sabato 28 giugno 2008

Circoli e vecchi veleni


Le cronache dei quotidiani napoletani si spostano dall’emergenza rifiuti per toccare un argomento che se non fosse comico apparirebbe tragico. Il presidente di uno storico circolo nautico lancia invettive contro Re Juan Carlos reo del gravissimo affronto di aver visitato il “nemico” club nautico diviso dal primo solo da una fioriera. Strali altissimi per l’offesa subita, con frasi degne di una dichiarazione di guerra: “la mia schiena resta dritta, non l’avrei piegata nemmeno per Carlo V” e ancora”vedrò la finale Germania Spagna con i soci del mio club e tiferemo tutti per la Germania”. Va bene il caldo che porta ad esternazioni incontrollate, va bene anche la difesa del gonfalone sociale, ma il senso del ridicolo che fine ha fatto? Già il fatto di sapere che due club che distano pochi centimetri l’uno dall’altro abbiano “rivalità antichissime e divisioni insanabili” ci porta ad una prima considerazione di come lo spirito sociale sia spesso frainteso e diventi lo strumento per superflue separazioni e non necessarie fazioni. Non si poteva, e me lo domando da semi “paria” senza diritto di accesso a tanta gloria associativa, invitare per una prossima occasione il regnante a passare qualche momento nel circolo reietto? E’ uno squarcio estremamente significativo di che cosa siano i nostri circoli o meglio di come si siano ridotti. Un paio di mesi fa abbiamo saputo che in un altro circolo nautico i soci hanno vietato il diritto di associarsi alle donne. Siamo al paradosso ed alla violazione sistematica di ogni logica evolutiva. E tutti circoli in parola, nessuno escluso, sono in regime di concessione, occupando suolo pubblico. Ma non bastano episodi del genere a far scattare la necessità di qualche controllo pubblico sul rinnovo di queste concessioni, prendendo a discriminante l’applicazione negli statuti associativi dei principi democratici di uno stato moderno? Pare di no, questi circoli hanno prerogative che risalgono all’Italia preunitaria. Sembra una città lontana un milione di chilometri da quell’altra, prevalente, dove la lotta dei poveri per l’emergenza rifiuti rischia di avere esiti da guerriglia civile. Con pattuglie di prezzolati per due centesimi da una parte e l’esercito dall’altra. Anche sulla tolda del Titanic che affondava il ballo era in corso….

mercoledì 25 giugno 2008

la rivolta degli angeli


Un gruppo di angeli fuggiti dal Paradiso si incontra nella Parigi di inizio Novecento per cercare di organizzare l’assalto al potere divino. La rivolta degli angeli è il trionfo del piacere sulla frustrazione e il moralismo, è l’invito a una vita guidata dalla passione del sapere e dalla priorità del dubbio rispetto al dogma.

Messo all’indice e poi Nobel Anatole France, pseudonimo di Jacques Anatole François Thibault, nacque a Parigi nel 1844 e morì a Saint-Cyr-sur-Loire nel 1924. Il suo primo grande successo giunse con Taide (1890). Cui seguirono numerosi romanzi in cui eleganza e cultura si sommano all’ironia e a un indulgente epicureismo. Ottenne il Nobel nel 1921.
Antiborghesi, anticlericali, bibliofili: i protagonisti di La Revolte des Anges, sono fatti a immagine e somiglianza del loro autore
Piovono angeli su Parigi. Atterrano tra gli scaffali di una biblioteca secolare, custodita nei saloni del settecentesco palazzo d’Esparvieu che, all’ombra della chiesa di Saint-Sulpice, innalza i suoi tre piani austeri dai tempi della Rivoluzione Francese. Delle agitazioni del 1789, appunto, le creature celesti conservano bene coscienza e memoria se, a quasi un secolo e mezzo dagli irreversibili accadimenti, scelgono proprio la Ville Lumière, la città dei Lumi, per rinfocolare la scintilla di una grandiosa rivoluzione universale. Ma è di una sollevazione ben più lontana, precedente l’inizio dei tempi, che le soavi - non alate! - creature ravvivano il ricordo esemplare: la ribellione delle schiere di Lucifero, il più splendente dei Serafini, il più vicino al trono di Dio che, prima della nascita del mondo, mossero guerra al Creatore, contrattaccati (e vinti) da un esercito di Arcangeli in armi.
Rifacendosi a questi due celeberrimi, e documentati, precedenti - attestato l’uno, quello anteriore la Creazione, dalla tradizione cristiana e l’altro, quello inaugurale dell’età contemporanea, dalla tradizione storiografica -, Anatole France (1844-1924), nell’Anno Domini 1914, immaginò di datare alla vigilia della Grande Guerra una clamorosa Rivolta degli Angeli.
Con simili presupposti, la sublime sommossa - scatenata contro Dio, naturalmente, che nel romanzo porta il nome esoterico di Iaidabaoth - non poteva che essere clamorosa. Coeva alla catastrofe europea e foriera (almeno nelle intenzioni) di un rovesciamento degli ordini teologici, attinge ampiamente alla storia d’Europa e alle dottrine della teologia per trovare i propri motivi di ispirazione. La mano, però, che pesca da tanto gravosa sapienza, è per fortuna quella sapientissima, agile, leggerissima del vecchio France, sessantenne all’epoca della stesura di La Rivolte des Anges.
Edotto nell’esegesi testamentaria, nell’angelografla scolastica, nella demonologia gnostica, lo scrittore che, figlio di libraio crebbe in mezzo ai libri e si ammalò gravemente di bibliofilia, attribuisce ai suoi sovrumani rivoltosi le virtù del biblico Satana: audacia, orgoglio, malizia, fierezza. Illuminato dalla letteratura pamphlettistica e dal pensiero di spregiudicati philosophes, li segna di tutti i vizi dei liberi pensatori: sete di sapere, brama di conoscere, fede cieca nella filosofia naturale. Ma, dotato di genio ironico e visionario, si diverte a farli muovere, caricature di intellettuali bohémien, nei bassifondi della Parigi più colorita: "Gli albergucci di Saint-Ouen, della Chapelle, di Montmartre, nelle trattorie, le osterie, le case malfamate, le bische, le bettole, i lupanari...". O a infilarli, in pigiama forato, fra le lenzuola di una cocotte perché gli angeli, come gli uomini, amano (e desiderano la donna d’altri), e perché "una storia senza amore è come il sanguinaccio senza la mostarda, una cosa insipida".
Li priva delle ali - "Perché dovrei averne, signora? Sono forse obbligato a somigliare agli angeli delle vostre acquasantiere?" -, ma non della madrelingua ebraica, parlata dall’infanzia nel nativo paradiso: "Ah, siete ebreo! Avrei dovuto accorgermene dalla vostra mancanza di tatto", fa dire a un suo mortale personaggio lo scrittore che, da innocentista, difese strenuamente il capitano Dreyfus. Rinuncia, iconoclasta, all’iconografia angelica più stereotipata e, se proprio deve rifarsi a immagini consacrate da una tradizione, preferisoe l’arte e sceglie i dipinti di Delacroix i suoi angeli guerrieri, terribili, irati, ritratti, sulle pareti di Saint-Sulpice. Ma è a classiche, precristiane (neopagane?) fattezze che assomiglia la loro beltà: "Questo è il piede di un dio o di un atleta antico! La pianta che ha lasciato quest’orma è di una perfezione ignota alla nostra razza e ai nostri climi. Rivela, dagli alluci di un’eleganza squisita, un tallone divino".
La divina impronta, disegnata su una spolverata di talco, appartiene all’ultimo degli angeli custodi, come dire un sottoproletario nelle gerarchie celesti. E la traccia del colpevole che, nottetempo, si è insinuato furtivo nella storica biblioteca del suo "custodito") per sottrarne uno dei volumi più preziosi, "un inestimabile gioiello": il Lucrezio rilegato in marocchino rosso con gli stemmi di Filippo di Vendôme, gran priore di Francia, e con note autografe di Voltaire. Proprio quel raro esemplare del De rerum natura - guarda caso la summa della filosofia epicurea, materialista, edonista, sposata dallo stesso France ed esposta nei folgoranti aforismi di II giardino di Epicuro (1895) - varrà a formare le schiere dei Ribelli, preparati a far crollare sotto i colpi di argomentazioni razionali, oltre che degli esplosivi finanziati dai plutocrati della banca di Francia, la cosmologia dell’Onnipotente. Sull’esito della sortita preferiamo tacere: per non disperdere la solforosa aura di mistero che dalla prima all’ultima pagina avvolge come l’aureola gli angeli eruditi e bombaroli di France. Dissacrante, possiamo dire, fu certamente l’effetto del romanzo: nei confronti della borghesia parigina detestata dallo scrittore come della chiesa cattolica tanto invisa a quello spirito razionalista.
Moltissimo, in questo senso, gli angeli rivoltosi del romanzo hanno ereditato dal loro autore: le simpatie e le antipatie, l’ostilità al mondo borghese e l’aperto anticlericalismo. La passione bibliofila: dal negozio di papà, la librerie de France, prese il suo pseudonimo il romanziere che fu battezzato Jacques Anatole François Thibault e con il suo capolavoro, Il delitto di Sylvestre Bonnard, ha battezzato una casa editrice italiana, la Bonnard, che appunto lo pubblica. L’amore per il gentil sesso: gli amorazzi dei suoi angeli passionali smentiscono la fama di misogino dell’artista almeno quanto le vicissitudini sentimentali di colui che, due volte ammogliato, fu amante di una nobildonna patrona delle arti, Madame de Caillavet, e portò al suicidio una spasimante dama americana.
Soprattutto, del loro autore e creatore, gli angeli in rivolta hanno lo stile: urbanamente scettico, graziosamente edonista, pervaso dall’amabile disincanto, dall’ironica disillusione che non lo priva di una profonda partecipazione alle umane vicende di cui, divertito, sorride: "Gli uomini adorano il demiurgo che ha creato per loro una vita peggiore della morte e una morte peggiore della vita", fa dire al più pietoso dei suoi sobillatori. Tale sguardo sul mondo, anche quando eversivo dell’ordinamento del cosmo, fa di France il più degno prosecutore dello spirito del XVIII secolo. E la stessa visione dell’universo espressa nelle sue opere, messe all’indice dalla prima all’ultima dalla Chiesa nel 1920, gli valse, l’armo dopo, il premio Nobel, conferito "alla brillante impresa letteraria, alla nobiltà dello stile, alla profonda simpatia umana e alla grazia di un autentico temperamento gallico". A un simile letterario creatore, gli angeli di France non si sarebbero mai ribellati...

martedì 24 giugno 2008

Mina e Vanoni: un disco insieme? la debolezza fa l'unione


In questi giorni circola sulla stampa la notizia di un inedito duetto Mina-Vanoni che starebbero per incidere un brano, estraneo al vastissimo repertorio di ciascuna delle cantanti. Due cantanti che hanno contrassegnato il panorama delle voci femminili italiane con registri del tutto diversi: voce di bella estensione e coloritura la prima; straordinaria interprete, con note di seta la seconda. Con pubblici apparentemente diversi, più tendente al popolare la Mazzini, più riferita ad una platea colta Ornella. Memorabili alcune raccolte delle due, le cui cose migliori si concentrano tra gli anni settanta e la metà degli ottanta, anche per ragioni anagrafiche e di raggiunta maturità artistica. I periodi successivi sono tempi di accomodamenti. Mina è riuscita a mantenere intatto il mistero sulle sue apparizioni ed a diventare l'icona della "la cantante desaparecida", sia pure fisicamente distante qualche chilometro dall'Italia. Nonostante i continui tentativi di produttori e discografici, la cremonese si è nascosta rughe e chili dietro immagini in bianco e nero che la ritraggono fasciata da pepli protettivi, continuando peraltro a sfornare, a cadenza annuale, un dischetto di "testimonianza" artistica. Quasi a dire, io ci sono ancora, e contentatevi di quello che riesco a fare, comunque a modo mio. Ed il modo è sostanzialmente ancora suo, pur nelle inevitabili lacune di fiato e di forza; a latitare sono i testi e le musiche, tutti di scarso rilievo. Un po' per la generalizzata carenza del settore ed in parte per l'ostinazione della signora a scegliere di testa sua tra le varie proposte che giungono in disco o video presso l'esilio luganese.
La milanese, rifatta fino all'inverosimile ed oltre il grottesco, ama ancora esibirsi in pubblico e grazie all'affetto amoroso di Paoli ha fatto un paio di anni fa' un discreto disco a due voci. Al contrario di Mina, le sue corde vocali hanno ricevuto piacevoli sonorità dall'invecchiamento, addolcendo qualche strillo di testa, di colpo divenuto morbido.
Se hanno deciso di varcare il rubicone di quello che veniva rappresentato come un antagonismo umano e caratteriale, oltre che artistico, ci sarà pure una ragione. Forse commerciale, indotta dai discografici, forse legata all'ennesimo tentativo disperato di "uscire dal silenzio". Il pubblico degli aficionados, ancora corposo per entrambe, spera in un capolavoro. Staremo a sentire, chiedendoci comunque se non sia arrivata l'ora per le due artiste di dedicarsi ad un più significativo ed assordante silenzio.

lunedì 23 giugno 2008

elogio delle donne mature


Vigilia della II Guerra Mondiale, Budapest. Andràs Vajda è un adolescente sensibile e riflessivo che vive la sua educazione sentimentale dapprima facendo da mediatore tra le donne ungheresi che si prostituiscono per fame ed i soldati alleati, e poi cercando di sedurre le ragazze della sua età. Scottato da esperienze poco piacevoli, e complice una vicina sposata ma inquieta, decide di dedicarsi alle donne mature.

Tentare di fare l'amore con chi è inesperto quanto lo siamo noi mi sembra altrettanto sensato che avventurarsi in acque profonde senza saper nuotare con una persona che non sa nuotare. Se si ha la fortuna di non annegare, sarà comunque un'esperienza terrificante.

Dopo troppi anni di colpevole silenzio, arriva in Italia grazie a Marsilio questo gioiellino della letteratura del '900. Pubblicato nel 1965 in Canada da un giovane immigrato ungherese a sue spese dopo l'ennesimo rifiuto di un editore, ebbe un lusinghiero successo che dura tuttora, e non a caso. Molti critici sono giunti a scomodare Henry Miller, ma il tono generale del romanzo di Vizinczey è decisamente più lieve, ironico, innocente, insolitamente moderno. Il libro finge di essere l'autobiografia di un professore universitario di mezz'età di origine ungherese, che incuriosito e turbato dalle idee in campo di erotismo dei suoi studenti del Michigan, decide di narrare la sua educazione sentimentale: un escamotage a cavallo tra fiction e memoriale usato da molti altri scrittori, a volte con risultati memorabili. Le avventure dell'adolescente Andràs, che dopo aver constatato più volte con dolore, rabbia e frustrazione l'incapacità delle sue partner coetanee a relazionarsi con lui in modo sereno, disinibito e rilassato, decide di dirottare i suoi interessi sessuali su donne intorno ai quarant'anni, sono dense di un filosofeggiare misogino quanto basta e cinico quanto si deve che le rende una sorta di manifesto programmatico di una sessualità ilare, opportunista e disincantata ben poco politically correct ma decisamente divertente, coinvolgente, a tratti emozionante. Come non essere turbati dalla doccia della Contessa S., umiliata e al tempo stesso lusingata dal suo bisogno di prostituirsi, o dalla vestaglia stropicciata della signora Maya, ben consapevole della massima di Alexandre Dumas "Le catene del matrimonio sono così pesanti che bisogna essere in due per portarle, e a volte anche in tre"? Con stile molto 'mitteleuropeo' e mai volgare l'autore ci guida alla scoperta di figure di donne davvero indimenticabili, raccontate nella loro complessa umanità: di fronte a tanto, l'ormonale nevroticità delle teenager tanto celebrata al giorno d'oggi ne esce drammaticamente ridimensionata, se non a pezzi.