martedì 28 ottobre 2008

L'amaca 28 ottobre 2008 Michele Serra


Se è vero che ogni movimento progressista, per crescere e magari vincere, ha bisogno di un'utopia, o per lo meno di un grande azzardo, Veltroni sabato scorso l'ha enunciato con grande precisione. Questo Paese - ha detto - è migliore della destra che lo governa. Diciamo la verità: non ci crede quasi nessuno, neanche tra gli elettori di Veltroni. Chi più chi meno, siamo abbastanza convinti che questo sia esattamente il Paese che ha eletto Berlusconi, indifferente al conflitto di interessi, alle balle, alla prepotenza, alla demagogia, allo scardinamento dell'antifascismo e dello spirito costituente, all'infimo livello (culturale e morale) di buona parte della corte che circonda il leader. E' un Paese che per prendere le misure dal berlusconismo, ha avuto venti anni di tempo. E le ha prese così bene da rieleggerlo trionfalmente. Questa è la democrazia e amen.
In questo quadro, il solo pensiero davvero rivoluzionario che ci resta è ritenere che questo processo populista e neoreazionario sia rimediabile e addirittura reversibile. Quando Veltroni ha pronunciato quella frase, nonostante l'abitudine ad un ragionevole scetticismo, e nonostante una passione poltica ormai tiepidissima, mi si sono inumiditi gli occhi. Non perché ci creda, ma perché ci spero, ci spero con l'irragionevole energia di chi, se pure è rassegnato a un bilancio poltico e civile seccamente negativo, ha figli e non augura loro di crescere in un posto dove le regole le fa il più ricco, il più forte, il più furbo.

lunedì 27 ottobre 2008

Desiderata


Passa tranquillamente tra il rumore e la fretta, e ricorda quanta pace può esserci nel silenzio. Finché è possibile senza doverti abbassare, sii in buoni rapporti con tutte le persone. Dì la verità con calma e chiarezza; e ascolta gli altri, anche i noiosi e gli ignoranti; anche loro hanno una storia da raccontare. Evita le persone volgari e aggressive; esse opprimono lo spirito. Se ti paragoni agli altri, corri il rischio di far crescere in te orgoglio e acredine, perché sempre ci saranno persone più in basso o più in alto di te. Gioisci dei tuoi risultati così come dei tuoi progetti. Conserva l'interesse per il tuo lavoro, per quanto umile; è ciò che realmente possiedi per cambiare le sorti del tempo. Sii prudente nei tuoi affari, perché il mondo è pieno di tranelli. Ma ciò non accechi la tua capacità di distinguere la virtù; molte persone lottano per grandi ideali, e dovunque la vita è piena di eroismo. Sii te stesso. Soprattutto non fingere negli affetti, e neppure sii cinico riguardo all'amore; poiché a dispetto di tutte le aridità e disillusioni esso è perenne come l'erba. Accetta benevolmente gli ammaestramenti che derivano dall'età, lasciando con un sorriso sereno le cose della giovinezza. Coltiva la forza dello spirito per difenderti contro l'improvvisa sfortuna, ma non tormentarti con l'immaginazione. Molte paure nascono dalla stanchezza e dalla solitudine. Al di là di una disciplina morale, sii tranquillo con te stesso. Tu sei un figlio dell'universo, non meno degli alberi e delle stelle; tu hai il diritto di essere qui. E che ti sia chiaro o no, non vi è dubbio che l'universo ti stia schiudendo come si dovrebbe. Perciò sii in pace con lo spirito comunque tu lo concepisca, e qualunque siano le tue lotte e le tue aspirazioni, conserva la pace con la tua anima pur nella rumorosa confusione della vita. Con tutti i suoi inganni, i lavori ingrati e i sogni infranti, è ancora un mondo stupendo. Fai attenzione. Cerca di essere felice.

E' vero o non è vero?


Sposarmi io e con chi, non diciamo eresie. Era una vecchia canzone di Aznavour. Mi sembrava adatta. Poi con il tempo il legame con Eli, il suo modo di volermi bene, mi hanno convinto ad una cosa che sembrava lontanissima da me. Il 27 novembre, se ce la faccio ad arrivarci, mi sposo. Con la mia Lulù, donna paziente, attenta e distratta al tempo stesso, unica donna con la quale non sono mai stato costretto ad urlare o ad assumere atteggiamenti o posizioni per superare gli inevitabili contrasti che una vita assieme propone. Da dodici anni viviamo insieme e sono stati dodici anni sereni, con momenti migliori e peggiori, gioie e dolori. Ma nel complesso un bilancio assai positivo che ci consente ora di guardare al futuro con speranza. Vivere insieme, ma aiutandoci, senza irrigidirsi, pensando al bene l'uno dell'altro. Non mi sembra poco. Conosco coppie di tutti i tipi. Ma è veramente difficile sapere all'interno di ciascuna di esse se ci sia ancora amore o soltanto un affetto per trascinamento, quello che si può riservare a chiunque, all'amico, al parente o al semplice conoscente. Ci sono legami che apparentemente non stanno nemmeno in piedi, ma sono quelli che magari resistono di più, in cui i sentimenti si manifestano con la tensione invece che con la comprensione. Sarebbe bello capirci qualche cosa, ma sono convinto che nessuno ci "azzecca" in pieno. Se mi chiedessero quali sono gli ingredienti di un rapporto di coppia riuscito non saprei rispondere. Meglio somigliarsi o essere profondamente diversi? Integrazione degli opposti o trionfo dell'affinità? Meglio non saperlo forse. Meglio vivere le cose che ci sono davanti con entusiasmo, ponendosi gli interrogativi giusti e non quelli insormontabili. Intanto Malù mi sopporta e riesce a giocare con me. Un sacco di volte ci facciamo belle risate insieme. Talvolta siamo insofferenti, ciascuno desideroso di uno spazio proprio e di piccole indipendenze. Il primo giorno di lontanza, per tutti e due è vissuto bene, magari dopo il secondo sentiamo la mancanza l'uno dell'altro. Senza dimenticare che ci frequentiamo da quasi diciannove anni e che la mite Babuf mi ha raccolto quasi a pezzi, accollandosi un cataplasma che ai tempi era insostenibile. Volendo bene ai ragazzi, avviando un rapporto fantastico con Giovanni che adora, pienamente ricambiata. Mi pare tanto e spero per me e per lei che il resto sia bello e ci riservi finché sarà possibile serenità, allegria e capacità di comprensione.

mercoledì 22 ottobre 2008

Solidarietà a Saviano


Mentre l’intellighenzia di mezzo mondo si schiera in adesione all’appello dei sei nobel primi firmatari dell’appello a Saviano, abbondano le manifestazioni di solidarietà all’autore di Gomorra.
Sia pure con il massimo rispetto degli intellettuali e delle loro alte espressioni di sostegno, mi sembra di leggere un copione in larga parte scontato. E volevo vedere pure che questi pensatori dicessero al nostro: “Roberto cambia faccia come Buscetta e vattene in un posto del mondo lontano dall’Italia a goderti gli agi che ti derivano dalla diffusione del tuo libro”. Era difficile pensare che da terre lontane, molte per loro fortuna al riparo dalla morsa della criminalità organizzata, arrivassero messaggi diversi da quello di non arretrare e restare per incarnare il simbolo della voglia di legalità. Mi sembrerebbe peraltro assai più significativo se l’appoggio reale venisse dalla parte della gente normale, di quella maggioranza silenziosa, ostaggio quotidiano della violenza denunciata dallo scrittore. Proprio da quell’area, enorme e non ben definita, dovrebbero arrivare i segnali di solidarietà e vicinanza, magari con gesti minimi ma continui di cittadinanza attiva. Tentando di vivere un rispetto sostanziale delle regole civili, evitando prossimità anche involontarie al mondo dell’illegalità. Creando un modello virtuoso di comportamenti corretti, che manifesti la voglia di tutti di cambiare registro. Fino a poter realizzare il sogno di uno striscione che un giorno campeggi davanti ad uno stadio, ad una scuola, perché no a Casal di Principe, e che dica “Roberto, uno di noi!”.

lunedì 13 ottobre 2008

parcheggi fantasma


Tra gli avvocati napoletani circola una diffusa voce: il primo requisito professionale è .. lo scooter. Pare infatti impossibile aggirarsi tra uffici giudiziari cittadini e distaccati senza avere a disposizione le preziose due ruote. Come controaltare agli indubbi pregi, anche lo scooter, come ogni medaglia, ha il suo rovescio. Acqua, freddo, vestiti inservibili, schiene spezzate sullo splendido selciato urbano e periferico. Come se non bastasse, ci si mettono anche i vigili urbani che, abituati in passato a chiudere un occhio - e qualche volta di più - alle evoluzioni dei motociclisti, da un po’ di tempo a questa parte hanno iniziato una campagna sanzionatoria proprio ai danni delle moto. Indiscutibile il dovere della polizia municipale di garantire l’osservanza delle leggi. Pur tuttavia, gli interrogativi, anche di carattere giuridico, si concentrano sulle multe per divieto di sosta che spesso colpiscono i poveri dueruotisti costretti, per assenza di spazi appositi, a soste nei punti più impensabili. E’ lecito chiedersi quanti e quali siano gli spazi dedicati alla sosta delle moto in città e provincia? Sono adeguati al numero degli utenti? Quei pochi disponibili sono effettivamente occupati da moto e non da altri veicoli? La personale esperienza di 45 anni di moto mi fa rispondere di no. Come tanti altri, sono stato e sarò costretto ad essere un poco civile utente della strada, lasciando la moto in soste irregolari. Un esempio che vale per tanti altri casi: nella strada dove ho lo studio c’è un risicatissimo parcheggio moto. La sola popolazione motociclistica stanziale avrebbe bisogno di aree di sosta almeno cinque volte maggiori. Ci sarà un assessore competente al quale rivolgersi per ottenere una risposta? Oppure dovremo soltanto pagare le multe, particolarmente gravose, per sosta vietata su marciapiede, senza poter denunciare questa ennesima violenza metropolitana?

mercoledì 1 ottobre 2008

il familismo amorale


Nel 1958, l'antropologo americano Edward Banfield, coniò l'espressione "familismo amorale" per descrivere il comportamento degli abitanti di Chiaromonte, un piccolo paese della Basilicata, a cui fu dato il nome fittizio di Montegrano, oggetto di una sua analisi pubblicata con il titolo The moral Basic of a Backward Society (Le basi morali di una società arretrata).

Secondo Banfield, l'estrema arretratezza di Chiaromonte era dovuta "all'incapacità degli abitanti di agire insieme per il bene comune o per qualsivoglia fine che trascendesse l'interesse immediato del proprio nucleo famigliare". Ciò che particolarmente colpì lo studioso americano era la quasi completa assenza di vita associativa e l'estrema frammentazione del tessuto sociale se confrontata con quella di una tipica cittadina americana dell’Utah, St. George, dove l'antropologo aveva appena concluso uno studio sociologico.

Per Banfield, gli abitanti di Montegrano, erano totalmente incapaci di unirsi e cooperare per far nascere scuole, ospedali, imprese o qualsivoglia forma di vita sociale organizzata e di pubblico interesse. Egli sosteneva che, all'origine di quest’anomalia sociale, dovuta alla diffusa sfiducia istituzionale, assenza di spirito civico, mancanza di competenza e partecipazione politica, vi fosse un elemento eminentemente culturale e morale, un ethos tradizionale fissato nelle abitudini e nei costumi secolari della popolazione. Questo ethos, lo chiamò "familismo amorale" e lo riassunse così: "Massimizzare i vantaggi materiali e immediati della famiglia nucleare; supporre che tutti gli altri si comportino allo stesso modo".

I familisti di Montegrano, non erano solo diffidenti verso i vicini, gli amici e verso qualunque forma di cooperazione, d’associazione e d’iniziativa pubblica, ma anche verso gli altri parenti che consideravano in competizione per l'acquisizione di risorse scarse.

E, seguendo un'interpretazione già suggerita dallo stesso Banfield, numerosi osservatori italiani e stranieri, hanno identificato nel "familismo amorale" il tratto caratteristico della cultura politica degli italiani, di un ipotetico "carattere nazionale" che affonderebbe le proprie radici nella storia più remota della società italiana, spiegando la gracilità e instabilità del suo sistema democratico.

Banfield, dopo un po' d’anni, per una verifica alle sue tesi, ritornò nella cittadina italiana, ma subito constatò che nessun progresso sociale era avvenuto, tanto, che finì per affermare che non c'erano speranze neppure per il futuro.

Dalle mie parti, quando osservo la gente che abita in case sfavillanti, ma circondate da degrado; gente che non ha nessun riguardo per tutto ciò che è comune e non fa niente per migliorare o sollecitare chi dovrebbe garantire un decoro sociale; gente impregnata d’egoismo e senza ritegno, non posso che avallare l'analisi di Banfield.