lunedì 29 dicembre 2008

la depressione dei democratici


Sembra che le difficoltà della giunta comunale non riescano a produrre altro che pessimistiche conclusioni sulla qualità politica degli esponenti della sinistra. Il sindaco Iervolino cerca di ricondurre le questioni, per quanto gravi, alla loro effettiva dimensione. Le odierne incertezze sulla scelta degli assessori da rimpiazzare nascono dai tanti dubbi manifestati dai politici interpellati. Ora, più che in passato, è chiaro che un'esperienza di gestione amministrativa a Napoli può rivelarsi per un politico in carriera un grosso salto nel buio. E così assistiamo ad una fuga più o meno dichiarata che ricorda gli attimi di terrore che precedono la convocazione alla cattedra per una interrogazione. "Oggi interroghiamo", sembra dire la professoressa Rosa. Venga, ehm, … Tal dei tali e tutti giù a nascondersi, a ricordarsi dell'amato seggio in parlamento, delle mai interrotte mire accademiche o professionali, dell'equilibrio delle proprie famiglie, dei legami con il diverso bacino elettorale. Uno spettacolo davvero edificante, che rifulge ancora di più se paragonato alle promesse elettorali degli stessi soggetti che in primavera parlavano di amore eterno per la città, di profonda attenzione per i problemi del sud. Sono tutti scomparsi, avendo cura di non lasciare tracce. E forse la nostra prof., con la matita protesa verso quel registro che resta desolatamente vuoto, ripensa a quando anche lei tentò la fuga, scoraggiata dalla gravità dei problemi e dalla qualità del contesto di accompagnatori. Un coro di sostegno e di invocazioni affinché restasse si alzò all'epoca da ogni dove, costringendola a restare, facendo leva sullo spirito di servizio della signora, sul suo senso delle istituzioni e forse anche su quello che in lei rimaneva di amore per la città. Sembra un secolo. Oggi tutti a piangersi addosso, pronti a scoprire nuove colpe, anche quelle mai commesse, da attribuire al PD e ai suoi vertici nazionali e locali. Chi ha ricordo serio e non distorto dei mali di questa città non potrà dimenticare la pochezza degli amministratori passati ed i guasti prodotti dalla loro indecorosa amministrazione. Questi certamente non attribuibili al PD dei giorni nostri. Quello cittadino sembra un destino immutabile, il cui corso non può venire alterato nemmeno dal vento della speranza. Quella stessa speranza che anni orsono ci fece illudere che forse c'era una strada diversa, che avrebbe potuto far diventare Napoli una città nel vero senso del termine. Forse sembrerà nostalgia o retorica, ma occorre ritrovare ad ogni costo quegli spunti di orgoglio civico. Sul grande interrogativo di come fare è più che mai aperto il dibattito. Partendo però da dimostrazioni di coraggio e di adesione alle richieste del Sindaco. Insomma, per restare al nostro gioco,offrendosi "volontari" alla cattedra e non nascondendosi dietro alibi e calcoli egoistici.

domenica 14 dicembre 2008

la solitudine del blogger


Capita anche a me di avere un lettore! Quando ho iniziato la mia esperienza di blogger ho anche pensato che qualcuno potesse dare uno sguardo alle mie divagazioni internautiche. Ma con il passar del tempo venivano meno i riscontri. L'unica a dedicarmi un commento era stata tempo fa Eli, a proposito delle mie considerazioni sulla famiglia. Tutto normale insomma. Improvvisamente si è materializzato a mezzo mail un signor "silvio" con poche garbate parole che mi hanno allietato. Prima considerazione semiseria: anche quelli che portano un un nome così possono avere sensibilità ed attenzione verso gli altri. Seconda: la consapevolezza che il blog non funziona soltanto come diario segreto delle nostre elucubrazioni. C'è chi può avere motivo per leggerci e sapere che esistiamo e desiderare di entrare in contatto. Tra le solitudini moderne c'è anche quella del blogger che pensa di attraversare una galassia sul razzo vettore del proprio piccolo narcisismo di scrivano. Non è così e non solo per luoghi frequentatissimi, del genere Beppe Grillo o per quelli dei personaggi pubblici. Ci può essere uno spazio di contatto anche per gli anonimi etruschi di tutto il web. Che d'ora in poi si sentiranno meno isolati e potranno condividere o dibattere con altri signori poco noti temi minuti, da conversazione nel bus o, come talvolta capita, riuscire ad elevare la conversazione fino a renderla umana e partecipata. E con il considerevole vantaggio di superare le barriere del rispetto umano e dei pregiudizi di casta, di ruolo o di posizione sociale ed economica. Una vera democrazia, nemmeno incrinata dal pregio formale dello scritto. Perché i contenuti superano le sirene delle apparenze e dei tentativi di parlar fino e si impongono con la validità delle idee e della logica che li sostiene.

mercoledì 3 dicembre 2008


Mi interrogo su quale possa essere la lettura corretta di un fatto che ha colpito l'opinione pubblica. Persino provocando la più classica delle divisioni tra innocentisti e colpevolisti. Un ex assessore, indagato dalla Autorità Giudiziaria per i disordini e le violente dimostrazioni di folla collegati alla rivolta di Pianura della scorsa primavera si toglie la vita. La comprensibile reazione di sgomento dei familiari di fronte ad un gesto tragico ha occupato i notiziari ed i giornali. Naturale che una moglie o i figli, costernati ed affranti, si pongano angosciate domande sul perché di una così tragica morte. A loro la nostra comprensione e solidarietà. Tutti gli altri, per nostra buona ventura, siamo al di fuori del lutto e siamo tenuti ad analizzare i fatti depurandoli, per quanto possibile, dai condizionamenti emotivi.Prima domanda: siamo certi che il profilo personale del povero Nugnes autorizzi una lettura del fatto solo collegata alla pressione esercitata dagli inquirenti? E' invece possibile che ci sia stata la forte incidenza di un fenomeno depressivo conosciuto o latente a determinare il gesto insano? Ed ancora. Si è parlato di un stato d'animo di "vergogna" insostenibile per il vulnus all'onore ed alla rispettabilità a causa delle indagini della magistratura. E' nozione abbastanza comune che uno dei deterrenti più efficaci alla commissione di reati è la concreta possibilità di vedere infranto quel perimetro di rispettabilità che ciascuno di noi sente come proprio. Più della certezza (?) della pena agisce quella consapevolezza di essersi conquistati un'immagine onorata nell'opinione pubblica e privata. Chi invece affronti in piena lucidità di pensiero le conseguenze delle proprie azioni, potendo anche immaginare le conseguenze negative di un'esposizione al giudizio degli altri, mostra di aver dato prevalenza alle ragioni che pensa di affermare, persino ponendosi in contrasto con le leggi dello Stato. Ha un senso ora delegittimare l'operato dei giudici richiamando in modo forse improprio i casi di suicidi di Tangentopoli? Credo di no, e non solo per essere sempre stato un poco coraggioso cittadino rispettoso delle leggi, ma soprattutto perché mi dissocio dalla tendenza a pensare alle leggi che non condivido come trasgredibili.

venerdì 21 novembre 2008

terra di chiaia, già percorsa..


Ci sono accenti di confusione nella accorata difesa del movimento “Chiaia per Napoli” fatta su queste colonne da un lettore che si dichiara deluso perché si sarebbe aspettato dal nostro giornale un commento di segno stimolante. Gli inevitabili interrogativi nascono dal tono marcatamente auto celebrativo dell’intervento che sembra pretendere una specie di apertura di credito senza garanzie, per il solo fatto che un numero elevato di persone che fanno capo al quartiere Chiaia abbia trascorso un paio di pomeriggi insieme. E che da quell’incontro sia stato prodotto il libro “i 3000 di Chiaia”. Mi pare che questi e solo questi siano i crediti effettivi della nuova formazione che, quale successivo step, intende dare vita ad una lista civica per le prossime elezioni comunali. Raggruppamento che, dichiarandosi al di fuori degli schieramenti tradizionali, intende ispirarsi ad un’idea straordinariamente nuova: una giusta società. La borghesia napoletana, perché di questo si tratta, invece di urlare al vento slogan senza pregio né spessore, dovrebbe preliminarmente compiere un passaggio di autocoscienza sui propri modi di essere, sulle scelte compiute nel tempo, ovvero mai nemmeno affrontate. Forse il penoso bilancio di responsabilità politiche e morali che ne deriva potrebbe consigliare un profilo più defilato, sia pure con tutti gli sbocchi e le derive elettorali che la democrazia consente. Ma senza pretendere consensi aprioristici, semmai dimostrando nei fatti, nelle azioni concrete, nell’abbandono dei toni della spocchia e della vecchia arroganza, di essere realtà diversa dalla suggestiva massa informe che ha dato vita a tutti gli “uomini qualunque” della nostra storia repubblicana.

giovedì 20 novembre 2008

ma la buca era lontana..


Leggo con grande perplessità le risultanze degli accertamenti dei Vigili Urbani nella Galleria Vittoria. Il povero Franco Nico, cui va un pensiero ed un ricordo affettuoso, sarebbe caduto a 65 metri di distanza dall’unica buca presente nel tunnel. Ben lungi dall’essere tranquillizzato da questi rilevamenti che sembrano escludere una responsabilità del Comune, esprimo seri dubbi sulla rispondenza della verifica. La perizia della Polizia Municipale avrebbe dovuto far emergere quelli che sono una serie di dati ben noti ai napoletani costretti a percorrere quel pericoloso budello. Primo elemento, anche in ordine di importanza, lo stato di illuminazione della galleria, assolutamente penoso e tale da mettere in costante difficoltà, specie nel passaggio dalla luce del giorno all’atmosfera soffusa e nebbiosa dell’interno. Questa criticità richiederebbe un’illuminazione adeguata con periodici interventi di manutenzione, certamente necessari a causa dei fumi di scarico e della massa grassa che vanno ad oscurare le lampade. Senza dimenticare poi i sampietrini, croce e delizia (?) dei motociclisti, che in quella sede sono, per le ragioni già esposte, ancora più viscidi ed insidiosi, rappresentando un pericolo permanente. Ultimo, ma non minore, lo stato indegno del marciapiedi presente nella grotta della Vittoria, non protetto e non segnalato, che, per la sua presenza e le condizioni in cui è ridotto, è una assai probabile causa di cadute ed incidenti. Le cronache di tutti i giorni ci riferiscono di infortuni di motociclisti, alcuni con esiti tragici. Mi chiedo quale sia il numero di vittime posto a “soglia” dall’Amministrazione per far scattare l’adozione di un piano organico di rifacimento del manto stradale.

giovedì 6 novembre 2008

obama, simbolo o veicolo


Barack Obama è il 44o presidente degli Stati Uniti. 47 anni, avvocato, nero, una bella moglie e due figlie, sembra rappresentare l'inverarsi del sogno americano. In quella terra, ci dicono da sempre, tutto è possibile, basta volerlo e lavorare per ottenere i risultati. La realtà è abbastanza diversa, purtroppo. Per ottenere visibilità e credibilità occorre passare al vaglio di una serie di tagliandi di controllo. E i controllori sono inesorabili e non lasciano passare un ago di differenza da quei criteri stabiliti e difesi dal potere reale. Senza generalizzazioni e semplificazioni di comodo, i veri meccanismi decisionali sono in poche mani. Sembrerebbe paradossale in una realtà così articolata e composita, ma il ritmo e l'armonia sono fissati da pochi nomi. Apparentemente sparpagliati nei due grandi partiti politici. Partiti che non sono tali in senso tecnico, ma piuttosto organizzazioni del consenso nei tempi di elezioni. Lo stesso simpatico Obama ha raccolto una somma ingentissima per sostenersi nella campagna elettorale ed ha dovuto accettare condioni tacite ed espresse da parte dei suoi finanziatori. Che non mancheranno di passare ad incassare la propria quota. Yes we can, certamente basta capire chi sono quelli che possono davvero. Al nuovo presidente gli auguri di aprire quelle menti finora inossidabili di milioni di votanti. Speranze di chiunque guardi a quella nazione onnipresente che ha deciso di fare la guida del mondo. Quindi anche di tutti noi e che nel tempo ha dimostrato di non avere alcuna cura o rispetto delle opinioni diverse. L'attacco a Saddam Hussein è la dimostrazione della forza pervasiva di qualsivoglia fandonia creata in quella terra. Per difendere interessi di bottega e smodati bisogni si può creare una verità che renda giustificabile l'uso della violenza, l'attacco militare. Si potrà dire che l'America ha votato Obama anche per dire basta a questo genere di manipolazioni. Ma la diffidenza nasce dal fatto che il sistema americano si autocelebra di continuo, non ammette messa in discussione ed è in grado di corrompere tutto e tutti. Forza Obama, non vorrei essere al tuo posto per nessun motivo al mondo, nemmeno per un minuto. Ma in ogni caso rappresenti la speranza di milioni di persone che ti hanno visto quale credibile simbolo di rinnovamento. Ti sostengano quelle speranze nei momenti tempestosi che ti aspettano.

mercoledì 5 novembre 2008

L'associazione nazionale "caduti dal pero"


Si iscrive di prepotenza al club dei “caduti dal pero” anche il povero onorevole Guzzanti. Saranno i venti di autunno, ma la scossa ha prodotto il tonfo e così malconcio il nostro ex rosso si è scagliato nel suo blog contro una ministra la cui colpa fondamentale sarebbe quella di essere arrivata agli onori massimi per meriti non politici, ma per essere particolarmente simpatica al capo. Qualcuno sospetta che l’intemerata abbia motivazioni di bassa cucina, ma restando ai fatti ci tocca l’ingrato compito di ricordare al nuovo associato che l’attuale presidente del consiglio risponde da sempre a stimoli primari. Dopo l’ondata di parlamentari e ministri per motivi di gratitudine e di necessità, del tipo compagni di scuola e coadiutori a vario titolo, si è passati alla successiva, quella degli avvocati di fiducia indispensabili, eccome, quando si è al centro di tante congiure. Terza ed ultima fase, quella un po’ patetica, dell’eterno femminino, con designazioni che sanno più di millanteria che di corrispettivo. Ma amico Guzzanti non se ne era accorto finora? L’idea centrale che lo anima del trionfo del liberalesimo gli aveva fatto sinora smarrire il significato profondo della compagnia di giro nella quale si era inserito? Non siamo d’accordo, onorevole, nelle nomine che oggi critica c’è lo stesso rispetto dello stato e delle istituzioni che ha animato lei, pochi giorni orsono, quando insieme al mitomane di turno, da presidente di una commissione parlamentare, intesseva una trama, successivamente rivelatasi inesistente, nei confronti di un avversario politico.

martedì 28 ottobre 2008

L'amaca 28 ottobre 2008 Michele Serra


Se è vero che ogni movimento progressista, per crescere e magari vincere, ha bisogno di un'utopia, o per lo meno di un grande azzardo, Veltroni sabato scorso l'ha enunciato con grande precisione. Questo Paese - ha detto - è migliore della destra che lo governa. Diciamo la verità: non ci crede quasi nessuno, neanche tra gli elettori di Veltroni. Chi più chi meno, siamo abbastanza convinti che questo sia esattamente il Paese che ha eletto Berlusconi, indifferente al conflitto di interessi, alle balle, alla prepotenza, alla demagogia, allo scardinamento dell'antifascismo e dello spirito costituente, all'infimo livello (culturale e morale) di buona parte della corte che circonda il leader. E' un Paese che per prendere le misure dal berlusconismo, ha avuto venti anni di tempo. E le ha prese così bene da rieleggerlo trionfalmente. Questa è la democrazia e amen.
In questo quadro, il solo pensiero davvero rivoluzionario che ci resta è ritenere che questo processo populista e neoreazionario sia rimediabile e addirittura reversibile. Quando Veltroni ha pronunciato quella frase, nonostante l'abitudine ad un ragionevole scetticismo, e nonostante una passione poltica ormai tiepidissima, mi si sono inumiditi gli occhi. Non perché ci creda, ma perché ci spero, ci spero con l'irragionevole energia di chi, se pure è rassegnato a un bilancio poltico e civile seccamente negativo, ha figli e non augura loro di crescere in un posto dove le regole le fa il più ricco, il più forte, il più furbo.

lunedì 27 ottobre 2008

Desiderata


Passa tranquillamente tra il rumore e la fretta, e ricorda quanta pace può esserci nel silenzio. Finché è possibile senza doverti abbassare, sii in buoni rapporti con tutte le persone. Dì la verità con calma e chiarezza; e ascolta gli altri, anche i noiosi e gli ignoranti; anche loro hanno una storia da raccontare. Evita le persone volgari e aggressive; esse opprimono lo spirito. Se ti paragoni agli altri, corri il rischio di far crescere in te orgoglio e acredine, perché sempre ci saranno persone più in basso o più in alto di te. Gioisci dei tuoi risultati così come dei tuoi progetti. Conserva l'interesse per il tuo lavoro, per quanto umile; è ciò che realmente possiedi per cambiare le sorti del tempo. Sii prudente nei tuoi affari, perché il mondo è pieno di tranelli. Ma ciò non accechi la tua capacità di distinguere la virtù; molte persone lottano per grandi ideali, e dovunque la vita è piena di eroismo. Sii te stesso. Soprattutto non fingere negli affetti, e neppure sii cinico riguardo all'amore; poiché a dispetto di tutte le aridità e disillusioni esso è perenne come l'erba. Accetta benevolmente gli ammaestramenti che derivano dall'età, lasciando con un sorriso sereno le cose della giovinezza. Coltiva la forza dello spirito per difenderti contro l'improvvisa sfortuna, ma non tormentarti con l'immaginazione. Molte paure nascono dalla stanchezza e dalla solitudine. Al di là di una disciplina morale, sii tranquillo con te stesso. Tu sei un figlio dell'universo, non meno degli alberi e delle stelle; tu hai il diritto di essere qui. E che ti sia chiaro o no, non vi è dubbio che l'universo ti stia schiudendo come si dovrebbe. Perciò sii in pace con lo spirito comunque tu lo concepisca, e qualunque siano le tue lotte e le tue aspirazioni, conserva la pace con la tua anima pur nella rumorosa confusione della vita. Con tutti i suoi inganni, i lavori ingrati e i sogni infranti, è ancora un mondo stupendo. Fai attenzione. Cerca di essere felice.

E' vero o non è vero?


Sposarmi io e con chi, non diciamo eresie. Era una vecchia canzone di Aznavour. Mi sembrava adatta. Poi con il tempo il legame con Eli, il suo modo di volermi bene, mi hanno convinto ad una cosa che sembrava lontanissima da me. Il 27 novembre, se ce la faccio ad arrivarci, mi sposo. Con la mia Lulù, donna paziente, attenta e distratta al tempo stesso, unica donna con la quale non sono mai stato costretto ad urlare o ad assumere atteggiamenti o posizioni per superare gli inevitabili contrasti che una vita assieme propone. Da dodici anni viviamo insieme e sono stati dodici anni sereni, con momenti migliori e peggiori, gioie e dolori. Ma nel complesso un bilancio assai positivo che ci consente ora di guardare al futuro con speranza. Vivere insieme, ma aiutandoci, senza irrigidirsi, pensando al bene l'uno dell'altro. Non mi sembra poco. Conosco coppie di tutti i tipi. Ma è veramente difficile sapere all'interno di ciascuna di esse se ci sia ancora amore o soltanto un affetto per trascinamento, quello che si può riservare a chiunque, all'amico, al parente o al semplice conoscente. Ci sono legami che apparentemente non stanno nemmeno in piedi, ma sono quelli che magari resistono di più, in cui i sentimenti si manifestano con la tensione invece che con la comprensione. Sarebbe bello capirci qualche cosa, ma sono convinto che nessuno ci "azzecca" in pieno. Se mi chiedessero quali sono gli ingredienti di un rapporto di coppia riuscito non saprei rispondere. Meglio somigliarsi o essere profondamente diversi? Integrazione degli opposti o trionfo dell'affinità? Meglio non saperlo forse. Meglio vivere le cose che ci sono davanti con entusiasmo, ponendosi gli interrogativi giusti e non quelli insormontabili. Intanto Malù mi sopporta e riesce a giocare con me. Un sacco di volte ci facciamo belle risate insieme. Talvolta siamo insofferenti, ciascuno desideroso di uno spazio proprio e di piccole indipendenze. Il primo giorno di lontanza, per tutti e due è vissuto bene, magari dopo il secondo sentiamo la mancanza l'uno dell'altro. Senza dimenticare che ci frequentiamo da quasi diciannove anni e che la mite Babuf mi ha raccolto quasi a pezzi, accollandosi un cataplasma che ai tempi era insostenibile. Volendo bene ai ragazzi, avviando un rapporto fantastico con Giovanni che adora, pienamente ricambiata. Mi pare tanto e spero per me e per lei che il resto sia bello e ci riservi finché sarà possibile serenità, allegria e capacità di comprensione.

mercoledì 22 ottobre 2008

Solidarietà a Saviano


Mentre l’intellighenzia di mezzo mondo si schiera in adesione all’appello dei sei nobel primi firmatari dell’appello a Saviano, abbondano le manifestazioni di solidarietà all’autore di Gomorra.
Sia pure con il massimo rispetto degli intellettuali e delle loro alte espressioni di sostegno, mi sembra di leggere un copione in larga parte scontato. E volevo vedere pure che questi pensatori dicessero al nostro: “Roberto cambia faccia come Buscetta e vattene in un posto del mondo lontano dall’Italia a goderti gli agi che ti derivano dalla diffusione del tuo libro”. Era difficile pensare che da terre lontane, molte per loro fortuna al riparo dalla morsa della criminalità organizzata, arrivassero messaggi diversi da quello di non arretrare e restare per incarnare il simbolo della voglia di legalità. Mi sembrerebbe peraltro assai più significativo se l’appoggio reale venisse dalla parte della gente normale, di quella maggioranza silenziosa, ostaggio quotidiano della violenza denunciata dallo scrittore. Proprio da quell’area, enorme e non ben definita, dovrebbero arrivare i segnali di solidarietà e vicinanza, magari con gesti minimi ma continui di cittadinanza attiva. Tentando di vivere un rispetto sostanziale delle regole civili, evitando prossimità anche involontarie al mondo dell’illegalità. Creando un modello virtuoso di comportamenti corretti, che manifesti la voglia di tutti di cambiare registro. Fino a poter realizzare il sogno di uno striscione che un giorno campeggi davanti ad uno stadio, ad una scuola, perché no a Casal di Principe, e che dica “Roberto, uno di noi!”.

lunedì 13 ottobre 2008

parcheggi fantasma


Tra gli avvocati napoletani circola una diffusa voce: il primo requisito professionale è .. lo scooter. Pare infatti impossibile aggirarsi tra uffici giudiziari cittadini e distaccati senza avere a disposizione le preziose due ruote. Come controaltare agli indubbi pregi, anche lo scooter, come ogni medaglia, ha il suo rovescio. Acqua, freddo, vestiti inservibili, schiene spezzate sullo splendido selciato urbano e periferico. Come se non bastasse, ci si mettono anche i vigili urbani che, abituati in passato a chiudere un occhio - e qualche volta di più - alle evoluzioni dei motociclisti, da un po’ di tempo a questa parte hanno iniziato una campagna sanzionatoria proprio ai danni delle moto. Indiscutibile il dovere della polizia municipale di garantire l’osservanza delle leggi. Pur tuttavia, gli interrogativi, anche di carattere giuridico, si concentrano sulle multe per divieto di sosta che spesso colpiscono i poveri dueruotisti costretti, per assenza di spazi appositi, a soste nei punti più impensabili. E’ lecito chiedersi quanti e quali siano gli spazi dedicati alla sosta delle moto in città e provincia? Sono adeguati al numero degli utenti? Quei pochi disponibili sono effettivamente occupati da moto e non da altri veicoli? La personale esperienza di 45 anni di moto mi fa rispondere di no. Come tanti altri, sono stato e sarò costretto ad essere un poco civile utente della strada, lasciando la moto in soste irregolari. Un esempio che vale per tanti altri casi: nella strada dove ho lo studio c’è un risicatissimo parcheggio moto. La sola popolazione motociclistica stanziale avrebbe bisogno di aree di sosta almeno cinque volte maggiori. Ci sarà un assessore competente al quale rivolgersi per ottenere una risposta? Oppure dovremo soltanto pagare le multe, particolarmente gravose, per sosta vietata su marciapiede, senza poter denunciare questa ennesima violenza metropolitana?

mercoledì 1 ottobre 2008

il familismo amorale


Nel 1958, l'antropologo americano Edward Banfield, coniò l'espressione "familismo amorale" per descrivere il comportamento degli abitanti di Chiaromonte, un piccolo paese della Basilicata, a cui fu dato il nome fittizio di Montegrano, oggetto di una sua analisi pubblicata con il titolo The moral Basic of a Backward Society (Le basi morali di una società arretrata).

Secondo Banfield, l'estrema arretratezza di Chiaromonte era dovuta "all'incapacità degli abitanti di agire insieme per il bene comune o per qualsivoglia fine che trascendesse l'interesse immediato del proprio nucleo famigliare". Ciò che particolarmente colpì lo studioso americano era la quasi completa assenza di vita associativa e l'estrema frammentazione del tessuto sociale se confrontata con quella di una tipica cittadina americana dell’Utah, St. George, dove l'antropologo aveva appena concluso uno studio sociologico.

Per Banfield, gli abitanti di Montegrano, erano totalmente incapaci di unirsi e cooperare per far nascere scuole, ospedali, imprese o qualsivoglia forma di vita sociale organizzata e di pubblico interesse. Egli sosteneva che, all'origine di quest’anomalia sociale, dovuta alla diffusa sfiducia istituzionale, assenza di spirito civico, mancanza di competenza e partecipazione politica, vi fosse un elemento eminentemente culturale e morale, un ethos tradizionale fissato nelle abitudini e nei costumi secolari della popolazione. Questo ethos, lo chiamò "familismo amorale" e lo riassunse così: "Massimizzare i vantaggi materiali e immediati della famiglia nucleare; supporre che tutti gli altri si comportino allo stesso modo".

I familisti di Montegrano, non erano solo diffidenti verso i vicini, gli amici e verso qualunque forma di cooperazione, d’associazione e d’iniziativa pubblica, ma anche verso gli altri parenti che consideravano in competizione per l'acquisizione di risorse scarse.

E, seguendo un'interpretazione già suggerita dallo stesso Banfield, numerosi osservatori italiani e stranieri, hanno identificato nel "familismo amorale" il tratto caratteristico della cultura politica degli italiani, di un ipotetico "carattere nazionale" che affonderebbe le proprie radici nella storia più remota della società italiana, spiegando la gracilità e instabilità del suo sistema democratico.

Banfield, dopo un po' d’anni, per una verifica alle sue tesi, ritornò nella cittadina italiana, ma subito constatò che nessun progresso sociale era avvenuto, tanto, che finì per affermare che non c'erano speranze neppure per il futuro.

Dalle mie parti, quando osservo la gente che abita in case sfavillanti, ma circondate da degrado; gente che non ha nessun riguardo per tutto ciò che è comune e non fa niente per migliorare o sollecitare chi dovrebbe garantire un decoro sociale; gente impregnata d’egoismo e senza ritegno, non posso che avallare l'analisi di Banfield.

lunedì 29 settembre 2008

tavola rotonda 4.10.09


Nel porgere il mio saluto ai presenti, trovo doveroso ringraziare chi ha voluto che io intervenissi in questo qualificato contesto. E’ stata per me l’occasione di riprendere tra le mani un libro incontrato oltre 25 anni fa e rileggerlo ora in un’ottica di diversa e di più pacata riflessione.
Lo sviluppo della vicenda sarà davanti agli occhi dei presenti che seguiranno la mirabile trasposizione cinematografica di Rosi, opera fedele allo spirito del testo. Il film lascia quella falsariga solo per sfruttare le possibilità del mezzo cinematografico, attraverso qualche momento spettacolare.
Levi, intellettuale legatissimo al cinema, con il quale era stato in stretto contatto, introdotto nel mondo delle sceneggiature, avrebbe verosimilmente assai apprezzato la rilettura portata dal regista sugli schermi.
Avrebbe soprattutto fatto proprio quel connotato pittorico dell’opera, la stessa atmosfera per immagini che pervade il libro.
Perché Carlo Levi era soprattutto un pittore o meglio tale si considerava, ancor prima di pensare a se stesso come scrittore o giornalista.
Alto borghese, naturalmente introdotto nel mondo intellettuale, nipote di Treves, il fondatore del partito socialista, amico di grandi pensatori, giovanissimo, porta a compimento gli studi di medicina, probabilmente per influssi familiari.
Lui, che aveva la vocazione e la passione della pittura e che aveva intimità amicale con Felice Casorati e con le principali personalità pittoriche del tempo, vedeva nella professione medica una specie di prezzo da pagare alla sua estrazione di agiato borghese.
Ma la parte intellettuale che era in lui non gli consentiva, specie negli anni giovanili, di vedere circoscritte le sue aspirazioni alla sia pure prestigiosa carriera sanitaria.
Il desiderio di conoscenza che lo animava aveva tanti orizzonti; dalla amata pittura al giornalismo, alla saggistica, all’ analisi sociale fino ai conseguenti approfondimenti nei temi della politica.
Eravamo però a metà degli anni 30 e l’Italia viveva da poco più di dieci anni l’esperienza di un regime che riusciva a mettere insieme, in una forma tutta italiana, il ridicolo, il grottesco e la compressione dapprima strisciante, delle libertà di pensiero e di espressione.
Uomini come Carlo Levi non avevano bisogno di influenze familiari per schierarsi.
Dall’altra parte del potere, ovviamente, sia pure con la cautela che compare in scritti che tentavano di affermare i diritti della ragione e delle conquiste di tutti i popoli della terra contro la barbarie dell’autoritarismo.
Per una precisa posizione culturale coerente con le sue idee, considerava la pittura manifestazione di libertà, in contrapposizione non solo formale, ma anche sostanziale, alla retorica dell'arte ufficiale, secondo lui sempre più sottomessa al conformismo del regime fascista e al modernismo ipocrita del movimento futurista.
Iscritto al movimento Giustizia e Libertà dei fratelli Rosselli, diventa bersaglio dei fascisti e per questo confinato nel 1935 prima a Grassano e poi nel piccolissimo Aliano, nel libro Gagliano.
Straordinarie le descrizioni di Levi che vede luoghi, persone ed atmosfere con gli occhi del pittore e che di quella visione manifesta una caratteristica straordinaria, quando descrive minuziosamente visi, corpi, occhi di chi incontra.
Per dirla con le parole di un recentissimo articolo di Pietro Citati, quando sottolinea la differenza tra le attitudini dei maschi e delle femmine, Levi denotava una sviluppatissima parte femminile, che gli consentiva di ricordare dettagli e particolari di chi gli era davanti. Dice Citati “La donna .. coglie l’atmosfera, il colore ed il profumo di ogni istante di vita: ricorda i vestiti, i golf e le scarpe, i costumi da bagno, i cappelli portati durante la propria esistenza..”
Ma ancora più straordinaria emerge l’umiltà del narratore, ricordiamolo, un intellettuale del nord, che non giudica e nemmeno tenta di inquadrare nei propri parametri cittadini quella realtà.
Si avverte un senso di sgomento nelle descrizioni, ma che non nasce dalla “puzza sotto al naso” del signorino settentrionale in terra di cafoni. Comprende come quella gente abbia bisogno di un riscatto ed intuisce quanto per gli abitanti di Grassano e Gagliano sia persino difficile arrivare alla consapevolezza di questa necessità. Quegli individui che escono di casa alle prime luci dell’alba per avviare un’impari lotta con i loro campi di argilla non potranno alimentare nei cuori che rassegnazione. E nemmeno la fugace illusione del sogno dell’emigrazione nord americana, evaporato all’indomani della grande crisi economica del '29, poteva ravvivare i cuori derelitti. Nessuna presa potevano avere su questa gente le lusinghe strombazzate del regime: la guerra in terra d’Africa…. quando il ponte sul Sauro, il fiume locale, era caduto da quattro anni e nessuno prendeva a cuore il suo ripristino! I paesani dicevano, senza parole, ma con i fatti: fatevela voi signori questa guerra. Tanto comunque andrà per noi non cambierà nulla.
Anche la Grande Guerra, finita da pochi anni, non aveva lasciato sedimento nei contadini: come sempre l’avevano subita, ed avevano fatto presto a dimenticarla. “Era stata una gran disgrazia e si era sopportata come le altre.” Come la siccità, la mancanza di spazi vitali, di strade, di collegamenti. Ieri si moriva sull’Isonzo e sul Piave, oggi in Abissinia per strappare una terra ad altra povera gente!
La Storia degli altri, alla quale i contadini si sono sempre dovuti rassegnare.
Proprio loro, cui era negato persino il termine di “cristiano”, riservato ai soggetti che con maggiore o minore forza erano messi in grado di rivendicare un diritto. Loro erano soltanto “zambri”.
Una sola guerra era in cima ai cuori di tutti: quella dei briganti, finita nel 1865, trasformata già in epica popolare, in mito, che vedeva schierati i contadini, quasi senza eccezioni, tutti dalla parte dei briganti. Zambri come loro, ma che avevano venduto cara la pelle, prima della resa davanti alla preponderante forza dei nemici.
Levi ci ricorda che:“Gli Stati, le Teocrazie, gli Eserciti organizzati sono naturalmente più forti del popolo sparso dei contadini: questi devono perciò rassegnarsi ad essere dominati”
Feroce la pantomima e la visione grottesca degli egoismi di quelli che sembravano vicini al potere. Nel microcosmo di Gagliano si ripete la trasposizione di un’antica lotta di potere tra galantuomini, preti, signori veri o presunti.
E loro, gli altri, gli emarginati, gli autentici servi della gleba, ad osservare queste mosche golose azzuffarsi senza tregua, animati da odi tanto più feroci quanto meno significativi erano i motivi alla base.
Levi si accosta con un rispetto da laico perfetto alle vicende del sacro che ispirano il Paese. Aliano non ha una linea di osservanza cattolica, anzi se ne discosta in maniera palese, osteggiando un prete che ha la sola colpa di essere stato, nel passato, un uomo vicino alle buone letture.
Colpa sufficiente per essere considerato, almeno dalla piccola oligarchia paesana, un soggetto pericoloso per l’ordine interno.
Osserva i riti spontanei della gente, le credenze negli animali a doppio nome, il timore dovuto alle presenze degli spiriti del bene e del male, la apparizione sulfurea del "sanaporcelle". Straordinarie le righe riservate ai monachicchi, folletti che si aggirano dispettosi a complicare le già impervie esistenze dei contadini. Sono gli elfi della tradizione sassone e teutonica, apparizioni maligne che sono simboli delle forze dell’aria, del fuoco della terra e dei fenomeni atmosferici in generale. Tante le leggende legate a queste figure: alcune parlano delle cattiverie che essi compiono nei confronti degli uomini, dei rapimenti di bambini. “Il loro carattere è di giocosa bizzarria e sono quasi inafferrabili. Nascondono una grande sapienza e conoscono tutto quello che è nascosto sottoterra”. Levi non si permette sarcasmi sulle credenze dei locali. Le rispetta, tenta di inquadrarle nel contesto generale di quelle vite angosciate.
Per difenderne la dignità si scontra persino con il suo gruppo di amici, nel corso di un fugace rientro a Torino: “ Tutti mi avevano chiesto notizie del mezzogiorno, a tutti avevo raccontato quello che avevo visto, ..ben pochi mi era parso volessero realmente capire quello che dicevo. Molti erano uomini di vero ingegno che dicevano di aver meditato sul problema meridionale e avevano pronte le loro formule e i loro schemi. Per essi il mondo dei contadini era un mondo chiuso, che neppure si preoccupavano di penetrare..Quindici anni di fascismo avevano fatto dimenticare a tutti il problema meridionale. Alcuni vedevano un mero problema economico…Altri non vi vedevano che una triste eredità storica. Altri ancora pensavano a una vera inferiorità di razza. Solo il nostro medico/pittore/narratore che è stato nel limbo degli “zambri” riesce a prevedere che anche dopo la fine del fascismo “ricreeranno uno Stato altrettanto, e forse più, lontano dalla vita ..perpetreranno e peggioreranno, sotto nuovi nomi e bandiere, l’eterno fascismo italiano.”
Il protagonista di Cristo si è fermato ad Eboli è un uomo colto, impegnato in prima persona nella storia contemporanea, che di colpo viene catapultato in un mondo stregonesco, con marcati caratteri magici e che prende consapevolezza che i suoi schemi di ragionamento non valgono più a Gagliano, sono in gioco altre ragioni, altri contrasti che sono al tempo stesso più articolati e più elementari. E che accetta tutto con una rassegnazione che in lui incomincia a farsi strada: “ Gagliano mi riprese e mi richiuse, come l’acqua verde di un pantano raccoglie la rana.”
L’alto valore di quest’opera come di tutte le creazioni, anche pittoriche, di Levi, si fonda su un duplice rifiuto: respinge ad un tempo l’oggettività di maniera e la pura soggettività. Quell’avventura della sua vita serve a raccontare il mondo ed a calarsi nella realtà che lo circonda. La Storia si confonde nelle storie minute senza soluzione di continuità.

martedì 16 settembre 2008

dodicesimo uomo


Dodicesimo, tredicesimo, uomo in più, forza trainante. Il pubblico del San Paolo si porta appresso la fama di fattore vincente per la squadra di casa. Luogo comune o verità, ovvero una via di mezzo e quindi, retorica a parte, pubblico calcistico come tanti altri. Senza mentirci oltre il normale confine del lecito, dobbiamo individuare la caratteristica di base di questa folla variopinta, ovviamente depurata della tara dei violenti a tutti i costi. E' un pubblico umorale, capace di esaltarsi con frenetici cachinni per la bella trama o il gesto tecnico raffinato; urlante e vociante, ma prima delle gare o se tutto fila liscio. Ma basta la prima nube o il primo rovescio della sorte e l'entusiasmo svanisce, con immediata ed automatica emersione di una feroce vis critica: "era meglio Pincopallo, Caio non si muove, Mevio è uno scarpone." E giù malcontento, fischi ed epiteti per generazioni ascendenti e discendenti." Anni luce di distanza da quei pubblici di altri Paesi capaci di sostenere la squadra in qualsiasi circostanza. Le critiche arrivano da ogni lato, senza risparmiare società, tecnici ed operatori di mercato. Folla con le sue simpatie ed antipatie, si dirà. E' un ragazzo napoletano? perdoniamogli qualunque fesseria perché deve crescere. Regola anch'essa con le sue ovvie eccezioni: chi ha memoria storica ricorda che un mediano anni 60/70, napoletanissimo e non privo di qualità tecniche, veniva accompagnato da un coro salmodiante di "scemo, scemo", anche quando faceva benino. Ultimo bersaglio della competente torcida azzurra il povero, onesto, ammirevole Montervino. Anche nell'ipotesi, piuttosto lata in verità, di un goal partendo in slalom dalla sua area, gli sarebbe in ogni caso riservata una folata di "buh". Il San Paolo, al posto del pedalatore nostrano, pretende Gerrard o uno dello stesso livello e chissene importa delle faccende economiche che impediscono l'arrivo di astri di prima grandezza. Per il momento la realtà è amara e davanti agli occhi di tutti: gli eccessi di un gruppo di scalmanati, rectius di mestatori di professione, impedisce alla gente normale di assistere ad una gara, pur avendo pagato per tempo biglietti o abbonamenti. Spalti vuoti, sanzioni esemplari ed innovative con gli azzurri senza nemmeno il sostegno fisico della loro folla. Mi chiedo: quando anche il non trasparente progetto De Laurentiis naufragherà per abbandono, chi chiameremo alla guida della squadra del cuore? Sarà quasi il caso di ricordare che molti dei possibili neo investitori sono al soggiorno obbligato o impegnati in faide di maggiore o minore profilo. Rischiamo di finire come il Messina o il Catanzaro, da vera capitale del Sud.

mercoledì 3 settembre 2008

il comandante acrobatico


Di grande impatto le foto sui giornali del neo comandante dei Vigili Urbani di Napoli che, di pattuglia con i suoi uomini, abbranca un motociclista in fuga. In carica da pochissimi giorni, il capo della polizia municipale ha dato un chiaro segnale di presenza operativa, in mezzo alla strada. La domanda che mi pongo è se si tratti dell’approccio corretto agli infiniti problemi posti dal traffico cittadino e dalle tante incombenze che ricadono sui vigili. Questo comandante, intendiamoci, non è persona da invidiare. Al centro delle attenzioni critiche della cittadinanza, dei politici e ostacolato da quella proverbiale ritrosia dei vigili napoletani a frequentare altri spazi se non quelli di bar e stanze di ufficio. Nutro la speranza, per non dire la certezza, che oltre a dedicarsi a spettacolari ed acrobatiche prese di indisciplinati, il nostro abbia intrapreso iniziative più consone al ruolo, quale quella di riunire l’esercito dei militi municipali e fare un discorso chiaro e coerente di richiamo alle responsabilità di ciascuno. Avviando soprattutto uno sforzo per meglio inquadrare quella inestricabile palude di consuetudini, accordi non scritti, intese di comodo, furberie ed omissioni che rendono utilizzabili al servizio in strada solo una parte minima della forza effettiva. E, da vero comandante, far capire a tutti: giriamo pagina insieme, riprendiamoci l’orgoglio che ci spetta, diamo ai napoletani l’immagine di una polizia municipale degna di una grande città!

martedì 2 settembre 2008

La Certosa di Capri


Giancarlo Giannini ha risposto con entusiasmo all’appello degli “Amici della Certosa di Capri”diventando testimonial dell’associazione no profit che dal 2006 si è impegnata a restituire splendore ad uno dei complessi monumentali di maggior valore storico/artistico del nostro Paese attraverso la raccolta di energie umane e di fondi destinati al restauro ed alla valorizzazione del complesso caprese. La Certosa è sopravissuta agli attacchi dei pirati saraceni, la peste, numerose incursioni, la soppressione religiosa, l'abbandono, la trasformazione in istituto penale, in caserma militare, in scuola e in ospedale, per riemergere nel 21° secolo come tesoro architettonico di valore artistico e culturale inestimabile. E vuole riprendersi la dignità ed il decoro che le spettano. Gli sforzi volti al recupero della Certosa sono coordinati da un autorevolissimo gruppo di esperti di notorietà internazionale e può contare sul patrocinio assicurato dalla sensibilità di istituzioni nazionali e di corpi diplomatici stranieri, quali le ambasciate USA e Canada in Italia ed i consolati di Germania, Gran Bretagna e Svezia. L’International Art Festival 2008 in programma a Capri dal 1 al 6 settembre non poteva trovare sede più suggestiva: ad aprire il calendario l’anteprima italiana del film Warchild diretto da C. Karim Chroborg, documentario sulla vita di Emmanuel Jal, l’ex soldato bambino sudanese, diventato stella del panorama hip-hop. Una storia originata dal fanatismo del padre dell’artista, uno dei signori della guerra sudanese, che aveva tentato di segnare in modo definitivo il destino del piccolo Jal, inviandolo con l’inganno in una scuola per l’addestramento militare. Nato nel 1979 nei dintorni di Bentiu, in una regione a maggioranza cristiana del Sud Sudan, devastata da una pluridecennale guerra civile, Emmanuel è figlio di un leader del SPLA (Sudan People’s Liberation Army), principale movimento di opposizione al regime integralista di Omar Hassan Ahmed al-Beshir. Le sue sventure sono cominciate quando insieme ad altri 400 ragazzini fu imbarcato su un battello diretto in Etiopia per favorirne la scolarizzazione: sovraccarico, il barcone andò a picco, causando la morte di tutti i piccoli passeggeri, salvo Jal e un pugno di coetanei: ma di lì a poco, fu arruolato dalle forze del SPLA e addestrato per combattere. Dopo mesi di combattimenti e malnutrizione, Emmanuel sarà soccorso e adottato da una giovane cooperante moglie di un ufficiale del SPLA, che però muore a 29 anni in un incidente d’auto. Trasferitosi in Kenia, Jal trova asilo in una scuola a Nairobi e nel coro di una chiesa scopre la vocazione per la musica. Nel 1995 incide "Gua" e il singolo sfonda in tutta la regione. Fino a diventare una sorta di ambasciatore del riscatto morale del Sud Sudan.

lunedì 1 settembre 2008

.
Il parco antistante la reggia di Capodimonte è uno dei pochi polmoni di verde di questa città. Si raggiunge facilmente da ogni parte della città, traffico e tangenziale permettendo. Lo stato di abbandono in cui il parco si è presentato ai miei occhi e di quelli che hanno tentato una tranquilla passeggiata domenicale di fine agosto non fa che assottigliare ulteriormente le già esigue speranze di vita normale in questa città. Camminare lungo i viali del parco dovrebbe poter consentire una salutare immersione in una affascinante macchia mediteranea fatta di lecci, aceri, tigli, olmi. L'incuria del sito è, almeno al momento, totale, Cumuli di spazzatura e sacchetti ovunque, viali coperti di annosi cumuli di foglie, alberi caduti ad ostruire i percorsi minori, i canali laterali di scolo intasati da tutto il possibile. Tutti cartelli di indicazione sono illeggibili, restano solo i supporti ed i graffiti metropolitani che li deturpano, rendendo così indecifrabile il percorso del visitatore tra edifici e statue. All'ingresso, oltre ai soliti abusivi del parcheggio, un posto dove è possibile noleggiare, a prezzi carissimi - tre euro per un ora - biciclette con tanto di sponsor di bibita scura. Intanto, la gente tenta di superare tutto questo, imponendosi la normalità, correndo, portando i bambini al fresco,improvvisando pic nic sui pratoni di erba secca, leggendo un libro o un giornale su quello che resta delle panchine. Meriterebbero di più, e meriterebbe attenzione adeguata uno dei siti monumentali più belli dell'Italia meridionale, destinato a rappresentare un biglietto da visita prestigioso per la città grazie alla coesistenza di parco e reggia. Chissà che ne avranno pensato i turisti stranieri del bus scoperto. Sarebbe stato interessante raccoglierne le impressioni, probabilmente influenzate dal diverso impatto delle immagini di parchi europei cui viene riservata la giusta cura.

mercoledì 27 agosto 2008

Napoletanità o scuorno


L’incisivo articolo di Marco Lombardi a commento del libro di Durante, “Scuorno” riapre un dibattito su uno dei luoghi comuni più resistenti, quel ripetuto e mai sepolto richiamo alla “napoletanità”. Con la umiltà dell’artigiano della riflessione ho tentato negli anni di individuare i caratteri distintivi di questo troppe volte abusato concetto, che come viene detto in maniera egregia, “ha lasciato scorrere fiumi di inchiostro”. E’davvero possibile astrarre dai comportamenti dell’uomo medio che abita questa città un compendio di connotati caratteristici dell’anima partenopea? C’è o c’è stato un consolidarsi di caratteri distintivi idonei ad evidenziare in modo non equivoco l’appartenenza allo spirito locale? Il napoletano è il filosofo che riesce a darsi spiegazione di tutto, capace di accettare con rassegnazione che passi “la nuttata”, istintivamente portato all’ironia, ricco di fantasia e incapace di autentica cattiveria? Ovvero il furbo, mai disposto ad accettare una regola di civiltà, sempre pronto a cercare scorciatoie e sotterfugi per il tornaconto proprio, con una morale a doppia faccia, quella personale e quella che dovrebbero osservare gli altri? I risultati di una sia pure modestissima ricerca che dura da sessanta anni non mi confortano. La nebulosa della “napoletanità” viene evocata quando torna comoda o fa da corredo a compiaciute rievocazioni di episodi di inosservanza delle regole del vivere civile. La realtà rischia di essere diversa perché frequentare tutti i giorni un caos crescente e spesso maleodorante rende ciascuno irritabile e pronto alla violenza, pur restando condizione irrinunciabile per andare avanti. Chi resiste, per necessità o per tenacia, impara che dovrà pagare prezzi sconosciuti nella maggior parte degli aggregati civili. Fino a perdere persino “o scuorno” , quella sana vergogna che ci dovrebbe far riflettere su tutti i nostri comportamenti scorretti o abnormi.

sabato 26 luglio 2008

parlamentare scandinavo


Leggiamo spesso che in altre nazioni, specialmente in quelle di più consolidata tradizione democratica, i parlamentari, al di fuori delle loro funzioni pubbliche, svolgono una vita normale: salgono e scendono dai mezzi pubblici, vanno a cinema o al mercato coi familiari, nemmeno disdegnando, ove necessario, la busta della spesa. Belle immagini di esistenza civile, nella quale c'è una precisa consapevolezza delle proprie attribuzioni, ma al tempo stesso una pretesa a difendere gli spazi privati.
Noi italiani, i napoletani in particolare, siamo da sempre abituati a subire l'ostentazione del potere, anche di quello minore, da sottobosco clientelare. Nei ricordi di tanti di noi sirene spiegate ed auto blu con guardia spalla schierati perchè si evitino contatti tra i cittadini e le eccellenze scortate. Diventa così ancor più straordinario quello che mi è capitato più volte negli ultimi tempi. Vedere un compagno di scuola già distintosi per meriti universitari, eletto al parlamento nell’ultima legislatura, camminare nel quartiere come se niente fosse cambiato. Abbigliamento semplice, in maniche di camicia, busta della spesa in mano, è un signore che fa shopping nel tempo libero, confondendosi tra la folla come tanti altri. L'esempio di questo nostro rappresentante ci apre il cuore alla speranza. Ma è forte il timore che si tratti di un caso isolato, legato alle convinzioni ed alla personalità altamente civile dell’onorevole. Ora le figure di riferimento si circondano di nani e ballerine pure quando vanno dal barbiere.

venerdì 25 luglio 2008

un civile registro


Rincuora sapere che l’ultraborghese e conservatore Vomero avrà un registro delle unioni civili. Un passo di grande maturità civica quello compiuto dalla Municipalità collinare, il cui Consiglio ha approvato il progetto che, come è stato sottolineato, non ha immediate conseguenze sul piano legale ma costituisce un importante precedente politico. Entro trenta giorni potremo leggere il regolamento di attuazione che consentirà a chi vorrà utilizzare questa opportunità, si tratti di gay o di etero, di conferire un primo aspetto formale alla propria unione di fatto. Le difficoltà e le polemiche passate e presenti non hanno scoraggiato i promotori di questa apprezzabile iniziativa che propone la Municipalità Vomero/Arenella come laboratorio di esperienze civili. Le reazioni dei benpensanti non mancheranno; la innovazione è comunque una interessante dimostrazione di vitalità per i un organismo che troppe volte è coinvolto in critiche per lo scarso ruolo rivestito.

giovedì 10 luglio 2008

il pavone vola via


Con una festa di chiusura mista di commozione e di domande senza risposta ha chiuso i battenti il Pavone Nero. Libreria di quartiere, ridotto spazio di libri ed oggetti d’arte dove i vomeresi andavano per respirare l’atmosfera unica creata dalla titolare Evelina Pavone e per ricreare ogni volta un piccolo circolo di bibliofili. Vani i tentativi, se ce sono stati di seri, di salvare questa significativa istituzione della zona collinare che ha chiuso i battenti senza che le istituzioni abbiano battuto ciglio rispetto alla fine, annunciata anche dalla stampa, di una preziosa esperienza culturale. Con rammarico grande, ma più forte senso della realtà, la dolce Evelina ha dovuto cedere alle implacabili logiche del commercio di settore, dove la forza dei grandi gruppi si impone in termini di sconti, di spazi, di facilitazioni. Scompare così dopo otto anni di attività un’irripetibile bottega del libro dove era possibile trovare anche la pubblicazione rara e ricevere un consiglio garbato ed una informata indicazione di acquisto. Ad abbassare la saracinesca circa trecento presenti, nello spazio piccolissimo della libreria e nella strada, per una volta animata di vivacità, tutti commossi per quanto stava accadendo, ma al tempo stesso pronti a leggere un brano, una poesia a tracciare su un foglio uno schizzo dell’evento. Ciao Pavone Nero, vola dove l’aria è più respirabile.

venerdì 4 luglio 2008

Grande lezione di umanità


Straordinario l’esempio di civiltà della famiglia del calciatore Ciro Caruso. Quel bambino, morto in circostanze tragiche in una piscina, darà la possibilità ad altri piccoli di vivere una vita migliore. I genitori del piccolo hanno autorizzato l’espianto di organi e così Alex ha fatto il grande dono di cornee, cuore, fegato e reni a bimbi affetti da malattie che ne compromettono la crescita e la salute. Non ho informazioni precise su Ciro Caruso, se non il ricordo di un atleta di talento e con buone prospettive, ma di altrettanta sfortuna per infortuni e malanni che impedirono una normale carriera sportiva. Abbiamo però ora un segno della sensibilità sua e della moglie rispetto ad una tematica di estrema delicatezza come quella della autorizzazione alle donazioni di organi. Grande segno di civiltà e di solidarietà umana in un contesto familiare composto da gente semplice e di estrazione media. Un insegnamento civile di profilo altissimo se raffrontato a quanto accade in altri casi di cronaca dove la appartenenza a ceti elevati non produce altro che manifestazioni esteriori e senza contenuti di reale profondità umana, limitandosi a centinaia di necrologi o a siti web dedicati. Mi piacerebbe trovare un giorno una strada, magari piccola, intitolata ad Alòex Caruso. Chiedo troppo?

sabato 28 giugno 2008

Circoli e vecchi veleni


Le cronache dei quotidiani napoletani si spostano dall’emergenza rifiuti per toccare un argomento che se non fosse comico apparirebbe tragico. Il presidente di uno storico circolo nautico lancia invettive contro Re Juan Carlos reo del gravissimo affronto di aver visitato il “nemico” club nautico diviso dal primo solo da una fioriera. Strali altissimi per l’offesa subita, con frasi degne di una dichiarazione di guerra: “la mia schiena resta dritta, non l’avrei piegata nemmeno per Carlo V” e ancora”vedrò la finale Germania Spagna con i soci del mio club e tiferemo tutti per la Germania”. Va bene il caldo che porta ad esternazioni incontrollate, va bene anche la difesa del gonfalone sociale, ma il senso del ridicolo che fine ha fatto? Già il fatto di sapere che due club che distano pochi centimetri l’uno dall’altro abbiano “rivalità antichissime e divisioni insanabili” ci porta ad una prima considerazione di come lo spirito sociale sia spesso frainteso e diventi lo strumento per superflue separazioni e non necessarie fazioni. Non si poteva, e me lo domando da semi “paria” senza diritto di accesso a tanta gloria associativa, invitare per una prossima occasione il regnante a passare qualche momento nel circolo reietto? E’ uno squarcio estremamente significativo di che cosa siano i nostri circoli o meglio di come si siano ridotti. Un paio di mesi fa abbiamo saputo che in un altro circolo nautico i soci hanno vietato il diritto di associarsi alle donne. Siamo al paradosso ed alla violazione sistematica di ogni logica evolutiva. E tutti circoli in parola, nessuno escluso, sono in regime di concessione, occupando suolo pubblico. Ma non bastano episodi del genere a far scattare la necessità di qualche controllo pubblico sul rinnovo di queste concessioni, prendendo a discriminante l’applicazione negli statuti associativi dei principi democratici di uno stato moderno? Pare di no, questi circoli hanno prerogative che risalgono all’Italia preunitaria. Sembra una città lontana un milione di chilometri da quell’altra, prevalente, dove la lotta dei poveri per l’emergenza rifiuti rischia di avere esiti da guerriglia civile. Con pattuglie di prezzolati per due centesimi da una parte e l’esercito dall’altra. Anche sulla tolda del Titanic che affondava il ballo era in corso….

mercoledì 25 giugno 2008

la rivolta degli angeli


Un gruppo di angeli fuggiti dal Paradiso si incontra nella Parigi di inizio Novecento per cercare di organizzare l’assalto al potere divino. La rivolta degli angeli è il trionfo del piacere sulla frustrazione e il moralismo, è l’invito a una vita guidata dalla passione del sapere e dalla priorità del dubbio rispetto al dogma.

Messo all’indice e poi Nobel Anatole France, pseudonimo di Jacques Anatole François Thibault, nacque a Parigi nel 1844 e morì a Saint-Cyr-sur-Loire nel 1924. Il suo primo grande successo giunse con Taide (1890). Cui seguirono numerosi romanzi in cui eleganza e cultura si sommano all’ironia e a un indulgente epicureismo. Ottenne il Nobel nel 1921.
Antiborghesi, anticlericali, bibliofili: i protagonisti di La Revolte des Anges, sono fatti a immagine e somiglianza del loro autore
Piovono angeli su Parigi. Atterrano tra gli scaffali di una biblioteca secolare, custodita nei saloni del settecentesco palazzo d’Esparvieu che, all’ombra della chiesa di Saint-Sulpice, innalza i suoi tre piani austeri dai tempi della Rivoluzione Francese. Delle agitazioni del 1789, appunto, le creature celesti conservano bene coscienza e memoria se, a quasi un secolo e mezzo dagli irreversibili accadimenti, scelgono proprio la Ville Lumière, la città dei Lumi, per rinfocolare la scintilla di una grandiosa rivoluzione universale. Ma è di una sollevazione ben più lontana, precedente l’inizio dei tempi, che le soavi - non alate! - creature ravvivano il ricordo esemplare: la ribellione delle schiere di Lucifero, il più splendente dei Serafini, il più vicino al trono di Dio che, prima della nascita del mondo, mossero guerra al Creatore, contrattaccati (e vinti) da un esercito di Arcangeli in armi.
Rifacendosi a questi due celeberrimi, e documentati, precedenti - attestato l’uno, quello anteriore la Creazione, dalla tradizione cristiana e l’altro, quello inaugurale dell’età contemporanea, dalla tradizione storiografica -, Anatole France (1844-1924), nell’Anno Domini 1914, immaginò di datare alla vigilia della Grande Guerra una clamorosa Rivolta degli Angeli.
Con simili presupposti, la sublime sommossa - scatenata contro Dio, naturalmente, che nel romanzo porta il nome esoterico di Iaidabaoth - non poteva che essere clamorosa. Coeva alla catastrofe europea e foriera (almeno nelle intenzioni) di un rovesciamento degli ordini teologici, attinge ampiamente alla storia d’Europa e alle dottrine della teologia per trovare i propri motivi di ispirazione. La mano, però, che pesca da tanto gravosa sapienza, è per fortuna quella sapientissima, agile, leggerissima del vecchio France, sessantenne all’epoca della stesura di La Rivolte des Anges.
Edotto nell’esegesi testamentaria, nell’angelografla scolastica, nella demonologia gnostica, lo scrittore che, figlio di libraio crebbe in mezzo ai libri e si ammalò gravemente di bibliofilia, attribuisce ai suoi sovrumani rivoltosi le virtù del biblico Satana: audacia, orgoglio, malizia, fierezza. Illuminato dalla letteratura pamphlettistica e dal pensiero di spregiudicati philosophes, li segna di tutti i vizi dei liberi pensatori: sete di sapere, brama di conoscere, fede cieca nella filosofia naturale. Ma, dotato di genio ironico e visionario, si diverte a farli muovere, caricature di intellettuali bohémien, nei bassifondi della Parigi più colorita: "Gli albergucci di Saint-Ouen, della Chapelle, di Montmartre, nelle trattorie, le osterie, le case malfamate, le bische, le bettole, i lupanari...". O a infilarli, in pigiama forato, fra le lenzuola di una cocotte perché gli angeli, come gli uomini, amano (e desiderano la donna d’altri), e perché "una storia senza amore è come il sanguinaccio senza la mostarda, una cosa insipida".
Li priva delle ali - "Perché dovrei averne, signora? Sono forse obbligato a somigliare agli angeli delle vostre acquasantiere?" -, ma non della madrelingua ebraica, parlata dall’infanzia nel nativo paradiso: "Ah, siete ebreo! Avrei dovuto accorgermene dalla vostra mancanza di tatto", fa dire a un suo mortale personaggio lo scrittore che, da innocentista, difese strenuamente il capitano Dreyfus. Rinuncia, iconoclasta, all’iconografia angelica più stereotipata e, se proprio deve rifarsi a immagini consacrate da una tradizione, preferisoe l’arte e sceglie i dipinti di Delacroix i suoi angeli guerrieri, terribili, irati, ritratti, sulle pareti di Saint-Sulpice. Ma è a classiche, precristiane (neopagane?) fattezze che assomiglia la loro beltà: "Questo è il piede di un dio o di un atleta antico! La pianta che ha lasciato quest’orma è di una perfezione ignota alla nostra razza e ai nostri climi. Rivela, dagli alluci di un’eleganza squisita, un tallone divino".
La divina impronta, disegnata su una spolverata di talco, appartiene all’ultimo degli angeli custodi, come dire un sottoproletario nelle gerarchie celesti. E la traccia del colpevole che, nottetempo, si è insinuato furtivo nella storica biblioteca del suo "custodito") per sottrarne uno dei volumi più preziosi, "un inestimabile gioiello": il Lucrezio rilegato in marocchino rosso con gli stemmi di Filippo di Vendôme, gran priore di Francia, e con note autografe di Voltaire. Proprio quel raro esemplare del De rerum natura - guarda caso la summa della filosofia epicurea, materialista, edonista, sposata dallo stesso France ed esposta nei folgoranti aforismi di II giardino di Epicuro (1895) - varrà a formare le schiere dei Ribelli, preparati a far crollare sotto i colpi di argomentazioni razionali, oltre che degli esplosivi finanziati dai plutocrati della banca di Francia, la cosmologia dell’Onnipotente. Sull’esito della sortita preferiamo tacere: per non disperdere la solforosa aura di mistero che dalla prima all’ultima pagina avvolge come l’aureola gli angeli eruditi e bombaroli di France. Dissacrante, possiamo dire, fu certamente l’effetto del romanzo: nei confronti della borghesia parigina detestata dallo scrittore come della chiesa cattolica tanto invisa a quello spirito razionalista.
Moltissimo, in questo senso, gli angeli rivoltosi del romanzo hanno ereditato dal loro autore: le simpatie e le antipatie, l’ostilità al mondo borghese e l’aperto anticlericalismo. La passione bibliofila: dal negozio di papà, la librerie de France, prese il suo pseudonimo il romanziere che fu battezzato Jacques Anatole François Thibault e con il suo capolavoro, Il delitto di Sylvestre Bonnard, ha battezzato una casa editrice italiana, la Bonnard, che appunto lo pubblica. L’amore per il gentil sesso: gli amorazzi dei suoi angeli passionali smentiscono la fama di misogino dell’artista almeno quanto le vicissitudini sentimentali di colui che, due volte ammogliato, fu amante di una nobildonna patrona delle arti, Madame de Caillavet, e portò al suicidio una spasimante dama americana.
Soprattutto, del loro autore e creatore, gli angeli in rivolta hanno lo stile: urbanamente scettico, graziosamente edonista, pervaso dall’amabile disincanto, dall’ironica disillusione che non lo priva di una profonda partecipazione alle umane vicende di cui, divertito, sorride: "Gli uomini adorano il demiurgo che ha creato per loro una vita peggiore della morte e una morte peggiore della vita", fa dire al più pietoso dei suoi sobillatori. Tale sguardo sul mondo, anche quando eversivo dell’ordinamento del cosmo, fa di France il più degno prosecutore dello spirito del XVIII secolo. E la stessa visione dell’universo espressa nelle sue opere, messe all’indice dalla prima all’ultima dalla Chiesa nel 1920, gli valse, l’armo dopo, il premio Nobel, conferito "alla brillante impresa letteraria, alla nobiltà dello stile, alla profonda simpatia umana e alla grazia di un autentico temperamento gallico". A un simile letterario creatore, gli angeli di France non si sarebbero mai ribellati...

martedì 24 giugno 2008

Mina e Vanoni: un disco insieme? la debolezza fa l'unione


In questi giorni circola sulla stampa la notizia di un inedito duetto Mina-Vanoni che starebbero per incidere un brano, estraneo al vastissimo repertorio di ciascuna delle cantanti. Due cantanti che hanno contrassegnato il panorama delle voci femminili italiane con registri del tutto diversi: voce di bella estensione e coloritura la prima; straordinaria interprete, con note di seta la seconda. Con pubblici apparentemente diversi, più tendente al popolare la Mazzini, più riferita ad una platea colta Ornella. Memorabili alcune raccolte delle due, le cui cose migliori si concentrano tra gli anni settanta e la metà degli ottanta, anche per ragioni anagrafiche e di raggiunta maturità artistica. I periodi successivi sono tempi di accomodamenti. Mina è riuscita a mantenere intatto il mistero sulle sue apparizioni ed a diventare l'icona della "la cantante desaparecida", sia pure fisicamente distante qualche chilometro dall'Italia. Nonostante i continui tentativi di produttori e discografici, la cremonese si è nascosta rughe e chili dietro immagini in bianco e nero che la ritraggono fasciata da pepli protettivi, continuando peraltro a sfornare, a cadenza annuale, un dischetto di "testimonianza" artistica. Quasi a dire, io ci sono ancora, e contentatevi di quello che riesco a fare, comunque a modo mio. Ed il modo è sostanzialmente ancora suo, pur nelle inevitabili lacune di fiato e di forza; a latitare sono i testi e le musiche, tutti di scarso rilievo. Un po' per la generalizzata carenza del settore ed in parte per l'ostinazione della signora a scegliere di testa sua tra le varie proposte che giungono in disco o video presso l'esilio luganese.
La milanese, rifatta fino all'inverosimile ed oltre il grottesco, ama ancora esibirsi in pubblico e grazie all'affetto amoroso di Paoli ha fatto un paio di anni fa' un discreto disco a due voci. Al contrario di Mina, le sue corde vocali hanno ricevuto piacevoli sonorità dall'invecchiamento, addolcendo qualche strillo di testa, di colpo divenuto morbido.
Se hanno deciso di varcare il rubicone di quello che veniva rappresentato come un antagonismo umano e caratteriale, oltre che artistico, ci sarà pure una ragione. Forse commerciale, indotta dai discografici, forse legata all'ennesimo tentativo disperato di "uscire dal silenzio". Il pubblico degli aficionados, ancora corposo per entrambe, spera in un capolavoro. Staremo a sentire, chiedendoci comunque se non sia arrivata l'ora per le due artiste di dedicarsi ad un più significativo ed assordante silenzio.

lunedì 23 giugno 2008

elogio delle donne mature


Vigilia della II Guerra Mondiale, Budapest. Andràs Vajda è un adolescente sensibile e riflessivo che vive la sua educazione sentimentale dapprima facendo da mediatore tra le donne ungheresi che si prostituiscono per fame ed i soldati alleati, e poi cercando di sedurre le ragazze della sua età. Scottato da esperienze poco piacevoli, e complice una vicina sposata ma inquieta, decide di dedicarsi alle donne mature.

Tentare di fare l'amore con chi è inesperto quanto lo siamo noi mi sembra altrettanto sensato che avventurarsi in acque profonde senza saper nuotare con una persona che non sa nuotare. Se si ha la fortuna di non annegare, sarà comunque un'esperienza terrificante.

Dopo troppi anni di colpevole silenzio, arriva in Italia grazie a Marsilio questo gioiellino della letteratura del '900. Pubblicato nel 1965 in Canada da un giovane immigrato ungherese a sue spese dopo l'ennesimo rifiuto di un editore, ebbe un lusinghiero successo che dura tuttora, e non a caso. Molti critici sono giunti a scomodare Henry Miller, ma il tono generale del romanzo di Vizinczey è decisamente più lieve, ironico, innocente, insolitamente moderno. Il libro finge di essere l'autobiografia di un professore universitario di mezz'età di origine ungherese, che incuriosito e turbato dalle idee in campo di erotismo dei suoi studenti del Michigan, decide di narrare la sua educazione sentimentale: un escamotage a cavallo tra fiction e memoriale usato da molti altri scrittori, a volte con risultati memorabili. Le avventure dell'adolescente Andràs, che dopo aver constatato più volte con dolore, rabbia e frustrazione l'incapacità delle sue partner coetanee a relazionarsi con lui in modo sereno, disinibito e rilassato, decide di dirottare i suoi interessi sessuali su donne intorno ai quarant'anni, sono dense di un filosofeggiare misogino quanto basta e cinico quanto si deve che le rende una sorta di manifesto programmatico di una sessualità ilare, opportunista e disincantata ben poco politically correct ma decisamente divertente, coinvolgente, a tratti emozionante. Come non essere turbati dalla doccia della Contessa S., umiliata e al tempo stesso lusingata dal suo bisogno di prostituirsi, o dalla vestaglia stropicciata della signora Maya, ben consapevole della massima di Alexandre Dumas "Le catene del matrimonio sono così pesanti che bisogna essere in due per portarle, e a volte anche in tre"? Con stile molto 'mitteleuropeo' e mai volgare l'autore ci guida alla scoperta di figure di donne davvero indimenticabili, raccontate nella loro complessa umanità: di fronte a tanto, l'ormonale nevroticità delle teenager tanto celebrata al giorno d'oggi ne esce drammaticamente ridimensionata, se non a pezzi.

giovedì 10 aprile 2008

indignarsi


Accade in via Luca Giordano, centro Vomero alle ore 18,00. Un soggetto di sesso femminile intorno ai 50 parcheggia in seconda fila davanti alle strisce gialle dell’autobus. Sfoggiando la noncuranza di chi sta tenendo un comportamento pienamente normale, la valchiria partenopea, tutta morbida di curve mediterranee distribuite ovunque, abbandona l’auto per un giro di shopping. Il conducente di un autobus della linea V1 che sopravveniva tenta di richiamarla all’ordine. Dopo qualche tentennamento dovuto alla sorpresa dei essere stata richiamata, la disinvolta parcheggiatrice si degna di avviare un colloquio con l’autista ANM e negozia un allontanamento dell’auto. Sbuffando abbandona la sua posizione, seccata assai che qualcuno si fosse permesso di mettere in discussione le sue sacrosante prerogative di automobilista napoletana. Intorno il solito capannello di persone in attesa degli autobus. Gente normale: una signora cingalese esprime con garbo la propria disapprovazione che si unisce alla mia, già in atto e molto meno sommessa. Un distintissimo signore, poi rivelatosi docente universitario, guarda nella mia direzione e si dichiara sorpreso della mia meraviglia ed indignazione. Ne nasce un pacatissimo colloquio sui temi, ormai troppe volte percorsi, della necessità di abbandonare Napoli, città avviata ad un destino di declino ineluttabile. Alle mie obiezioni, alcune di ispirazione ideologica ed altre di pura testardaggine, si unisce la giovane signora cingalese. Deve vivere a Napoli, non ha scelte di comodo e vorrebbe una città più civile. Afferma di non voler arretrare di fronte alla dilagante mancanza di rispetto degli altri. Vuoi vedere che è da questa prospettiva, cioè da quella delle persone che non si possono permettere di abbandonare la città, che è possibile ricreare un sentire comune contro i lazzari, gli arroganti, i falsi indifferenti. Mi farebbe piacere ricevere un commento per ampliare la platea dei resistenti silenziosi, capaci ancora di provare indignazione, poco disposti a lasciare ulteriore spazio a chi di fatto rende ogni giorno meno vivibile questa città.

martedì 8 aprile 2008

quest'uom pagato io l'ho!



Se domandaste a Maria perché "deve" mangiare in braccio a zio Peppe ricevereste una risposta precisa e che non lascia dubbi. Ci ha provato il padre, tentando di farle il consueto predicozzo con le istruzioni prima del pranzo da nonna Ada: mangia al tuo posto, mangia tutto, non ti alzare da tavola se non con il permesso dei grandi etc. Maria, fanciullina pratica e abituata a percorrere strade dirette, ha accettato, non sappiamo quanto in buona fede, una parte delle indicazioni; ma su un punto non ha avuto incertezze: mangerò in braccio a zio! All'obiezione paterna "spiegami perché" non ha esitato ad affermare con assoluta sicurezza: perché è mio! E quando il padre ha tentato di prenderla in giro chiedendole quando mi avesse comprato ha risposto: "me lo hanno messo in uno scatolone ed ho pagato - udite, udite ! - quarantamila euro". La pirchipetola ha accettato in questo discorso surreale la logica del padre, usando il concetto della confezione e del prezzo per non arretrare di fronte al sarcasmo dell'interlocutore. Fino al punto di darmi un valore che non merito di certo. Maria sa, per certo, che io sono suo. da sempre, senza bisogno di parole, non ha avuto bisogno di dichiarazioni o miei abbandoni. Ha istintivamente sentito, da animaluccio selvatico ed intelligente quale è, che io la stavo aspettando per volerle bene. Ed è bastato incontrarci per mettere in chiaro il nostro patto. Ci vorremo bene fino a quando potremo e lei potrà mangiare sulle mie gambe finché ne avrà voglia, chiedendomi di imboccarla anche se non ne ha bisogno o di fare qualche trucco per far sparire cose che non vuole mangiare. E' così ed è stato così anche con Esterina mia quando era piccola. Solo che a sette anni il destino si è messo di traverso e non mi ha più permesso di vederla tutti i giorni o di crescermela come avrei voluto. Vorrei che così non fosse con la piccola Maria. Deciderà lei quando non le servo più ed è giusto che sia così.

mercoledì 12 marzo 2008

Paremiologia


Paremiologia, ovvero la scienza che studia i proverbi. Non è vero che nella nostra epoca così evoluta tecnologicamente non ci sia più spazio per i proverbi. E' vero invece il contrario e la attualità della materia viene confermata da un convegno de La Sapienza "Paremiologia: classificazione, traduzione e tecnologie informatiche" in corso in questi giorni. Scopo è quello di riunire linguisti di varie aree per confrontare e rendere omogenei i criteri con i quali classificare i proverbi. Di lingua in lingua i proverbi alludono allo stesso concetto, cambiando magari la figura che li rappresenta: il lupo del proverbio italiano che non perde il vizio, diventa in Inghilterra un leopardo che non cambia le sue macchie; sempre UK il modo di dire di non contare le proprie galline prima che siano nate, equivalente al nostro non vendere la pelle dell'orso o non dire gatto se non è nel sacco.
Il convegno intende verificare la possibilità di rendere riconoscibile concettualmente alle macchine la struttura reale dei proverbi, tanto da riconoscerne la sovrapponibilità anche con parole o protagonisti diversi. Dai proverbi scambiati dai vecchi intorno al fuoco potremo passare ai quelli scambiati da tutte le generazioni a colpi di mouse. Ricordandoci, comunque, che "the only free cheese is in the mouse trap"

venerdì 7 marzo 2008

mazzieri e monnezza


La retata del 27 febbraio a Roma ha reso chiaro il preciso collegamento tra una certa area della politica e le proteste avvenute in Campania per l’emergenza rifiuti. Il gruppo degli ultras romani era in contatto telefonico con referenti campani per fare la sua parte nelle manifestazioni di protesta. E conoscendo i loro spicci criteri di azione possiamo immaginare che genere di contributo avessero intenzione di fornire alle comprensibili rivendicazioni delle cittadinanze interessate. Questo legame ci aiuta a spiegare anche la immediata virulenza di tutti i moti di piazza che si sono sviluppati nell’ultimo mese e che avevano come spunto di partenza la gestione dei rifiuti. Con una sapiente regia politica e grazie alla “speciale partecipazione” di professionisti della guerriglia urbana, quali gruppi ultras e “guaglioni” è possibile orchestrare la più aspra contestazione. Specie quando il ventre molle delle amministrazioni, responsabili di omissioni oltre che di disinvolto maneggio del denaro pubblico, si presta ad attacchi legittimi. La crisi campana, esplosa in quasi contemporanee deflagrazioni, non poteva avere altro sbocco che generare ulteriore confusione nel quadro politico nazionale fino a destabilizzarlo al punto da far dimettere un già debilitato governo e da accentuare la crisi dell’esecutivo regionale. Le stoccate finali sono spettate alle ingerenze di oltretevere ed alle esternazioni mastelliane; se non fossero bastate erano pronti ad intervenire i gruppi di persuasione che si rifanno al motto: “Alfiere di una bandiera che è inesauribile fonte di ribellione”.

venerdì 22 febbraio 2008

io, eduardo de filippo


Rappresentare l’uomo Eduardo, a margine del suo lavoro di attore, nei momenti del dopo spettacolo e nelle pause delle prove. Questa l’idea creativa che ha animato Bruno Colella, autore, regista ed anche interprete dello spettacolo “Io, Eduardo de Filippo” in scena dal 6 al 10 febbraio al Teatro Acacia. Proposito complesso, specialmente a Napoli, dove il desiderio di affermare il “mito” eduardiano secondo i più triti schemi dell’aneddotica è tentazione diffusa e difficile da scongiurare. La piece è animata, per converso, dal “sottoconversare” dell’Attore negli spazi privati, tra poesie e ricette di cucina, fino a sfociare in libere ricostruzioni quasi paradossali dei personaggi di contorno. Così in scena diventa “carattere” il segretario della compagnia, Argenio, personaggio apparentemente mite, al quale Eduardo indirizzava gli strali del suo cinismo non sempre bonario, ma pur sempre ispirato dal rifiuto della volgarità e dell’imbecillità. Spettacolo veloce, denso di contrasti, a tratti schizofrenico che coinvolge attori con registri teatrali diversi, tutti a misurarsi con le derive surreali volute dalla regia, circondati da una scenografia futurista di significativo impatto che richiama il novecento, epoca nella quale si sono raccolti i frammenti rappresentati. Bene Colella, convincente nei tempi e nelle cadenze sceniche del Maestro, sia pur rifacendosi ad interpretazioni già viste; brava Gea Martire, a pieno agio nell'occupare spazi gestiti mediante una consapevole sapienza attoriale; interessante, pur mancando spunti di ispirazione assoluta, la colonna sonora di Eugenio Bennato che ha dato musica ad alcune poesie eduardiane. Coraggiosi gli altri interpreti, impegnati a marciare su terreni scarsamente battuti: Sebastiano Somma, che appare peraltro coinvolto nell’idea teatrale di fondo, non può sfoggiare la sua ben riconosciuta presenza scenica e resta quasi intimidito dall’atmosfera soffusa e dal silenzio di molti momenti. Anche l’interpretazione di Tosca d’Aquino fa percepire il disagio della mancanza sulla scena di situazioni “solari”. Così la simpatica attrice cerca tra le sue corde i registri della macchiettistica che la hanno reso nota al pubblico, con impennate non tutte in linea con lo spirito onirico e psicologicamente complesso immaginato dal regista ed autore Colella. Poco da dire sulla prova incolore di Marco Tornese, mentre le doti vocali di Nicola Vorelli stentano ad imporsi, senza riuscire a convincere più di tanto. Il numeroso pubblico dell’Acacia ha reagito bene, con una presenza attenta ed interessata, sottolineando con applausi anche di incoraggiamento gli sforzi obiettivamente profusi da tutti i protagonisti. Discordi invece i commenti dei critici teatrali dei mezzi maggiori di informazione: ad un convinto riconoscimento della validità dell’idea e della opportunità dell’iniziativa fa riscontro una stroncatura abbastanza severa che, alla luce delle argomentazioni portate, non sembra del tutto serena.

giovedì 14 febbraio 2008

Ciao Henry Salvador








La leggenda vuole che Antonio Carlo Jobim, alla ricerca di nuove melodie musicali, inventò la bossa nova ascoltando un brano della colonna sonora di «Europa di notte», un film di Alessandro Blasetti del 1959. A cantare «Dans mon ile» era il giovane Henri Salvador. Il «crooner» francese non ha mai confermato di aver inventato quel genere e non c'è più modo di sapere se l'episodio è mito o realtà: Henri Salvador è morto mercoledì 13 febbraio a Parigi a 90 anni, in seguito a un aunerisma.

Era da trent'anni che 'Monsieur Salvador', come era soprannominato, solcava le scene con più di una trentina di album all'attivo e canzoni che resteranno nella storia della musica: Syracuse, Une chanson douce, Le lion est mort ce soir o ancora Zorro est arrivé. Ma la lista sarebbe interminabile: aveva scritto circa 950 brani. «Ce ne sono almeno altri 2-3mila nel cassetto» diceva lui. Amato per la sua risata inimitabile e l'eterno buon umore, Salvador era un vero showman, capace di fare tutto e bene: ballare, inventare giochi di prestigio, interpretare sketch umoristici (aveva lavorato anche molto in tv) e, naturalmente, cantare. Con quella «voce vellutata» che sono in tanti oggi a rimpiangere, anche il presidente Nicolas Sarkozy. Nella sua ultima intervista, pubblicata da Paris-Normandie, Salvador diceva che era «nato con quella risata» e che sperava di «morire così». Mireille Mathieu ha ricordato la sua «eterna giovinezza». L'uomo dal completo bianco aveva dato l'addio alle scene solo di recente. Aveva festeggiato i suoi 90 anni con il pubblico dello Sporting Club di Monaco, poi il concerto di addio a Parigi, lo scorso 21 dicembre. Pungente e allegro come sempre, aveva raccolto le ovazioni del Palazzo dei Congressi al gran completo. Ma anche a 90 anni suonati aveva assicurato che non avrebbe abbandonato la musica.

«Largo ai giovani» aveva detto una volta a Le Parisien. «Ma vista la voce che mi ritrovo, conto di registrare ancora qualche disco». Era in programma, ma non c'è stato il tempo. L'ultimo album è del 2006, "Reverence", uno scrigno dei migliori swing dello chansonnier. Gli ultimi anni sono stati come una seconda giovinezza per Salvador che era tornato sulla scena internazionale nel 2000 con il nostalgico Chambre avec vue. Erano seguiti il live Performance (2002) e Ma chère et tendre (2003). Si era anche risposato per la seconda volta, nel 2001, con Catherine Costa, produttrice tv. Nato il 18 luglio 1917 a Cayenne, nella Guyana francese, Salvador era sbarcato in Francia nel '29. Cresciuto nel mondo gitano di Django Reinhardt, partito in tour con l'orchestra di Ray Vantura nel '41, realizzò il primo disco nel '47, Maladie d'amour. Un incredibile successo e l'inizio di una carriera eclettica come poche. Fu anche il primo cantante di rock'n'roll in Francia con più di 200 canzoni scritte con Boris Vian e musiche di Michel Legrand. Salvador si è sempre vantato di avere avuto la carriera più lunga, 60 anni: Maurice Chevalier era morto a 84 anni, Charles Trenet a 86. Il segreto di questa longevità? «Il mio grande ottimismo», aveva confidato una volta. D'altronde la morte non lo ha mai spaventato. «Credo all'eternità, all'infinto» diceva. «Nella nostra galassia ci sono milioni di stelle, e chissà quanti milioni di galassie nell'universo. Vi rendete conto di quante vite ci sono da vivere?».

venerdì 25 gennaio 2008


Celeste Di Porto, la ragazza ebrea, detta "la pantera nera", che collaborò con le SS per scovare gli ebrei.

Ragazza ebrea detta "La pantera nera" di appena 18 anni che nel 1944 era rientrata a Roma, dopo essere sfuggita alla razzia nazista nel ghetto ebraico. Non appena rientrata, insieme a sua cugina Enrica di Porto detta "l'incipriata", cominciò a collaborare con le SS di Via Tasso al fine di scovare gli ebrei e di denunciarli. La sua infame attività di spia ebrea contro i suoi stessi correligionari (che ovviamente durante l'occupazione nazista stavano nascosti) le faceva ottenere 5.000 Lire ogni ebreo catturato. Pare che denunciasse le vittime ebree "salutandole per strada" favorendo così la loro cattura ai nazisti senza essere scoperta. Con la sua attività di prostituta spesso riconosceva gli ebrei perché circoncisi e subito provvedeva alla loro denuncia. Ebbe una parte rilevante nell'ambito della strage delle Fosse Ardeatine in cui in seguito all'attacco gappista di Via Rasella costato la vita di 33 militari al servizio della polizia germanica, Hitler dette l'ordine della rappresaglia (10 persone per ogni militare ucciso, quindi 330 che poi divennero 335 per un tragico errore di conteggio). In quell'occasione fu incaricata dalla Gestapo a recuperare un numero significativo di ebrei che andasse ad integrare quello delle persone che erano già prigioniere dei tedeschi per destinarli alla rappresaglia. Procurò 26 ebrei tra i 15 e i 74 anni. Per l'occasione Kappler le aveva promesso un compenso decuplicato: 50.000 Lire. Tra le vittime della sua attività delatrice ci furono anche 2 suoi parenti (il cugino ed il cognato) ed anche l'ex pugile ebreo-romano Lazzaro Anticoli detto "Bucefalo". Dopo la Liberazione di Roma, Celeste di Porto venne arrestata e portata a Regina Coeli da cui riuscì a sfuggire raggiungendo Napoli in autostop e dove continuò la sua attività di prostituta. Venne poi individuata da suoi clienti ebrei (che non erano andati lì per caso). Fu arrestata e condannata a 12 anni di reclusione, diventati poi 7 in seguito alla sua decisione di convertirsi al cattolicesimo e ritirarsi in convento (da cui fu espulsa dopo solo 1 anno). E' morta nel 1981.

venerdì 18 gennaio 2008


Le vicende di questi giorni che è possibile sintetizzare in emergenza spazzatura, rinunzia del papa ad andare alla sapienza, caso Mastella rispecchiano con forte impatto di immagine la attuale condizione del nostro Paese. Pianura è una specie di discarica a cielo aperto dove brulicano migliaia di persone. Da anni non è nient'altro che l'angolo nascosto di ogni illegalità. Non ha un piano di edificazione, non ha un sistema viario, è labile ogni centro reale di aggregazione. E' sorta per la disperata necessità di molti napoletani di trovare una casa. E in quella plaga, nemmeno troppo suggestiva, era possibile costruire in maniera selvaggia all'inizio; e con il passare del tempo si doveva sottostare ad alcune imprese che vendevano case fatte in estrema urgenza, anche in 72 ore dalle fondamenta al tetto. Nenache a parlarne di concessione edilizia o di rispetto di qualsivoglia regolamento. A Pianura una serie di famiglie, estese e ramificate, decidevano sull'assegnazione degli spazi, regolamentando di fatto con il potere della violenza malavitosa, quello che lo Stato ed il Comune non erano stati capaci di fare. E' diventata così assurdamente estesa ed assolutamente priva del sia pur minimo pregio estetico, prima rappresentato dai giardini di agrumi e dagli orti di broccoli.
La discarica che per anni ha funzionato era distante dal centro abitato. Ma l'erosione continua ed incalzante delle case sorte in una notte la hanno portata pericolosamente vicina al centro.
E così i pianuresi hanno deciso che nemmeno la spazzatura di origine locale doveva essere sversata in quel vecchio sito apparentemente abbandonato, ma attentamente sorvegliato da occhi vigili e mai distratti.
Il caos, la guerriglia urbana, con la sola conseguenza di mettere a repentaglio la salute di tutti, a partire proprio da quelli che abitano nella zona. A molti di loro non è parso vero di poter "scendere in campo" abbandonandosi ad ogni genere di violenza, minacciando forze dell'ordine, la stampa ed incendiando parte del pattume accumulato per strada.
Meraviglioso spettacolo di stupidità, acme del "cupio dissolvi", evidenza eccelsa di autolesionismo, anche grazie a poche sollecitazioni facinorose.
Viva Napoli, osanna alla tanto osannata furbizia del suo popolo, l'acume impareggiabile dei suoi abitanti arriva a concepire la forma di protesta più dannosa per gli stessi contestatori.

mercoledì 9 gennaio 2008

lunedì 7 gennaio 2008

libero ricatto


Provate a ricattare qualcuno se ci riuscite. E' un'attività che richiede qualità personali non comuni, nonché la capacità di essere coinvolti in informazioni di rilievo che se rese pubbliche possano produrre conseguenze altrettanto incisive. Facciamo qualche esempio. Se sapeste che la moglie di un vostro amico si distrae con uno o più partner la possibilità di ricattare la signora, magari mettendo in giro foto compromettenti, non è pratica consigliabile. Al massimo potreste guadagnare una buona lezione corporale dal o dai partner consorziati; in alternativa potreste, se ne vale la pena, chiedere un compenso in natura alla predetta. Quanto al risultato di un simile incontro amoroso patteggiato non c'è da stupirsi se si tramutasse in una Waterloo sessuale dello chanteur accettato dalla donna per mera opportunità. Se per diversa ipotesi vi trovaste al centro di un groviglio informativo politico/finanziario la situazione è ancora meno rosea: usare bene notizie di quel genere richiede anni di addestramento e di pianificazione verso gli obiettivi. La famosa ex segretaria di una banca di rilievo che divenne altissima dirigente della stessa non deve trarre in inganno: la signora aveva molto più sale in zucca di quanto i maligni, ma più in particolare le maligne, le attribuissero. Si diceva che si era inserita in un circuito di alto livello per meriti squisitamente femminili. Non è da escluderlo. Ma in quello stesso contesto svariate decine di fanciulle più o meno ingenue avevano sperimentato gli stessi passi senza pervenire ad altrettanti risultati. Al massimo la promozioncella che assicurava qualche soldo in più; ma non certamente gli agi ed i fasti raggiunti dalla avveduta self/made manager, sempre a galla, nonostante l'avanzare dell'età ed il corrispondente declino della sua avvenenza. Lei ha saputo veleggiare con i più smaliziati marpioni garantendosi anche una certa considerazione complessiva. Lontani i tempi in cui i suoi sostenitori si erano avvicendati al tavolo del suo esame per diventare "impiegata di concetto" per suggerirle la frase giusta o la risposta più acconcia. Pervenuta a posizioni di vertice la madama trattava quei corteggiatori di un tempo in modo decisamente brusco e sprezzante. Ben ripagandoli degli aiuti del passato per dimostrare, se bisogno ce ne fosse, che la sciocchina non era lei.