mercoledì 25 giugno 2008

la rivolta degli angeli


Un gruppo di angeli fuggiti dal Paradiso si incontra nella Parigi di inizio Novecento per cercare di organizzare l’assalto al potere divino. La rivolta degli angeli è il trionfo del piacere sulla frustrazione e il moralismo, è l’invito a una vita guidata dalla passione del sapere e dalla priorità del dubbio rispetto al dogma.

Messo all’indice e poi Nobel Anatole France, pseudonimo di Jacques Anatole François Thibault, nacque a Parigi nel 1844 e morì a Saint-Cyr-sur-Loire nel 1924. Il suo primo grande successo giunse con Taide (1890). Cui seguirono numerosi romanzi in cui eleganza e cultura si sommano all’ironia e a un indulgente epicureismo. Ottenne il Nobel nel 1921.
Antiborghesi, anticlericali, bibliofili: i protagonisti di La Revolte des Anges, sono fatti a immagine e somiglianza del loro autore
Piovono angeli su Parigi. Atterrano tra gli scaffali di una biblioteca secolare, custodita nei saloni del settecentesco palazzo d’Esparvieu che, all’ombra della chiesa di Saint-Sulpice, innalza i suoi tre piani austeri dai tempi della Rivoluzione Francese. Delle agitazioni del 1789, appunto, le creature celesti conservano bene coscienza e memoria se, a quasi un secolo e mezzo dagli irreversibili accadimenti, scelgono proprio la Ville Lumière, la città dei Lumi, per rinfocolare la scintilla di una grandiosa rivoluzione universale. Ma è di una sollevazione ben più lontana, precedente l’inizio dei tempi, che le soavi - non alate! - creature ravvivano il ricordo esemplare: la ribellione delle schiere di Lucifero, il più splendente dei Serafini, il più vicino al trono di Dio che, prima della nascita del mondo, mossero guerra al Creatore, contrattaccati (e vinti) da un esercito di Arcangeli in armi.
Rifacendosi a questi due celeberrimi, e documentati, precedenti - attestato l’uno, quello anteriore la Creazione, dalla tradizione cristiana e l’altro, quello inaugurale dell’età contemporanea, dalla tradizione storiografica -, Anatole France (1844-1924), nell’Anno Domini 1914, immaginò di datare alla vigilia della Grande Guerra una clamorosa Rivolta degli Angeli.
Con simili presupposti, la sublime sommossa - scatenata contro Dio, naturalmente, che nel romanzo porta il nome esoterico di Iaidabaoth - non poteva che essere clamorosa. Coeva alla catastrofe europea e foriera (almeno nelle intenzioni) di un rovesciamento degli ordini teologici, attinge ampiamente alla storia d’Europa e alle dottrine della teologia per trovare i propri motivi di ispirazione. La mano, però, che pesca da tanto gravosa sapienza, è per fortuna quella sapientissima, agile, leggerissima del vecchio France, sessantenne all’epoca della stesura di La Rivolte des Anges.
Edotto nell’esegesi testamentaria, nell’angelografla scolastica, nella demonologia gnostica, lo scrittore che, figlio di libraio crebbe in mezzo ai libri e si ammalò gravemente di bibliofilia, attribuisce ai suoi sovrumani rivoltosi le virtù del biblico Satana: audacia, orgoglio, malizia, fierezza. Illuminato dalla letteratura pamphlettistica e dal pensiero di spregiudicati philosophes, li segna di tutti i vizi dei liberi pensatori: sete di sapere, brama di conoscere, fede cieca nella filosofia naturale. Ma, dotato di genio ironico e visionario, si diverte a farli muovere, caricature di intellettuali bohémien, nei bassifondi della Parigi più colorita: "Gli albergucci di Saint-Ouen, della Chapelle, di Montmartre, nelle trattorie, le osterie, le case malfamate, le bische, le bettole, i lupanari...". O a infilarli, in pigiama forato, fra le lenzuola di una cocotte perché gli angeli, come gli uomini, amano (e desiderano la donna d’altri), e perché "una storia senza amore è come il sanguinaccio senza la mostarda, una cosa insipida".
Li priva delle ali - "Perché dovrei averne, signora? Sono forse obbligato a somigliare agli angeli delle vostre acquasantiere?" -, ma non della madrelingua ebraica, parlata dall’infanzia nel nativo paradiso: "Ah, siete ebreo! Avrei dovuto accorgermene dalla vostra mancanza di tatto", fa dire a un suo mortale personaggio lo scrittore che, da innocentista, difese strenuamente il capitano Dreyfus. Rinuncia, iconoclasta, all’iconografia angelica più stereotipata e, se proprio deve rifarsi a immagini consacrate da una tradizione, preferisoe l’arte e sceglie i dipinti di Delacroix i suoi angeli guerrieri, terribili, irati, ritratti, sulle pareti di Saint-Sulpice. Ma è a classiche, precristiane (neopagane?) fattezze che assomiglia la loro beltà: "Questo è il piede di un dio o di un atleta antico! La pianta che ha lasciato quest’orma è di una perfezione ignota alla nostra razza e ai nostri climi. Rivela, dagli alluci di un’eleganza squisita, un tallone divino".
La divina impronta, disegnata su una spolverata di talco, appartiene all’ultimo degli angeli custodi, come dire un sottoproletario nelle gerarchie celesti. E la traccia del colpevole che, nottetempo, si è insinuato furtivo nella storica biblioteca del suo "custodito") per sottrarne uno dei volumi più preziosi, "un inestimabile gioiello": il Lucrezio rilegato in marocchino rosso con gli stemmi di Filippo di Vendôme, gran priore di Francia, e con note autografe di Voltaire. Proprio quel raro esemplare del De rerum natura - guarda caso la summa della filosofia epicurea, materialista, edonista, sposata dallo stesso France ed esposta nei folgoranti aforismi di II giardino di Epicuro (1895) - varrà a formare le schiere dei Ribelli, preparati a far crollare sotto i colpi di argomentazioni razionali, oltre che degli esplosivi finanziati dai plutocrati della banca di Francia, la cosmologia dell’Onnipotente. Sull’esito della sortita preferiamo tacere: per non disperdere la solforosa aura di mistero che dalla prima all’ultima pagina avvolge come l’aureola gli angeli eruditi e bombaroli di France. Dissacrante, possiamo dire, fu certamente l’effetto del romanzo: nei confronti della borghesia parigina detestata dallo scrittore come della chiesa cattolica tanto invisa a quello spirito razionalista.
Moltissimo, in questo senso, gli angeli rivoltosi del romanzo hanno ereditato dal loro autore: le simpatie e le antipatie, l’ostilità al mondo borghese e l’aperto anticlericalismo. La passione bibliofila: dal negozio di papà, la librerie de France, prese il suo pseudonimo il romanziere che fu battezzato Jacques Anatole François Thibault e con il suo capolavoro, Il delitto di Sylvestre Bonnard, ha battezzato una casa editrice italiana, la Bonnard, che appunto lo pubblica. L’amore per il gentil sesso: gli amorazzi dei suoi angeli passionali smentiscono la fama di misogino dell’artista almeno quanto le vicissitudini sentimentali di colui che, due volte ammogliato, fu amante di una nobildonna patrona delle arti, Madame de Caillavet, e portò al suicidio una spasimante dama americana.
Soprattutto, del loro autore e creatore, gli angeli in rivolta hanno lo stile: urbanamente scettico, graziosamente edonista, pervaso dall’amabile disincanto, dall’ironica disillusione che non lo priva di una profonda partecipazione alle umane vicende di cui, divertito, sorride: "Gli uomini adorano il demiurgo che ha creato per loro una vita peggiore della morte e una morte peggiore della vita", fa dire al più pietoso dei suoi sobillatori. Tale sguardo sul mondo, anche quando eversivo dell’ordinamento del cosmo, fa di France il più degno prosecutore dello spirito del XVIII secolo. E la stessa visione dell’universo espressa nelle sue opere, messe all’indice dalla prima all’ultima dalla Chiesa nel 1920, gli valse, l’armo dopo, il premio Nobel, conferito "alla brillante impresa letteraria, alla nobiltà dello stile, alla profonda simpatia umana e alla grazia di un autentico temperamento gallico". A un simile letterario creatore, gli angeli di France non si sarebbero mai ribellati...

Nessun commento: