anche quando per loro questi gesti comportavano pesanti sacrifici.
E poi ho conosciuto tanti falsi credenti, osservanti per opportunismo, ipocriti capaci delle peggiori umane nefandezze, salvo poi presentarsi puntualmente alle funzioni domenicali ed ai sacramenti. 
C'è stato un tempo non lontano, dopo la guerra, nel quale essere atei o di altro credo, equivaleva ad una condanna sociale, all'emarginazione progressiva dalle opportunità di vita e di lavoro.
Nella grande azienda che ho frequentato, c'erano circoli di ispirazione religiosa più o meno nascosti, dove l'appartenenza e l'affiliazione significavano vantaggi in termini di progressione lavorativa; e per contro, essere accostati a sindacati o ad organizzazioni di sinistra comportava un automatico ostracismo.
Ma se torniamo ai nostri giorni, queste forti scosse che  attraversano tutta l'istituzione chiesa, rappresentate dal calo vistoso dei credenti, dagli scandali finanziari, dalle denunce per pedofilia ed omosessualità, dalle laceranti tensioni in periferia, dagli scontri cruenti tra le fazioni vaticane, dovrebbero far riflettere.
Il soglio di Pietro è invece irremovibile. Sa bene che qualsiasi concessione nel senso dell'apertura dei sepolcri coperti e dell'ammissione delle colpe  porterebbe in breve alla dissoluzione della "company". Che è  la più antica e che al suo pubblico vende da sempre la stessa merce: ricatti morali, spauracchio della morte, mercimonio delle indulgenze, mercato di qualsiasi evento umano, condizionamento delle coscienze.
Un esperto di marketing direbbe: "brand" vincente non si tocca! E allora, nemmeno questa apparentemente fragile figura di papa cambierà. E se anche volesse, non glielo consentirebbero le conventicole che ne condizionano pesantemente l'agire.
Un'occasione sprecata per quei giovani manifestanti che aspettavano in piazza uno squarcio di umanità. Questa chiesa ha paura di loro e della possibilità che il villaggio globale riveli una ad una tutte le atrocità coperte dalle menzogne cattoliche.

lunedì 21 maggio 2012

tifosi onesti

Diciamola tutta: che cosa c'è di meglio che la passione? Tutti quelli che hanno provato lo sperdimento della ragione per un sentimento, per un'idea, per un progetto, mi comprenderanno. E' bello lasciarsi andare, perdere i contatti con la razionalità e tornare allo stato primordiale dell'istinto. E' una pausa dai momenti della responsabilità, della coscienza. E la vita vale la pena di essere vissuta proprio per questi lampi che si aprono nella normalità della vita di tutti i giorni, allontanando anche se per un poco ansie e pensieri tetri. 
Chi ha vissuto come me una gioventù ispirata dalle le passioni della politica, mi capirà. Ancora oggi, a distanza di oltre quarant'anni, rivedo alcuni dei compagni di viaggio di quei momenti per noi epici. La nostra meravigliosa incoscienza ci portava a credere fermamente anche negli spropositi che gridavamo come slogan e che animavano i nostri giorni e le nostre notti. Notti di occupazione all'università, di paure e di piccoli eroismi. Ma anche di innamoramenti repentini o di odii improvvisi. Di famiglie che rompevano e che minacciavano misure draconiane. Di amici che non condividevano e ti facevano sentire isolato come i giorni dei "filoni" a scuola. Ma c'era tutto, specialmente l'entusiasmo degli anni verdissimi ed il passaggio pieno di incognite ad una vita adulta.
E così mitizzavamo i nostri leader studenteschi che ai nostri occhi  sembravano coraggiosi, lucidi e decisi.  Le stesse tensioni emotive che riservavamo ai campioni dello sport. C'era, è vero, una non trascurabile corrente di pensiero giovanile che ci ricordava che anche quelle erano figure borghesi, da cui prendere le distanze, ma alla fine la passione per i colori della squadra o per l'atleta del cuore avevano il sopravvento.
Poi insieme agli anni sono caduti molti veli del  mondo dello sport. Lasciando trasparire la trama sempre più scadente e compromessa di quel mondo. Figure di mercenari pronti a comprare e vendere tutto, marchettisti un tanto a parola, falsi profeti che curano esclusivamente i propri interessi. Insomma un mondaccio fatto di uomini indegni di ricevere tributi di passioni e di entusiasmi della gente normale. Che va a lavorare in condizioni impossibili per tirare avanti. Che sopporta l'indicibile dai vari "caporali" che incontra. E che al momento opportuno vorrebbe credere almeno in qualcosa.
Con il tempo ho accettato l'idea che una partita di calcio è soltanto uno spettacolo. Se accetto di vederlo non devo farmi tante domande, ma solo godere del bel gesto tecnico o della coralità di una manovra. Senza chiedere di più. Gli uomini bandiera? Scomparsi. L'amore per una maglia? Solo a condizione di essere lautamente compensati. Ed insieme a tutto questo incontri venduti, giocatori disposti a tutto. Un minuetto cadenzato dal ritmo del denaro, scandito da enormi interessi in ballo.
E con questo, nel mio caso, è finito il tifo. Anche quando la mia squadra vince, resto a farmi tante domande. Ed a chiedermi se è giusto che ancora tanta gente si getti nelle strade a gioire e sia disposta a fare sacrifici per dare lauto alimento ad un mondo fatto di sfruttatori e mercenari.
Scusatemi, ma io mi riprendo la mia libertà di fregarmene. 

martedì 15 maggio 2012

quanto pesa un imbecille?

Meraviglia e al tempo stesso sgomento. Ebbene si, ormai non c'è più alcun ambito umano che non venga sottoposto ad indagine. Ma riuscire anche solo ad immaginare che un gruppo di scienziati dedichi il proprio tempo, verosimilmente prezioso, ad un argomento come il costo sociale dell'imbecillità,  non mi aveva sfiorato. Uno studio durato circa 5 anni e condotto in varie città USA e canadesi si è concentrato per accertare il peso del fattore imbecillità su una collettività. Si avete capito bene, sono tempi difficili!
Gli studiosi impegnati in questo processo di valutazioni e ponderazioni sui comportamenti umani sembrano convinti che l'imbecille classico apporti più danni delle calamità naturali. Domanda legittima: ma chi è l'imbecille tipo? Apparentemente si tratta di un soggetto qualsiasi, antropologicamente non meglio identificabile. La razza, il colore della pelle, il livello socio culturale, l'età e le convinzioni religiose non sembrano avere una decisiva influenza sull'individuazione del perfetto imbecille. Che si annida in ogni dove, pronto a testimoniare con azioni e pensieri la sua presenza. Che purtroppo, conti alla mano, non incide negativamente soltanto sulla sua esistenza. Anzi il PI vive in un atmosfera quasi beata di autogratificazione. Sono ahiloro, gli altri a doverlo subire. Con le sue saccenterie, le sue inutili dimostrazioni, il fare o pensare quasi sempre la cosa inutile o sbagliata. Il tempo perso o mal utilizzato a causa di un PI, sia in ambito pubblico che privato, viene stimato in alcuni miliardi di dollari in un anno.
Mi è venuto subito alla mente un tale che abita nel mio palazzo. Aria ascetica, da finto pensatore, uno dei peggiori che abbia mai incontrato. Perché oltre a comportarsi da PI, ha tutta la prosopopea del docente, con buona pace e ricordo rispettoso degli sfortunati allievi. Lo conoscono tutti bene e lo scansano con accuratezza. Perché quando lui racconta una cosa qualsiasi è capace di muovere l'aria intorno alle sue corde vocali per alcuni minuti, in modo completamente vacuo e senza effetto. Quanto alla pratica, nei posti auto che circondano gli spazi del palazzo è l'unico ad aver conservato pali e catenacci a salvaguardia dell'area di sosta della sua auto. Immaginabili le quotidiane maledizioni che riceve dagli altri che pure lo hanno invitato ad eliminare l'inutile presidio. Lui, niente. Va avanti per la sua strada, perfetto interprete della parte che la vita gli ha assegnato, a discapito di tutte le assicurazioni fornite dagli altri inquilini che mai ardirebbero parcheggiare in quello spazio privato.
Ultimamente ho letto, sia pure in modo incidentale, di un altro soggetto che nonostante tutte le spiegazioni che gli sono state fornite sulla differenza tra fazione e politica, tra interpretazioni di comodo e civiltà, resta inamovibile nella sua posizione di critica becera e preconcetta al termine " politica ". Che gli possiamo fare? Niente, ma pensate soltanto al tanto tempo perso da alcune persone normali che si sono premurate di dare risposta al suo "ritornello".
E lui, come tutti i PI che si rispettino, potrebbe persino invocare la difesa costituzionale: il diritto ad essere fessi è irrinunciabile, guai agli altri, semmai, che dovranno subirlo impunemente.