giovedì 31 dicembre 2009

Pentito dei botti


C’è niente di più facile che pentirsi? Cambia il vento, mutano le prospettive e l’uomo si adegua. Rapidamente contraddicendo quello che aveva sostenuto con passione, magari diventando, come usa dire, più realista del re nella opposizione alle idee che un tempo sosteneva. Pensate agli ex fumatori che rompono.. Anche io, nel mio piccolo, sono un pentito. La mia abiura riguarda i fuochi d’artificio. Lasciandomi alle spalle un passato fatto di tanti ed inutili botti, da qualche anno mi limito a guardare la notte dei fuochi. E dire che ero uno convinto nella fede del “botto”; capace di andare in posti inverosimili pur di procurarmi ogni genere di ordigno. Anche di quelli pericolosi, tipo le vecchie botte a muro che solo a trasportarle c’era il rischio di saltare in aria. Adesso il mio no è un rifiuto netto, finalmente responsabile rispetto allo spreco ed al concreto pericolo di questa orgia del fumo e del rumore che continua a lasciare tante tristissime conseguenze. Se può servire anche l’augurio di un pentito, spero che i concittadini risparmino – almeno in parte - questi soldi che vanno in fumo. In momenti di crisi c’è bisogno di dimostrare umanità e solidarietà nei confronti dei tanti dignitosi che hanno bisogno, dando un calcio a perniciose forme di superstizione

lunedì 28 dicembre 2009

gens napoletana


Avevo una diecina di anni e rientravamo a Napoli, dopo alcuni anni trascorsi tra Bella e Santa Maria Capua Vetere. Era il 1956 e Napoli era in piena ricostruzione. Ancora presenti le villette del Vomero e di San Martino. Tutto un profumo di agrumi e fiori alle pareti. Il distacco dal giardino di Santa Maria era stato pesante, ancora conservo il ricordo della frutta presa con le mani, dal sapore irripetibile. Ma intanto eravamo a Napoli e i genitori si sforzavano a dirci che tutto era meglio e che quella dove abitavamo finalmente era una casa nostra. I primi contatti con i giovani del quartiere, alcuni feroci, ma sostanzialmente tutti bravi ragazzi. Il pallone come stella cometa e le strade libere, i cortili pure, fino allo strillo della signora di turno che ci cacciava avviando il nostro tour intorno al caseggiato. A fine giornata pochi gol, ma tanti spostamenti in tanti improvvisati campi. Poi gli anni del ginnasio e del liceo, nei quali incominciavano i primi approcci con la vita sociale. Sempre più spesso mi chiedevano: ma tu chi conosci? Sulle prime sembrava una domanda bizzarra. Io conoscevo me stesso e quei pochi intorno. In fondo i miei avevano trascorso anni fuori Napoli ed in più avevano una scarsa vocazione per le relazioni sociali. Ad un certo punto quella strana domanda la posi a me stesso. Ma io chi conosco? Dovetti gioco forza inventarmi qualche amicizia. Magari leggendo sui "mosconi" i nomi dei ragazzi che frequentavano zone più chic e che facevano parte della borghesia cittadina. A conoscerli, tramite un compagno di scuola con ambizioni mondane, erano una delusione. Ma che ci vuoi fare, ero a Napoli e quello sarebbe stato il mio ambiente. Dove ero già discriminato, per le scarne conoscenze e perché ero vestito senza il tocco del pullover di Marino o le scarpe di Vellotti. Un provinciale, insomma, tornato in città ma sempre di secondo piano. Nel corso degli anni ho incontrato molti di quei ragazzi e di quelle ragazze. Il mio sconfortato giudizio di allora veniva rafforzato dalla pochezza delle persone adulte di oggi. Qualcuno aveva fatto anche strada, ma l'atteggiamento e l'apertura mentale restavano gli stessi. Piccoli, modesti, con velleità da star e spesso con possibilità da morti di fame. Poche le persone incontrate che avessero prospettive o desideri degni di nota. Napolicchio, con sempre meno cuore e con l'egoismo in espansione.

giovedì 10 dicembre 2009

Tigre presa per la coda


Le recenti vicende del grande golfista Tiger Wood fanno non poco riflettere. Lo star system statunitense è pronto a dare cifre spropositate ad un bel giovane di colore, capace di infilare una pallina in piccole buche disseminate su prati ben tenuti. Si tratta di milioni veri, rappresentati da ingenti premi nei tornei vinti e faraonici contratti di sponsorizzazione. Tiger diventa così lo sportivo più pagato al mondo, che supera per monte compensi tutti gli altri rinomati atleti di basket, baseball , calcio. E' certo una notizia per chi consideri il golf uno sport di nicchia, riservato soltanto a pochi fortunati; ancor più sorprendente perché il nostro Tigre è uomo di colore. E si badi bene, non beneficia dell'onda lunga di Obama, perché da almeno un decennio è al vertice delle classifiche della sua disciplina e di conseguenza sono anni che si porta a casa tanti denari. La storia ci insegna che Tiger inciampi nel più classico dei tranelli che l'esistenza possa riservare ad un essere umano. Ha un debole per il sesso femminile, ben mascherato dall'immagine mite e spesso sorridente. Capita così che dopo un incidente .. domestico, nel quale la moglie di Wood - ex modella e donna di indubbio fascino - fracassa i vetri dell'auto del marito con una mazza da golf, vengono fuori con rapidità impressionanate una serie di nomi di fanciulle o signore che hanno offerto le proprie grazie al simpatico Tiger. E come se non bastasse, lo spirito puritano di quel Paese da un giorno all'altro rivela tutta la sua virulenza, scatenando una campagna negativa che mette in luce una condotta in netto contrasto con l'immagine di bravo giovane che, nel tempo, la macchina del successo gli aveva costruito intorno. Tiger, visibilmente contrariato, si prende una pausa di riflessione, forse rifugiandosi anche lui in qualche convento tra le montagne USA. Nel frattempo i rumours assumono toni da "boatos", fino al punto che gli sponsors decidono per ritirare gli spots televisivi con Tiger e verosimilmente ad iniziare pratiche rescissorie dei contratti in vigore. Morale della storia potrebbe essere nel fatto che qualunque "sistema" ha le sue regole. Condivisibili o meno, poco importa, possiamo persino azzardare che siano fondate su presupposti spesso ipocriti. Se ne può discutere, ma restano in ogni caso certi punti fermi che chi partecipa alla giostra conosce, sapendo che valicare quei limiti significa mettersi oltre quello che la gente comune è disposta ad accettare. Come evitare di fare un raffronto con i casi nostri? Subiamo da tempo un signore stagionato, non uno sportivo nel pieno degli anni, che con uno sprezzo nemmeno attenuato dal rispetto che dovrebbe alla sua età, fa mostra di grande disnvoltura nel procurarsi fanciulle disposte a ricambiare in slanci la sua munificenza. Poco importante che il signore abbia un posto di rilievo assoluto nella scena politica. A lui gli sponsor non chiederanno risoluzioni contrattuali. Al contrario, ad ogni rivelazione di nuove avventure, corrisponderà il rafforzamento del consenso, un altro mattone nel rafforzamento del culto della personalità. Perchè in lui si invera lo spirito nazionale del puttaniere gaudente, capace di garantirsi l'obbedienza di militi parlamentari come seppe, anni orsono, assicurarsi la gratitudine eterna del povero sciuscià napoletano regalandogli 100 euro. Toccategli tutto a quell'ambulante, ma non il nostro leader. Ai suoi occhi è diventato persino bello e poi.. con le femmine..!

giovedì 3 dicembre 2009

tra bagel e fasce elastiche


Vinco ancora! Nonostante età ed acciacchi. Torneo certo di secondo piano,con molti doppisti allo sbaraglio e pieni di supporti ortopedici per gambe, spalle e ginocchia. Ma, a parte l'età media dei concorrenti, è stato un torneo onorato dall'impegno di tutti, dedicato ad una fanciullina che troppo presto ha lasciato le vie del mondo. Formula "gialla", con estrazione delle coppie. Mi capita Sabatino Saggiomo, una specie di "sharpei" di 65 anni - eravamo la coppia più datata del già stagionato mazzo -, ma simpatico e volenteroso. Cognizioni del doppio vicine allo zero, però pieno di impegno e di voglia di fare. Nel girone eliminatorio (eravamo 12 coppie all'origine) vinciamo un primo match con Roca - Orefice, discreto duo, per 6.3 6.2. La differenza stava nei miei punti chiusi a rete cui non corrispondevano adeguate reazioni avversarie. E intanto lo sharpei, dapprima poco convinto, apre la faccia al sorriso. Il giorno dopo, (recuperavamo per la pioggia) troviamo Baldascino/Mazzotta e in poco meno di 50 minuti gli consegniamo un 6.1 6.0. Baldascino commenta : "Non sapevamo che la vostra coppia fosse così forte. Vincerete il torneo". Con qualche scongiuro molto nascosto, incassiamo il pronostico e aspettiamo la fase ad eliminazione diretta, mentre Sabatino si entusiasma ed intende ingaggiarmi per gare veterani a squadre. Domenica 22 novembre affrontiamo nei quarti di finale Cantoni - La Pietra, tattico il primo, discreto tennista il secondo. Conosco Renato Cantoni da sempre, è persona dabbene; tenuto conto delle differenze di gioco cerca di imbrigliarci con pallonetti continui.Il suo compagno tira qualche bel colpo, ma è falloso. Gioco bene, Sabatino si comporta dignitosamente e vinciamo 6.1 6.2, sia pure con qualche sforzo che il punteggio non rappresenta in pieno. Sabato 28 in semifinale ci sono Tramontano e La Daga (?), forse la coppia più scarsa trovata sul cammino; gli diamo un doppio "bagel". Per chi non è della materia, il "bagel" è un tipo di pane con un buco al centro, diffuso negli USA. In ragione del foro centrale si usa tra tennisti per indicare ironicamente un punteggio con lo zero. Devo comunque dire che giochiamo attenti, nonostante la pochezza dei rivali. Ed è già tanto, perché in questi casi perdere la concentrazione significa rischiare di uscire fuori del gioco. Domenica 29, a distanza di poche ore, finale con Herman D'Amato, finalmente due che giocano! Sabatino va in crisi da finale e sbaglia cose invereconde, seguito da me che, come sempre capita in casi del genere, pretendo di prendere e chiudere colpi difficili. Con esiti tragici. Perdiamo così 4.6il primo set ed a questo punto, Sabatino decide che giocherà solo a fondo campo. Gli obietto la anomalia di una formazione del genere, ma lui non intende sentire ragioni e si mette dietro. Scelta concettualmente sbagliata, ma che aiuta il compagno a ritrovare sicurezza. Nel frattempo, D'Amato che in apertura aveva trovato un servizio piuttosto insidioso, spesso assistito dal fortunatissimo Herman, suona qualche colpo a vuoto e noi ne approfittiamo portandoci 5.2 al secondo, chiuso poi per 6.3. Avvio del terzo, con parecchio pubblico quasi tutto schierato con i

"nemici"; mi invento qualche colpo più tecnico e questo accresce la mia convinzione, incoraggiando così anche Sabatino. Ancora 5.2 per noi e finale 6.3 con D'Amato che ormai viaggia a fari spenti, mentre io incomincio a fare il maramaldo, coprendo qualche passaggio a vuoto del compagno. E' finita! sono contento. Un torneo corretto, con gente civile. Una coppa in più, ma soprattutto un'iniezione di adrenalina in una fase di malcontento personale. E vai!

domenica 8 novembre 2009

Si .. sfilaccia il Collana


Da oltre quattro anni l’impianto del Collana è sprofondato sotto il peso dell’incuria. Certo, in apparenza a cedere sono state le fondamenta dell’ampia palestra del basket, sul cui glorioso parquet nel tempo si sono avvicendati ottimi cestisti. A vederlo da fuori lascia la lugubre impressione di un rudere in abbandono, un reperto post-industriale. Manco a parlarne del prato del campo di calcio, anche questo carico di ricordi felici, rugbistici e calcistici. Sembra uno dei tanti campi agricoli abbandonati da contadini stanchi, fuggiti verso le meraviglie della società industriale. Singolare il contrasto con il numero elevato degli addetti-giardinieri che si intrattengono in molteplici attività di ricreazione pur di riuscire a completare l’orario di lavoro. Vogliamo parlare della piscina, tante volte chiusa, riaperta, restaurata, affidata ad ogni genere di intrapresa? Dal 1963, quando i Giochi del Mediterraneo a Napoli regalarono alla città un piccolo gioiello dell’impiantistica sportiva con i misurati contributi della deprecata Cassa del Mezzogiorno e del CONI, è stato un progressivo inesorabile degrado, costato enormi somme alla collettività, da cui è stato risparmiato soltanto il circolo del tennis. Quest’ultimo deve la sua più che decorosa sopravvivenza alla gestione attenta di privati che hanno saputo nel tempo provvedere alla manutenzione. Con il paradosso incredibile di non sapere neppure chi fosse l’interlocutore, cioé l’ ente pubblico effettivo proprietario dei suoli, vista la annosa diatriba, sfociata in contenzioso, tra Comune, Regione e – udite, udite- la G.I.L., che non sarebbe altro che la Gioventù del Littorio di “mascellona” memoria. E dove vanno a finire tutti i discorsi che sentiamo fare sulla necessità di dare spazi sportivi ai giovani? E’ possibile che un bene così importante come un impianto sportivo polifunzionale di quella portata debba diventare ostaggio di campagne elettorali, con finanziamenti sperati piuttosto che elargiti? Un altro tassello di quel complessivo mosaico di inefficienza e cattiva amministrazione che porta soltanto scoramento e, nel migliore dei casi, indifferenza rispetto alle sorti di queste nostre sfortunate terre.

giovedì 15 ottobre 2009


[...] Il magistrato si era intanto alzato ad accogliere il suo vecchio professore. "Con quale piacere la rivedo, dopo tanti anni!".
"Tanti: e mi pesano" convenne il professore.
"Ma che dice? Lei non è mutato per nulla, nell'aspetto".
"Lei sì" disse il professore con la solita franchezza.
"Questo maledetto lavoro...Ma perché mi dà del lei?".
"Come allora" disse il professore.
"Ma ormai...".
"No".
"Ma si ricorda di me?"
"Certo che mi ricordo".
"Posso permettermi di farle una domanda?...Poi gliene farò altre, di altra natura...Nei componimenti d'italiano lei mi assegnava sempre un tre, perché copiavo. Ma una volta mi ha dato un cinque: perché?".
"Perché aveva copiato da un autore più intelligente".
Il magistrato scoppiò a ridere. "L'italiano: ero piuttosto debole in italiano. Ma, come vede, non è poi stato un gran guaio: sono qui, procuratore della Repubblica...".
"L'italiano non è l'italiano: è il ragionare" disse il professore. "Con meno italiano, lei sarebbe forse ancora più in alto".
La battuta era feroce. Il magistrato impallidì. E passò a un duro interrogatorio.

La materia scolastica che chiamiamo "italiano" non ha lo scopo di insegnare a leggere, scrivere ed esprimersi in lingua italiana, bensì quello di insegnare a ragionare. Lei ha imparato poco "italiano", e quindi ha imparato poco a ragionare: tuttavia questo non le ha nuociuto alla carriera. Per cui, se avesse acquisito una attitudine al ragionamento ancora minore, forse lei sarebbe ancora più in alto.


L. Sciascia, Una storia semplice

giovedì 1 ottobre 2009

branco e slot machine

Branco e ipocrisia

Mentre il branco di giovanissimi va all’assalto del bus di Mergellina sputacchiando e insultando tutti i passeggeri, altri coetanei si dedicano, con buona lena e abbondanti risultati allo scippo agli anziani, azione spesso finalizzata alla puntata al videopoker o al betting office. Una statistica recente ci rivela che il 5% dei giovani italiani soffre di una sindrome da dipendenza da videogiochi. Dato sconfortante, specie se intersecato con altre risultanze, quali quelle sul livello effettivo di alfabetizzazione dei giovani dai dodici ai venti anni e sul loro livello culturale. Ignoranza su semplici quesiti di carattere storico, profondo buio sulle fonti letterarie, sulle radici linguistiche, sugli stessi principi della logica. Già, la logica. Neppure quella descrittiva, quella che permette all’uomo di comprendere il contesto, attribuendo una struttura al mondo che lo circonda attraverso la classificazione degli individui e dei concetti. Ma questa logica da dove dovrebbe arrivare? Lo scenario attuale, pubblico e privato è da brividi, da sconvolgere persino soggetti accreditati di esperienza e maturità. Fino a far vacillare convinzioni che sembravano radicate nella coscienza. Immaginiamo che cosa può succedere nella mente di soggetti giovani, con personalità in divenire, assaliti dalle ansie da prestazione tipiche dell’età. Lo sfondo pubblico è tutto un balletto di nani e ballerine, all’insegna della peggiore deriva dell’apparire. Scomparse, non solo per la erosione degli eventi storici, ma come colpite da un editto bulgaro, le ideologie e le passioni che portavano al confronto delle idee, che cosa resta ad un giovane? Manco a parlare del privato, dove la speculazione commerciale punta proprio sulla fragilità dei possibili consumatori. Confrontarsi con la generazione dei padri, anche loro travolti dalle rapidissime trasformazioni del costume? Meglio entrare in una sala scommesse, dove con pochi euro si può nutrire un piccolo sogno per qualche ora. Oppure meglio immergersi in una navigazione, molto più rischiosa di quella che affronta i mari in tempesta? Nello straordinario e insidiosissimo mondo del web c’è di tutto. Dalle ricerche storiche e antropologiche di maggiore respiro a come ammazzare, impuniti, la suocera o a come costruirsi una molotov di ultima generazione. In chi oggi guida la politica e l’amministrazione non c’è una presa di coscienza, quantomeno espressa con la formulazione di dubbi. E le nostre strade, le nostre città diventeranno sempre meno salutari, con giovani progressivamente più incolti ed aggressivi. Ma non potremo sorprenderci, come continuiamo ipocritamente a fare, perché è proprio attraverso le generazioni oggi al comando che si perpetuano errori ed egoismi, senza il minimo senso della responsabilità che la gestione del potere comporta.

giovedì 10 settembre 2009

da Repubblica Napoli 20 agosto 2008


"La munnezza a vui, lu viento a nui". La scritta che campeggia sul cartello di zio Armando, il vecchietto che apre il concerto di Vinicio Capossela ad Andretta, è già un manifesto. La festa cessa ieri, alle tre del mattino. Campo trebbiato, vista immensa della Valle e pale eoliche sullo sfondo. Lo scenario è perfetto e lo sciamano sa come gestire la liturgia. Inizia sciorinando una filastrocca che può essere tanto improvvisata sul momento, quanto pescata tra qualche stornello locale. Nella parlata roca di Vinicio sfilano tutti i paesi della zona con i loro tratti caratteristici: Bisaccia l' elegante, Conza l' annebbiata, Calitri la pazza. «Queste sono le contrade che si affacciano sull' Altopiano del Formicoso, terra di canti e schiene curve. La gente di qui è instabile: incendia la terra, coltiva la terra, difende la terra». Segue ovazione. Comincia la musica. La celebre "Maraja" resta l' unica del repertorio classico. La canta imbracciando una scopa di saggina, tanto per poggiare quello "Spazzincut" con cui attualizza la formula magica che conclude il brano. Poi suonerà solo canzoni locali, o meglio conversazioni. Strofe imparate nella bottega di barbiere e all' osteria, dove si dice Capossela si attardi spesso con gli anziani del posto. "Oi Filumena", "La femmina calitrana", "Faccia di Corvo". E parecchie poesiole del vate indigeno, Matteo Salvatori, come "La cantata de li pezzienti". A volte il pubblico si spazientisce, vorrebbe una sua hit. «Smettetela di fischiare o di fare richieste. Questo è il meglio che possiamo offrirvi, specie stasera», li rimprovera con fermezza. Per il resto è in estasi, Vinicio. Sul palco fa salire bande locali e matti di paese, gente a cui nessun altro darebbe spazio. Lo trattano come un nipote un po' mattacchione ma educato, «con la faccia di San Gerardo». Vinicio alza tre dita e si blocca ieratico, a benedire. Per il resto, nessuna accusa diretta al governo. Come se fosse rimessa alla stessa terra, i suoi canti e la sua gente la sentenza perentoria. Una dimostrazione di pulizia e bellezza contro le intenzioni «sporche» che piovono dall' alto. Ma in fondo è una messa di pace: quando uno stornellatore di Calitri intona "O sole mio", Capossela dichiara la riconciliazione avvenuta tra il vituperato capoluogo e «questa landa franosa, il Formicoso. Un posto da formiche laboriose. Un nome che conosce solo chi lo vive, come tutti i posti dove si tutela la terra. Macchia soprana, Lo Uttaro, Rosa dei Venti e Terzo Cavone a Scanzano. Nomi che appartengono alla gente e a nessun altro. Guardate quanto è bello e non temete il buio. Il buio aiuta a vedere tutt' intorno». - GIOVANNI CHIANELLI

martedì 8 settembre 2009

Brunetta superstar


Una strana coincidenza vuole che, all’indomani dell’elogio mediatico del Ministro Brunetta, l’ASL n. 1 di Napoli comunichi alla stampa la riammissione in servizio del primario psichiatra del Gesù e Maria, licenziato nel 2006. La questione, sempre a quanto sappiamo dalle note di stampa, era stata già oggetto di una sentenza. Già, pensate, di una sentenza di un Tribunale che da due anni – risale al settembre 2007 – aveva già deciso chi avesse giudiziariamente torto o ragione. Nel nostro caso la corte aveva ordinato la riassunzione del primario allontanato. Ma in appena due anni volete che una ASL, impegnata in tante più gravi questioni, potesse prendere in considerazione un provvedimento dell’Autorità Giudiziaria e dargli la dovuta esecuzione? Manco si trattasse della velina di un portaborse di qualche candidato alle primarie del PD. Increduli di fonte a tanta apparente trascuratezza, che comporterà seri aggravi economici al bilancio regionale, dobbiamo approfondire la questione. Tra le righe riusciamo ad intuire le motivazioni di così forte resistenza. Il medico licenziato aveva avuto il torto di ricevere l’interessata assistenza dell’opposizione politica, macchiandosi di una colpa forse ancora più grave di quella di aver resistito alle direttive ed ai diktat dei poteri forti della sanità regionale. Ricordiamo ancora le dichiarazioni alla stampa del precedente assessore regionale alla Sanità, che, per rispondere a chi lo accusava di essere soltanto un accentratore ed un dispensatore di incarichi, assumeva tra i propri crediti proprio il licenziamento di un primario… Ma alla fine, ancora una volta, la destra di governo esce da questo confronto di bassa portineria con l’immagine di chi risolve i problemi. Il caso dovrebbe far seriamente riflettere chi gestisce oggi la Regione. Non è la destra che convince gli elettori incerti. E’ solo la incontenibile pulsione all’autodistruzione della sinistra che privilegia le ragioni delle fazioni rispetto ai problemi veri ed alle esigenze della collettività.

lunedì 13 luglio 2009

il fiore della civiltà

Il libro, come fiore della civiltà. Una bella espressione, densa di profondo significato. Merita attenzione: il fiore è nella comune accezione immagine di nobile leggiadria che riporta tanto alla meravigliosa possibilità di espressione della natura, quanto alla combinazione di sensazioni visive, olfattive, tattili. In una civiltà - anche questo vocabolo di contenuto altamente positivo che connota la evoluzione di un certo momento della storia - il fiore rappresenta il meglio della produzione di quel contesto socio-culturale. Niente meglio del libro poteva rappresentare lo sforzo maggiore di un tempo. Libro, carta che diventa materiale esplosivo, che trasmette idee e che pone a confronto chi scrive e chi legge. In tutte le dittature è stato sempre visto come nemico. E questa sola considerazione basterebbe a farcelo amare. Chi legge vuole conoscere. Vuole ampliare le proprie conoscenze. Vederci meglio è più chiaro nelle cose che accadono. Costruirsi una propria visione della realtà. Pericolo massimo per chi tenta di dirigere le menti sulle direttrici da lui stesso segnate. Scintilla di rivoluzione quindi nascosta in fogli di carta graffiati dalla stampa. Ma oltre la bella definizione riferita da Citati esiste un difficle approccio della cultura, anche di quella "alta", alla reale diffusione delle produzioni letterarie. Un'opera viene spesso misurata a palmi o a sedicesimi. Più grosso è il volume e più merita attenzione per lo sforzo dell'autore. Un'operina minuta, scarna, di poche pagine, diventa letteratura minore da trattare con la sufficienza che si riserva a chi è poco sviluppato, forse un poco tonto, certamente imparagonabile agli sforzi dei grandi dello scritto e del pensiero. E così si snobbano realtà capaci di acquisire alla schiera dei lettori nuovi adepti.

lunedì 8 giugno 2009

Toto e l'incubo della nobiltà


Un destino beffardo sembra accanirsi contro Totò ed il suo difficile rapporto con la nobiltà. Un manipolo di ladri, sfessati almeno quanto il loro proposito, hanno divelto lo stemma nobiliare dalla capella funeraria del grande comico. Salvo poi a farsi prendere come i patetici eroi di una pochade, che avrebbe visto come degno protagonista il grande attore. Quel simbolo di nobiltà che l'attore aveva inseguito nei tribunali per circa sessanta anni stava per essere imballato e spedito verso mete di oltremare. Ma quel che più conta, ci dobbiamo chiedere come mai un uomo che come pochi sapeva intercettare il gusto per l'ironia e la beffa del popolo meridionale avesse maturato questa "scuffia" per la nobiltà. Proprio lui, pronto ad irridere ogni caporale che gli si parasse davanti, maschera tragicomica capace di reagire con impareggiabili tempi comici all'arrogante, pomposo e pedante di turno? Uno strano destino, legato ad un'infanzia infelice. Altrimenti non si concilia con il Totò poeta della "Livella" che fa dire al suo fantastico "monnezzaro" di essere deciso a prendere a mazzate l'insopportabile nobilastro vicino di tomba. Il principe della risata è riuscito a tenerci compagnia così tante volte da essersi assicurato il nostro affetto e la nostra ammirazione, anche senza stemma. E così ce lo vogliamo ricordare, mentre sberleffa l'onorevole sul treno e riempie di fiato le tante pernacchie che non abbiamo fatto.

mercoledì 13 maggio 2009

vive la cultura?

La chiusura del teatro Tinto di rosso a Palazzo Marigliano mi ha convinto che tra breve servirà l'alto patronato dell'UNESCO per salvare i pochi centri culturali che resistono all'incalzare dei nuovi barbari. Basta percorrere la città per prendere atto di una realtà dura e destinata persino a peggiorare. Stiamo assistendo all'ecatombe silenziosa di piccoli giacimenti culturali, quali i cinema di quartiere, i teatri volontariamente fuori del circuito commerciale, le piccole librerie di gusto dove era possibile trovare un libro, ma era certo l'incontro interessante con un libraio che ti introduceva ad un autore o a un filone letterario. Al loro posto, inesorabili, si insediano catene di supermercati, mentre negli spazi minori si vanno ad installare le nuove chiese dei nostri tempi: i centri di scommesse, o betting offices. Giovani e meno giovani affollano questi nuovi centri di aggregamento per sfidare la fortuna. Quasi tutti sono consapevoli che per uno che riesce a vincere ci sono diecimila perdenti, sempre più incattiviti con la mala sorte. Le facce alternano quasi sempre brevi momenti di soddisfazione a lunghi intervalli di noia o di delusione. La filosofia che è dietro a questi luoghi tristi è pericolosa. Finge di mostrare ai giovani una via per il successo, almeno per quello economico. Senza sforzo. Soltanto con la combinazione giusta che ti moltiplica la puntata e ti illude di avercela fatta.

domenica 19 aprile 2009

Un dipendente indipendente


Repubblica del 19 ci offre uno dei tanti ossimori napoletani espressi in due pagine che non è agevole confrontare, ma che lasciano certamente spazi per qualche riflessione. Da un lato, un'intervista al procuratore aggiunto Alessandro Pennasilico da cui emerge una traccia di speranza e di stimoli alla società civile. Molto misurate le espressioni del magistrato inquirente a commento dell'accertamento sulle responsabilità degli autori del delitto Ambrosio. Avrebbe potuto lasciarsi andare ad un minimo di trionfalismo per la rapidità e l'efficienza mostrata nelle indagini. E invece no. Nel citare quasi tra le righe l'impegno e la dedizione delle forze dell'ordine, ha collegato preziosi concetti quando ha affermato come violenza generi altra violenza e come non sia sufficiente l'invocazione di vendetta da parte di una borghesia sostanzialmente indifferente ad affrontare il degrado sociale e familiare in cui si consumano molte esistenze di fasce emarginate della società. Una significativa esemplificazione di senso del dovere e di coscienza del contesto, molto verosimilmente conseguenza di un ben inteso senso dello stato per il quale non c'è spazio per protagonismi, ma c'è motivo per un richiamo alla società ed alle sue responsabilità, commissive ed omissive.
Nello stesso giornale poi scopriamo invece le virtù pubbliche e private, questa volta decisamente sbandierate,sia pure con l'intermediazione di persone di famiglia, di un signore che dovrebbe svolgere le funzioni di comandante dei vigili urbani. Della sua presenza e delle sue qualità dovremmo accorgerci, in teoria, soltanto per l'efficienza ritrovata del corpo dei vigili. Ai lettori un commento sulla riuscita di questa pur non semplice operazione. Chi immaginava che al ruolo si adattasse un profilo da tenace e silenzioso esecutore della legge, con forte senso del dovere, si sbagliava. L'uomo ha da sempre scelto di operare con grande impegno,senza peraltro riuscire a resistere all'irrefrenabile pulsione verso l'esposizione mediatica. Abbiamo così accumulato cospicue tracce di risse materiali con cittadini e di divergenze, espresse attraverso la stampa e conferenze pubbliche, con chi rappresenta le istituzioni. In tutta evidenza rivendica un protagonismo che sarà sicuramente un brillante viatico per una futura carriera da politico, ma che al momento non sembra completamente in linea con quanto contrattualmente richiesto alla figura del comandante dei vigili al momento dell'assunzione dell'incarico. Contrapposizioni di figure istituzionali dicevo, al cui interno c'è il vero volto di Napoli.

martedì 14 aprile 2009

cronaca dal terremoto

Da Napoli al terremoto, cronaca degli aiuti
di Giovanni Chianelli

La rotta dei volontari partenopei che portano aiuti in Abruzzo inizia a via Cilea martedì 7, alle 21. Accorrono in molti e portano parecchia roba. La prima operazione è separare i vestiti dal cibo in uno spiazzo. La convocazione è stata fatta su facebook e via mail, ma altri passando trovano spunto per partecipare: "Fate la raccolta per gli sfollati? Non vi muovete che portiamo qualcosa anche noi", dicono degli sconosciuti. L’adunata diventa una festa, la risposta della gente supera le previsioni. Si prepara la partenza della mattina dopo, e si studiano piani per ottimizzare spazi e persone. Mercoledì mattina otto macchine si ritrovano alla barriera della tangenziale di Pozzuoli: qualcuno promette che al mercato di Monteruscello regalano biancheria e tute. Anche qui la realtà va al di là dei desideri. Appena si sparge la voce ogni bancarella offre un contributo, in breve si raggiungono duemila capi tra mutande, calze, magliette intime e reggiseni. Dire gara di solidarietà è poco, qui è una vera e propria guerra a chi offre di più. "Le fantasie magari non sono un granchè per i terremotati", si schernisce un venditore mostrando dei tanga hawaiani "però è tutta roba pulita". Si va via pensando a qualche luogo comune sui napoletani, per una volta positivo. A Caserta si uniscono altre auto, poi via fino a Cassino, dove si lascia l’autostrada per la statale Sora-Avezzano. I contadini salutano le auto degli aiuti, al casello di L’Aquila Ovest la protezione civile lascia passare senza pedaggio. Strano, dalla radio continuano a chiedere di non venire e che non serve niente. Ma i ragazzi di Napoli non demordono: non credono, di istinto, a chi chiede di non aiutare. "Qua non c’è nulla e il premier continua a dire che la situazione è sotto controllo!", si infuria Luigi, trent’anni, tra i capi della spedizione. Come dargli torto? L’arrivo dei ragazzi di Napoli è salutato come quello degli americani durante la seconda guerra mondiale. In più di cento fanno capannello attorno alle auto, si costituisce un bazar spontaneo e le migliaia di vestiti in pochi minuti spariscono. Vanno a ruba i capi di
biancheria intima , è quella che gli sfollati cercano di più. Qualcuno scherza atteggiandosi a gran venditore, un uomo calza una gonna e le bimbe ridono. Persino la cinesina di due anni che ha due scarpe destre. "I volontari laici possono essere utilissimi. Oltre a portare aiuti, regalano un po’ di allegria alla gente in preda al dramma. E voi napoletani in questo siete imbattibili", spiega Marzia, una "psicologa dei popoli" al seguito della Protezione Civile. D’obbligo un giro in centro, con tutte le precauzioni. Anche perché Chiara, una ragazza di Pozzuoli, studia matematica all’Aquila e deve recuperare nella casa in affitto dei testi e il libretto universitario, frutto di fatiche di anni. I vigili del fuoco accompagnano tre volontari nella casa di studenti, proprio affianco piazza Duomo. Atmosfera spettrale, resa ancor più paradossale dai negozi ancora illuminati e dai bancomat in funzione nel deserto. L’edificio sembra intatto, all’esterno. Dentro invece è tutto crepato. Si raccomanda attenzione estrema, una nuova piccola scossa potrebbe essere pericolosa. I ragazzi portano fuori solo libri, come raccomanda Chiara: "Il resto non mi interessa". Dopo cena c’è un momento goliardico: sfida calcistica tra volontari napoletani e Croce Gialla Pugliese. Poi la notte, molto fredda ma sopportabile, e il ritorno in mattinata. Per preparare la nuova adunata di stasera, alla rotonda del Parco Virgiliano sempre alle 21.
(09 aprile 2009)

giovedì 12 marzo 2009

ma da dove venite dalla Val brembana?


Convinto come sono della capacità tutta meridionale di cogliere l’ironia, specialmente se di grana grossa, come quella che emergeva dalla mia lettera a Repubblica Napoli di mercoledì 11 marzo, confesso di aver avuto perplessità nel leggere la replica che il lettore Laiso mi rivolge il giorno dopo, attraverso la stessa rubrica. Dapprima credo di aver fatto la faccia del “ghisa” dell’indimenticato Totò, Peppino e la Malafemmina, quando chiede “ma da dove venite, dalla Val Brembana?” Poi ho tentato una lettura più attenta della risposta e mi sono lietamente immedesimato nel beato personaggio che di me tratteggia l’ineffabile Laiso. Uno spensierato nullafacente, senza preoccupazioni né impegni, che al massimo rischia qualche schiaffo dall’automobilista denunciato. E mi sono immediatamente ricordato di un personaggio che i vomeresi over 50’ ricorderanno. Un falso vigile, con taccuino e fischietto, operante nella zona via Bernini – Piazza Vanvitelli, che ben prima dell’immaginifico Sementa, perseguitava i pochi indisciplinati dell’epoca. Non tutti gli automobilisti si accorgevano della “anomalia comportamentale” del solerte ed inflessibile Massimo. Molti chiedevano che chiudesse un occhio, altri protestavano per lo zelo eccessivo, si arrivava alle parole grosse, con effetti immaginabili sulla circolazione, ma comunque dando vita a siparietti gustosissimi, spesso risolti dai barbieri della zona che “ritiravano” il buon uomo prima che succedesse il peggio. No, caro lettore Laiso, purtroppo faccio parte della discussa e disprezzata categoria delle persone normali e nonostante i sessanta anni passati, continuo a lavorare. Mi resta il gusto, finché ce lo faranno fare, di commentare in modo giocoso le tante astruserie che siamo costretti a subire. Perché sia definitivamente chiaro, condivido tutte le sue sacrosante obiezioni alla proposta del comandante dei vigili urbani.

mercoledì 11 marzo 2009

don diana


“Chi è don Peppe?”. “Sono io”.
Don Peppino Diana era un prete di quelli rari. Coraggioso e ostinato,
non ha mai abbassato la testa di fronte a nulla. Peppe con il cuore
scout e il vangelo in mano, nel 1991 si fa promotore di un attacco
diretto contro i clan di Casal di Principe, la sua terra, sottoscrivendo
un documento che resterà una traccia indelebile nella lotta contro il
crimine organizzato.
“Per amore del mio popolo” è il titolo di questo documento. Un manifesto
contro la malavita che impazza fra le strade dell'Agro Aversano.
È un parroco di frontiera don Peppe, uno che nella terra di Francesco
“Sandokan” Schiavone combatte una guerra impari contro la Camorra.
Il giorno del suo onomastico, il 19 marzo 1994, alle 7.30 del mattino
un killer entra nella sagrestia della Chiesa di San Nicola a Casal di
Principe e lo uccide. A soli 36 anni. Un fumetto racconta la storia e
l'eredità di don Diana nella terra di Gomorra, tracciando il confine tra
ciò che resta di un uomo come tanti - che mai avrebbe voluto essere
un eroe - e il simbolo della lotta alle mafie che oggi rappresenta la sua
vita.

martedì 10 marzo 2009

Le ronde dei Sementa boys


Ho deciso e non voglio sentire ragioni! Mi iscrivo alle ronde dei Sementa boys e fotograferò tutti gli automobilisti indisciplinati possibili. A cominciare dalle auto in doppia fila delle signore che fanno la spesa, proseguendo con le mamme che accompagnano i bambini a scuola e via continuando con le mille combinazioni trasgressorie dei nostri poco osservanti concittadini al volante. Ma come fa a pensarle così giuste questo diavolo di un comandante? Eppure tempo ne deve avere poco a disposizione, impegnato tra prese volanti di motociclisti senza casco e chiarimenti ravvicinati con giornalisti, conferenze stampa e contatti con le autorità. Sin troppo scrupoloso, quando si interroga sulla piena ortodossia di una procedura sanzionatoria che prenda le mosse dalle foto di privati. Ma, secondo le sue dichiarazioni, sta già studiando un percorso “tecnico” capace di rendere legali le foto dei delatori privati. Che, ansiosi, non aspettano altro per dare vita ad un pirotecnico scambio di segnalazioni contro il vicino di casa antipatico, il condomino che non saluta, la signora che parcheggia sempre davanti al passo carraio. Ci aspettano tempi meravigliosi di scorribande, anche notturne, con fotocamere digitali. E se la moglie dovesse chiederci conto di queste uscite fuori orario potremo fornire giustificazioni di alto profilo etico, esibendo la fascia o la coppola che certamente saranno consegnate per rendere riconoscibili gli ausiliari del click! Perché certamente sarà pronto il kit per i volontari rondisti. Occhialoni scuri per appostamenti diurni; lenti speciali per uscite dopo il tramonto. Magari anche barbe finte e nasoni di circostanza. Uno spasso! Grazie Generale .. non vedevamo l'ora di affrontare un'avventura così intrigante.

lunedì 9 marzo 2009

le stagioni della natura e della vita


Giudicherai sventura gravissima la perdita di una persona che ami, eppure questo senso di sventura sarà altrettanto insensato quanto piangere la caduta delle foglie dagli alberi che circondano la tua casa. Guarda tutti gli esseri che ti provocano gioia come guarderesti quegli alberi, godili finché sono in fiore, respira il loro profumo, rifugiati beato alla loro ombra. Gli alberi, le foglie cadranno giorno dopo giorno. Ma come la caduta delle fronde è evento facile da sostenere nella prospettiva quasi certa della loro rinascita, così si può dire della scomparsa delle persone che ami o che hai amato, fonti di gioia per la tua vita, perché, anche se non potranno rivivere potranno essere sostituite da altre. Che non saranno le stesse persone, si potrà osservare. Ma neppure tu sarai la stessa persona del momento presente. Ogni istante di vita produce un cambiamento, senonché negli altri quest'azione incessante del tempo appare con più evidenza, mentre in te questo processo avviene in modo silenzioso e talvolta inavvertito. Gli altri ci sono strappati in un modo violento. Non ci sarà più l'amico di lunga consuetudine che riusciva a perdonare i nostri limiti e ad amarci per come siamo. Questo lo avvertiamo in modo dolente. Mentre ciascuno di noi si allontana da se stesso in modo quasi clandestino. E così ripensando ad un'immagine di noi stessi di qualche tempo fa potremo mai riconoscerci in quei gesti, in quei gusti, in quelle convinzioni che apparivano ferree? Nella natura dell'uomo c'è il mutamento, quello biologico che influenza quello del pensiero che è altresì orientato dagli incontri che facciamo, dal contesto in cui ci muoviamo. Accettare le trasformazioni dell'ambiente esterno e quelle della nostra mente ci restituirà elementi di umanità. E senza vergognarsi se la persona di oggi ci piace meno di quella di ieri. C'è uno spazio per ogni stagione della vita e della natura.

venerdì 6 marzo 2009

dubito ergo sum




Arriva un tempo in cui fermarsi a riflettere. Nasce dalla grande esigenza di separare dubbi e certezze, condizioni inevitabili dell’esistenza, gli uni e gli altri. L'arroganza nasconde spesso l'urgenza di apparire forti mentre mancano la certezza e la forza. Ho pure simulato forza nei momenti di dubbio. Guardandomi intorno in un mondo che ostentava sicurezza mi sembrava di esser l’unico ad avere incertezze. Ma non era così. Il beneficio del dubbio è un privilegio della mente che si interroga e si rifiuta di accettare la condizione di lettore di un solo libro. Ci sono individui apparentemente pacati che quasi hanno in sdegno le altrui incertezze, che si sono convinti che debba alla fine prevalere soltanto la propria insicurezza. Che ha un aspetto familiare, che si presenta ricca di insegnamenti al bivio tra umiltà ed alterigia. Pure la consapevolezza di essere portatori di dubbio può diventare una forma di insostenibile di superiorità. Ma di qualità diversa rispetto alle insostenibili posizioni di chi dice di non avere alcuna forma di perplessità rispetto alle cose del mondo. C’è in questi individui un elemento diabolico, difficilmente percepito, specie in soggetti che, sulla scorta di una loro convinzione di stampo religioso, non si rendono conto di quanto poco umano e naturale sia l’affermazione di avere certezze. Da qualsiasi parte provengano. Il fermento interiore di ogni tormento della mente è un terreno prezioso. Capace ogni volta di lasciarci sconcertati, ma più vivi e più vicini all’essenza della natura

martedì 3 marzo 2009

Bucita


Partire da Bucita, frazione di San Fili terra di Calabria che affaccia sul mare Tirreno, sopra Paola. Bucetum, pascolo, per animali da allevamento. Castagneti che si affacciano sul mare che si lascia alle spalle per inerpicarsi lungo le pendici di una montagna. Luogo di ricordi di infanzia. Ricordi felicissimi di una bella casa stile coloniale che il nonno Peppino aveva voluto sul modello di quelle belle ville che vedeva in Argentina a Rosario o a Cordoba. Con un ingresso che divideva la casa in due lati. Una grande cucina sulla sinistra che si apriva davanti ad un giardino incantato. Coi fiori, tanti e coloratissimi, coperti di farfalle variopinte che Silvana ed io piccolissimi inseguivamo. In quel periodo vivevamo a Santa Maria C.V. ed anche lì avevamo un bel giardino a disposizione. Per noi il contatto con la natura non era inusuale. Eppure il ricordo di quei giorni è rimasto impresso in modo indelebile. Un gattino, un cane che veniva a mangiare. E poi la scoperta di quella casa nostra casa grande con un garage dove c'era ancora una bellissima balilla di colore bordeau, coperta da teli che la proteggevano dalla polvere. Il ricordo di un pranzo in casa, con il melone d'acqua messo a rinfrescare nella fontana del giardino. Con altri ragazzini che giocavano con noi. Poi più niente. La casa col giardino ed il castagneto furono venduti per comprare la casa di Napoli. Credo che Papà ne soffrì molto, ma non lo disse mai. Realizzava il sogno di una casa a Napoli per la famiglia. Di tutto quel patrimonio sono rimasti i mobili del soggiorno e il divanetto di vimini che è a casa di Silvana.

lunedì 2 marzo 2009

vuelvo al sur


Ho conosciuto questo straordinario brano di Astor Piazzolla attraverso la intensa versione di Caetano Veloso. Un Veloso meno vellutato del solito, consapevole di affrontare un testo pieno di dolore struggente, di nostalgia. E per questo il bahiano entra nella musica e nelle parole con una insolita veemenza, forse sull'eco delle indimenticabili interpetazioni dei grandi argentini come Carlos Gardel,Mercedes Sosa e l'autore Piazzolla. Voci e temi d'altri tempi, impostate per la lirica, che influenzano in ogni caso Caetano e lo inducono ad una sobrietà espressiva che ha pochi altri riscontri.
La canzone è struggente come le meravigliose note stridenti di Piazzolla e del suo bandoneon. Non scade mai nel sentimentalismo melenso per restare sempre aggrappata a quella forte ispirazione verso i climi e le atmosfere di un sud del mondo.
In ciascuno di noi c'è un ritorno al proprio sud ed a quell'universo di valori che non deve essere sprecato nelle parole o nelle formule letterarie. Solo una grande sensazione di ritrovare se stessi in posti magari isolati dal mondo che si definisce civile e non per questo fonti minori di sapere e di civiltà.

Vuelvo al Sur,
como se vuelve siempre al amor,
vuelvo a vos,
con mi deseo, con mi temor.

Llevo el Sur,
como un destino del corazon,
soy del Sur,
como los aires del bandoneon.

Sueño el Sur,
inmensa luna, cielo al reves,
busco el Sur,
el tiempo abierto, y su despues.

Quiero al Sur,
su buena gente, su dignidad,
siento el Sur,
como tu cuerpo en la intimidad.

Te quiero Sur,
Sur, te quiero.

Vuelvo al Sur,
como se vuelve siempre al amor,
vuelvo a vos,
con mi deseo, con mi temor.

Quiero al Sur,
su buena gente, su dignidad,
siento el Sur,
como tu cuerpo en la intimidad.

Vuelvo al Sur,
llevo el Sur,
te quiero Sur,
te quiero Sur…

sabato 21 febbraio 2009

poesie erranti di C. Bukowsi




















ESAME

ah sì, sono un bravo ragazzo
appena resta poca
carta igienica
tolgo il rotolo
e
ne rimetto uno ben pieno.
non vivo
solo
e sono cosciente
che un´improvvisa ricerca nervosa
di quel rotolo
di carta
può mandare in malora
i più teneri umori
o scagliare maledizioni
sulle piastrelle
del bagno

bravi ragazzi come me
servono a qualcosa
in questo mondo difficile.


NON RESTITUIRE AL MITTENTE

la buona notizia è che sono
deperibile,
mentre la lumaca striscia lenta sotto
la foglia,
mentre la dama nel caffè
ride una falsa risata,
mentre la Francia brucia
un crepuscolo di porpora.
sono deperibile
e questo è il bello,
mentre il cavallo scalcia
un´asse della stalla,
mentre ci affrettiamo verso
il paradiso,
io sono piuttosto deperebile.
metti le scarpe sotto
il letto
allineate.
mentre ulula il cane
l´ultima rana sbuffa
e salta.

venerdì 20 febbraio 2009

qualcosa si muove nel mondo


Scrive Natalia Aspesi su Venerdì di Repubblica del 20 febbraio 2009 " Sempre meno omosessuali mi scrivono...In questa situazione c'è un lato positivo, cioè che a poco a poco i problemi delle persone in quanto gay si stanno ridimensionando, allineandosi con quelli di tutti, uomini e donne, etero e gay, in amore nei rapporti familiari nella vita sociale e politica. E ce ne è uno negativo e cioè che per le battaglie civili, nel paese più ateo che conosca, l'Italia, ma anche il più servile al Vaticano per opportunismo, bisogna aspettare momenti meno bui, meno illiberali, meno pericolosi. Per tutti."
Natalia Aspesi ha meriti incredibili nell'aver tenuto dritta la barra del timone in tutti questi anni di una rubrica profondamente diversa dalle classiche rubriche di piccola posta che avevamo imparato a conoscere, specie nei giornali riservati alle donne. Principale credito di questo prezioso spazio di posta è quello dello sdoganamento dei problemi degli omosessuali. Nella sua rubrica "Questioni di cuore" da almeno venticinque anni si riversano anche le problematiche, prevalentemente amorose, di uomini e donne gay. Trattati da sempre con assoluta compostezza e lucidità. Con risposte che si possono più o meno condividere, ma che si sono distinte perché formulate al di fuori della imperante ipocrisia. E in un luogo del tutto particolare come il magazine del principale giornale della sinistra italiana. Proprio di quello schieramento politico che ha sempre evitato con ogni cura di affrontare l'argomento della omosessualità facendo la necessaria chiarezza.
Abbiamo letto di rapporti difficili, che descrivevano, con chiarezza e senza alcun cedimento alla morbosità, la difficoltà di chi è gay di incontrare l'amore, uscendo dai ghetti delle marchette e dei cessi dei locali omosex.
Un risultato non da poco, grazie al costante lavoro di tessitura di questa straordinaria giornalista, donna con una storia personale che non deve essere stata particolarmente facile o felice. Brevi accenni sulla sua condizione di bruttina stagionata sono venuti nelle sue risposte, quando condivideva i disagi di giovani uomini e donne che lamentavano la mancanza di amore in ragione dell'aspetto non felice. Per lei deve essere stato non facile raggiungere l'equilibrio su certi temi. Ma proprio per questo può guardare con maggiore apertura ai tormenti dei suoi lettori. Che, come dice lei in maniera stupefacente, fanno parte del Paese più ateo che esista, pur se il più asservito per motivi di comodo politico al potere condensato nel termine Vaticano.

giovedì 19 febbraio 2009

Caro mare, caro bugiardo, caro amico


Io credo, caro amico, che arrivati ad un certo momento bisogna fare il punto della situazione... mi correggo perché effettivamente punti e situazioni, ora come ora, fioccano nella mia vita come neve alla vigilia di Natale.
Il panno che mi avvolgeva come calda bambagia si è sgretolato, e dubbi e riflessioni li ritrovo solo adesso abbandonati alla brezza, inibiti dal tuo lamento.
Penso che tu mi debba delle spiegazioni: il tuo "andare e venire", che non è mai stato detto davvero, l'ho conosciuto solo per mute didascalie perse tra discorsi vani, ma sempre mi sono dato una risposta. Volevo solo contemplare le tue braccia che cercavano appiglio in ogni cosa e poi, vili predatori, si rifugiavano entro le mura invalicabili della tua fortezza.
Caro amico, caro bugiardo, chiedimi adesso perché i Suoi adepti non caddero nelle tue menzogne ma rimasero ciechi ad aspettare il tempo e le conseguenze delle tue azioni; chiedimi perché sono riuscito a passare sopra a mille bugie anche quando dicevi di dormire pensando che io non vedessi i tuoi occhi socchiusi che mi scrutavano.
Dicono che "il diavolo rimase stupito quando comprese quanto osceno fosse il bene e vide la virtù nelle sue forme più sinuose", ma io, che pur non comprendo, resto senza parole davanti al tuo nudo artistico e il mio sguardo si perde sul tuo seno candido colpito dal sole. Lo trovo improbabile visto che i tuoi inganni, camuffati da mugghio sprofondano nel baratro a far compagnia a un diavolo decrepito.
Ora devo chiederti il perché di queste tue bugie; per quale motivo non riveli la tua identità? E perché non mi dici come sei nato?
Non ho mai avuto il coraggio di chiedertelo, né di chiederlo a me; al massimo mi capitava di gridarlo al mondo e in tutta risposta mi tornava indietro qualche sussurro, un eco che legava assieme ossigeno e idrogeno, facendoli reagire.
Li per li presi la risposta come veritiera ed esaudiente, ma ti confido, caro amico e bugiardo, che non ho mai creduto a pazzie del genere.
Mi sono guardato bene dall'offenderti da quando, presa coscienza, lasciai il fiore della mia infanzia per salpare verso alti porti e altri prati fioriti; ho riconosciuto la stanchezza nei tuoi occhi e nei tuoi movimenti dopo una tempesta d'ira; ho compreso quanto tu non sia né più né meno di quanto possa essere io, poiché ci ritroviamo legati, come solitari eremiti, gemelli: io governato dalla luna, tu posseduto dalla paura.
Ho ragionato e capito e ancora tu taci nel tuo silenzio e non mi degni di una risposta, non ti scusi per le tue bugie.
Pescando nel mio abisso riesco a trovare quel disprezzo che non mi è riuscito di darti, ma seduto qui, su questo tetto arrossato dal crepuscolo, non posso trovare tutte le parole e il disprezzo diventa amore che disperdo come cenere.
La mia iride riflette i colori dei tuoi occhi, quelli profondi persi nel tuo abisso: gli occhi di tutti. Ed è una bugia in meno al mondo.

In piedi sul cornicione fisso l'orizzonte, il tuo orizzonte, e tu mi aspetti indifferente sapendo già la fine che ci attende. Una dolce morte, scritta nero su bianco.
Caro mare. Caro bugiardo. Caro amico.

mercoledì 18 febbraio 2009

Lettera a Bosie di Oscar Wilde


Mio carissimo ragazzo, questo e' per assicurarti del mio amore immortale, eterno per te. Domani sara' tutto finito. Se la prigione e il disonore saranno il mio destino, pensa che il mio amore per te e questa idea, questa convinzione ancora piu' divina, che tu a tua volta mi ami, mi sosterranno nella mia infelicita' e mi renderanno capace, spero, di sopportare il mio dolore con ogni pazienza. Poiche' la speranza, anzi, la certezza, di incontrarti di nuovo in un altro mondo e' la meta e l' incoraggiamento della mia vita attuale, ah! debbo continuare a vivere in questo mondo, per questa ragione. Il nostro caro amico mi e' venuto a trovare oggi. Gli ho dato parecchi messaggi per te. Mi ha detto una cosa che mi rassicurato: che a mia madre non manchera' mai niente. Ho sempre provveduto io al suo mantenimento, e il pensiero che avrebbe potuto soffrire delle privazioni mi rendeva infelice. Quanto a te (grazioso ragazzo dal cuore degno di un Cristo), quanto a te, ti prego, non appena avrai fatto tutto quello che puoi fare, parti per l' Italia e riconquista la tua calma, e componi quelle belle poesie che sai fare tu, con quella grazia cosi' strana. Non esporti all' Inghilterra per nessuna ragione al mondo. Se un giorno, a Corfu' o in qualche isola incantata, ci fosse una casetta dove potessimo vivere insieme, oh! la vita sarebbe piu' dolce di quanto sia stata mai. Il tuo amore ha ali larghe ed e' forte, il tuo amore mi giunge attraverso le sbarre della mia prigione e mi conforta, il tuo amore e' la luce di tutte le mie ore. Se il fato ci sara' avverso, coloro che non sanno cos'e' l'amore scriveranno, lo so, che ho avuto una cattiva influenza sulla tua vita. Se cio' avverra', tu scriverai, tu dirai a tua volta che non e' vero. Il nostro amore e' sempre stato bello e nobile, e se io sono stato il bersaglio di una terribile tragedia, e' perche' la natura di quell' amore non e' stata compresa. Nella tua lettera di stamattina tu dici una cosa che mi da' coraggio. Debbo ricordarla. Scrivi che e' mio dovere verso di te e verso me stesso vivere, malgrado tutto. Credo sia vero. Ci provero' e lo faro'. Voglio che tu tenga informato Mr Humphreys dei tuoi spostamenti cosi' che quando viene mi possa dire cosa fai. Credo che gli avvocati possano vedere i detenuti con una certa frequenza. Cosi' potro' comunicare con te. Sono cosi' felice che tu sia partito! So cosa deve esserti costato. Per me sarebbe stato un tormento pensarti in Inghilterra mentre il tuo nome veniva fatto in tribunale. Spero tu abbia copie di tutti i miei libri. I miei sono stati tutti venduti. Tendo le mani verso di te. Oh! possa io vivere per toccare i tuoi capelli e le tue mani. Credo che il tuo amore vegliera' sulla mia vita. Se dovessi morire, voglio che tu viva una vita dolce e pacifica in qualche luogo fra fiori, quadri, libri, e moltissimo lavoro. Cerca di farmi avere tue notizie. Ti scrivo questa lettera in mezzo a grandi sofferenze ; la lunga giornata in tribunale mi ha spossato. Carissimo ragazzo, dolcissimo fra tutti i giovani, amatissimo e piu' amabile. Oh! aspettami! aspettami! io sono ora, come sempre dal giorno in cui ci siamo conosciuti, devotamente il tuo, con un amore immortale

lunedì 16 febbraio 2009

Maurilia di Italo Calvino


Maurilia

A Maurilia , il viaggiatore è invitato a visitare la città e nello stesso tempo a osservare certe vecchie cartoline illustrate che la rappresentano com'era prima: la stessa identica piazza con una gallina al posto della stazione degli autobus, il chiosco della musica al posto del cavalcavia, due signorine col parasole bianco al posto del cavalcavia, due signorine col parasole bianco al posto della fabbrica di esplosivi. Per non deludere gli abitanti occorre che il viaggiatore lodi la città nelle cartoline e la preferisca a quella presente, avendo però cura di contenere il suo rammarico per i cambiamenti entro le regole precise: riconoscendo che la magnificenza e prosperità di Maurilia diventata metropoli, se confrontate con la vecchia Maurilia provinciale, non ripagano d'una certa grazia perduta, la quale può tuttavia essere goduta soltanto adesso nelle vecchie cartoline mentre prima, con la Maurilia provinciale sotto gli occhi, di grazioso non ci si vedeva proprio nulla, e men che meno ce lo si vedrebbe oggi, se Maurilia fosse rimasta tale e quale, e che comunque la metropoli ha questa attrattiva in più, che attraverso ciò che è diventata si può ripensare con nostalgia a quella che era. Guardatevi dal dir loro che talvolta città diverse si succedono sopra lo stesso suolo e sotto lo stesso nome , nascono e muoiono senza essersi conosciute, incomunicabili tra loro. Alle volte anche i nomi degli abitanti restano uguali, e l'accento delle voci, e perfino i lineamenti delle facce; ma gli dèi che abitano sotto i nomi e sopra i luoghi se ne sono andati senza dir nulla e al loro posto si sono annidati dèi estranei. E' vano chiedersi se essi sono migliori o peggiori degli antichi, dato che non esiste tra loro alcun rapporto, così come le vecchie cartoline non rappresentano Maurilia com'era, ma un'altra città che per caso si chiamava Maurilia come questa.

mercoledì 11 febbraio 2009

Bersabea: le Città Invisibili di Italo Calvino


Bersabea

Si tramanda a Bersabea questa credenza: che sospesa in cielo esista un'altra Bersabea, dove si librano le virtú e i sentimenti piú elevati della città, e che se la Bersabea terrena prenderà a modello quella celeste diventerà una cosa sola con essa. L'immagine che la tradizione ne divulga è quella d'una città d'oro massiccio, con chiavarde d'argento e porte di diamante, una città-gioiello, tutta intarsi e incastonature, quale un massimo di studio laborioso può produrre applicandosi a materie di massimo pregio. Fedeli a questa credenza, gli abitanti di Bersabea tengono in onore tutto ciò che evoca loro la città celeste: accumulano metalli nobili e pietre rare, rinunciano agli abbandoni effimeri, elaborano forme di composita compostezza. Credono pure, questi abitanti, che un'altra Bersabea esista sottoterra, ricettacolo di tutto ciò che loro occorre di spregevole e d'ingegno, ed è costante loro cura cancellare dalla Bersabea emersa ogni legame o somiglianza con la gemella bassa. Al posto dei tetti ci si immagina che la città infera abbia pattumiere rovesciate, da cui franano croste di formaggio, carte unte, resche, risciacquatura di piatti, resti di spaghetti, vecchie bende. O che addirittura la sua sostanza sia quella oscura e duttile e densa come pece che cala giú per le cloache prolungando il percorso delle viscere umane, di nero buco in nero buco, fino a spiaccicarsi sull'ultimo fondo sotterraneo, e che proprio dai pigri boli acciambellati laggiú si elevino giro sopra giro gli edifici d'una città fecale, dalle guglie tortili. Nelle credenze di Bersabea c'è una parte di vero e una d'errore. Vero è che due proiezioni di se stessa accompagnino la città, una celeste e una infernale; ma sulla loro consistenza ci si sbaglia. L'inferno che cova nel piú profondo sottosuolo di Bersabea è una città disegnata dai piú autorevoli architetti, costruita coi materiali piú cari sul mercato, funzionante in ogni suo congegno e orologeria e ingranaggio, pavesata di nappe e frange e falpalà appesi a tutti i tubi e le bielle. Intenta ad accumulare i suoi carati di perfezione, Bersabea crede virtú ciò che è ormai un cupo invasamento a riempire il vaso vuoto di se stessa; non sa che i suoi soli momenti d'abbandono generoso sono quelli dello staccare da sé, lasciar cadere, spandere. Pure, allo zenit di Bersabea gravita un corpo celeste che risplende di tutto il bene della città, racchiuso nel tesoro delle cose buttate via: un pianeta sventolante di scorze di patata, ombrelli sfondati, calze smesse, sfavillante di cocci di vetro, bottoni perduti, carte di cioccolatini, lastricato di biglietti del tram, ritagli d'unghie e di calli, gusci d'uovo. La città celeste è questa e nel suo cielo scorrono comete dalla lunga coda, emesse a roteare nello spazio dal solo atto libero e felice di cui sono capaci gli abitanti di Bersabea, città che solo quando caca non è avara calcolatrice interessata.

da: Le Città Invisibili di Italo Calvino

martedì 10 febbraio 2009

se manca l'ispirazione


Il terrore del foglio bianco. Chi ha avuto la ventura di dover scrivere entro un certo termine di un determinato argomento conosce la sindrome del foglio bianco. La stanchezza, un momento di assenza mentale, scarsa conoscenza dell'argomento da trattare, il timore di ricadute o di commenti di chi leggerà lo scritto. Ed ecco che spunta dapprima silenzioso, poi sempre più evidente, quel magone che ti impedisce di concentrarti e scrivere. E vorresti essere altrove, non importa dove, ma non davanti a quel "maledetto foglio". O forse più propriamente, davanti a quella tastiera di computer, visto che a scrivere sulle vecchie Remington o Olivetti sono rimasti soltanto attempati nostalgici. E il fascino della vecchia tastiera di macchina da scrivere dove lo mettiamo? Direi da nessuna parte, tanto è più comodo, più pratico il computer che ti consente importazioni di testi, richiami ipertestuali, sconvolgimenti di periodi o di impaginazione. Ma non scherziamo! Oggi non solo è più facile scrivere, ma è certamente possibile non stancarsi in defatiganti ricopiature che non avevano altro risultato che quello di riempire i testi di errori. Copia, incolla, cancella, sposta, evidenzia, annota. Bastano poche nozioni ed una minima pratica e il tuo PC diventa un amico insostituibile. Il vero guaio è quando un computer non c'è. Con la mancanza di pratica, diventa complicato persino mettere la carta copiativa nel verso giusto. Rientrano nelle stesse considerazioni Le sensazioni che si provano ad impaginare una pagina di giornale in video. Tutto è agevole e lascia spazio a creare fusioni armoniose di testi ed immagini. Non c'è paragone rispetto ai sistemi antichi. Solo la retorica dei vecchi proto che respiravano il dannoso piombo delle linotype, macchina enorme e dai profili misteriosi. Ad ogni tasto corrispondeva una lettera ed il tutto veniva poi faticosamente racchiuso in torchi di legno che, una volta inchiostrati, producevano i "bozzoni". Per poi passare alle lastre che finivano in macchina da stampa. Un tempo infinito dedicato a manovre che hanno rivelato tutta la loro materialità con l'introduzione delle tecniche nuove. Prima la fotocomposizione con striscette e poi le ultime novità dei Mac che rivoluzionarono tutto il mondo della stampa.

venerdì 6 febbraio 2009

Ibra e Greta di Marco Civoli




È da un po` che non funziona più. Lo so. Anche per colpa mia. Non ci sono quasi mai. Questo maledetto lavoro .. Da quanto tempo? Boh, un mese, due mesi.. Come me ne accorgo? Quando stiamo insieme la sua mente vaga, lo vedo e lo sento. Mi guarda ed è come se pensasse al Milan, a Kakà, Ronaldinho e Shevchenko che un giorno insieme scenderanno a San Siro come unni per vincere finalmente un derby scudetto. Assente, assorta. Le squilla ogni giorno, adesso, tra le otto e le nove di sera un vecchio nokia . Stiamo cenando, eppure risponde. Ma perchè non lo spegne mai?.
< Un bacio a chi?>> Ma è Walter, dai, sei geloso?>> Si da morire, le vorrei confessare.. << Ma no, ah si Walter, quel bel dottore che sembra animalescamente un incrocio fra Robert De Niro e Gene Wilder.. Ma quanti anni ha?>> <>. Bugiarda che sei, penso io- Credo abbia sui quaranta.. Sta attraversando un momento durissimo. In corsia talvolta si ferma, sospira e poi sparisce. Si è separato da poco. Ah, lo sai che è del Milan come me?>>
Prepotente la sveglia s’insinua tra sogni e realtà. Greta dorme accanto a me. Ieri notte non so nemmeno a che ora è rientrata. Le avevo lasciato in cucina una fetta di crostata alla fragola ed una coca cola light. In ospedale i turni sono pesanti. Al pronto soccorso, poi, chissà che massacro. Eppure vorrei sfiorarla, accarezzarle i capelli che le coprono la schiena. Quel profumo alla vaniglia che indossa aleggia nella stanza. Vorrei svegliarla e dirle, ma lo sai che giorno è questo? Si che lo sai, vado a prendermi lo scudetto al Tardini. Il primo pensiero va alla Gazzetta, deposta come fosse il Vangelo sullo zerbino della mia porta d’ingresso.
La formazione, chi gioca a Parma? Apro in mutande e regolarmente incrocio lo sguardo attento e severo del mio dirimpettaio. Lui è della Juve, il figlio più piccolo l’ha chiamato Alex, sai che fantasia, alex con la x, registrato così in Chiesa ed in comune.. Nell’ultimo mese la Gazza non l’ho trovata li, distesa, rosa e profumata per ben tre volte. Ho il sospetto che me 1`abbia fregata lui.. Guardacaso sempre di lunedì, dopo tre vittorie consecutive della Gobba. Una rarità, ormai…
Oggi è un giorno tutto mio, perfetto.. Si, lo penso, mi scaldo già vedendomi giungere al Tardini. Autostrada e caffé al Bar del sole.. Lascio la macchina al parcheggio della Provincia, quattrocento metri a piedi ed eccomi nel tempio. Dov`e` il biglietto ? Forse nella tasca interna della giacca, l’ho indossata ieri sera alla presentazione del libro di Paolo.. No, quando Claudio me l’ha dato fra le mani la giacca era appoggiata sulla sedia, al ristorante.. Sono ancora in mutande e penso al biglietto, alla partita, all’Inter, allo scudetto, a Mancini che magari se ne va, a Moratti che salta in tribuna, a Ibrahimovic che ha un ginocchio gonfio, chissà se fa il miracolo e va in campo, a Balotelli che salta tre di loro e va a segnare… Ecco il biglietto. È in cucina, vicino alla crostata e alla lattina di coca. Greta, ci sei ancora? Sono ancora dentro di te?
Dorme.. È bellissima anche quando i suoi occhi sono chiusi. Non so nemmeno che turno abbia oggi, domenica. Ieri sera alle dieci le ho mandato un messaggio. Mi ha risposto dopo un’ora. Una risposta svogliata, priva di ogni riferimento (ovvero l’Inter) a ciò che le avevo scritto…<>...<>Una frustata, una sensazione di abbandono, di vuoto. L’Inter è esattamente speculare all’amore che ho per lei. Il fatto che Greta non fosse stata partecipe a ciò che avrei vissuto l’indomani mi ha reso triste, improvvisamente.. Un altro pesante indizio.
E` da un po` che non funziona, non funziona come vorrei. Passa sempre più ore in ospedale. Nove volte su dieci sono io a cercarla. Sino a qualche settimana fa accadeva esattamente il contrario. Sì, è vero, stiamo insieme da tre anni, ci conosciamo da sette, non ho mai avuto la sensazione che ci fosse qualcos’altro sul nostro cammino. O meglio, qualcun altro. No, un `altra no, mai.. Io sono pazzo per lei e per l’Inter. Ho azzerato la mia voglia cieca di sesso ed ossessioni quando ho conosciuto Greta. La donna perfetta. Milanista, d’accordo, ma tiepida, più berlusconiana che rossonera. Più provocatrice che avversaria. Quando si è messa con me, più o meno qualche giorno dopo Inter Roma di Coppa Italia( gran gol a San Siro di Mihajlovic e primo trofeo di Mancini in bacheca)ha accettato la mia religione, le mie manie, molte domeniche allo stadio. Il suo lavoro, i suoi turni, il reparto di geriatria che l’a assorbita. Eppure un amore cercato e mai isolato…. È sempre bastato guardarci negli occhi per capirci, iniziare a parlare di tutto, finire a letto. Continuare a parlare, di lei tanto, di me un po` meno. Ma andava bene cosi, almeno sino a due mesi fa.
E lei è su questo letto. Dorme, il triangolo di luce dalla porta non la infastidisce. I pomelli d’ottone del letto è come se ora limitassero un territorio. Solo il suo.. Il Nokia è lì, tra la lampada e la custodia degli occhiali, un libro di Nilsson il bicchiere mezzo pieno (o mezzo vuoto) d’acqua minerale. La tentazione di curiosare è forte. Ok, lo prendo... I messaggi inviati a chi, quali messaggi riceverà e da chi? Tiene in memoria i miei? Si rigira sul fianco mentre vado a caccia di segreti che non vorrei scoprire. << Lui oggi va a Parma. Non ce la faccio più. E sai che goduria se perdono. Mi chiami verso le undici? Bacio.>> L’ha mandato Greta, no, non è possibile. Inviato alle 5.45. Destinatario .Walter…Lo leggo una, due, tre volte. La guardo una, due, tre volte. Sono le dieci. Fra un’ora la chiama. Il medico milanista nella vita di Greta? Ma cosa mi infastidisce di più? Che sia milanista o che abbia già provveduto a rubarmi la donna?
Diamine, invece che scuoterla e chiederle conto mi sto accorgendo che la sto salvando, la sto assolvendo. E se fosse semplicemente un sms pieno d’ira nei miei confronti perchè la lascio ancora una volta da sola e si sia rivolta cosi a questo bellimbusto per bieca ripicca? Tra colleghi esiste anche un po` di complicità. E se l’avesse scritto sapendo che proprio stamattina mi sarei impossessato del telefonino per leggere i suoi messaggi? Quante domande. Ma perchè proprio oggi, nel giorno dello scudetto?..
Già, lo scudetto. Abbiamo fatto di tutto per perderlo. E la coppa dei campioni, io la chiamo ancora cosi, se n’è andata per l’ennesima volta. E sono quarantatre gli anni che non la portiamo a casa. Si, ma che sfiga. Si sono fatti male tutti. Ci hanno fatto la macumba. Una puzza moggiesca il cui fetore non svanisce. Ma anche il Mancio c`ha messo del suo. Quando se ne è uscito con quella frase <> ha rotto il vaso. E pure, secondo me, le palle a Moratti. Ok, sto facendo il check up stagionale dell’Inter a novanta minuti dalla sedicesima goduria, ne sono sicuro e Greta sta lì, dorme,magari mi ha tradito non so quante volte. Ci voleva questa, stamattina. Che faccio? Lo scudetto è li ad un passo. Non finirà come il 5 maggio, lo sento. La sto perdendo, Greta. E se l’avessi già persa? Già ma perchè, conoscendola, non me ne ha mai parlato? E da quanto dura questa storia? E se mi stessi sbagliando?
Devo sbrigarmi, i rituali non si cambiano. Lo stadio di Parma lo conosco bene. Oggi potrebbe esserci casino. I tifosi della curva tutti fuori. Io sono un privilegiato. Sarebbe meglio entrare almeno due ore prima dell’inizio della partita…. E se mi infilassi nel letto facendo finta di sonnecchiare ed aspettassi le undici per sentire lo squillo del suo telefonino? Chissà come reagirebbe scoprendomi di fianco a lei. Come rimarrei io sapendo il chi ed il perchè di quella telefonata? La smaschererei per dirle cosa? Che ho scoperto l’altra parte della sua vita? Quella mai violata, celata? Che sta progettando di lasciarmi? Le sue reazioni mi sorprendono sempre..,Negherebbe, inventerebbe chissà quale storia. Oppure con quel sorriso straordinariamente insicuro mi direbbe<>. Il giorno giusto. Per lei, forse , non per me.. Via, sbrigati, le undici stanno arrivando e l’Inter ti aspetta, mi ripeto continuamente. Al resto penserò domani…
Eccomi a Parma.. Durante il viaggio pioggia, pioggia e ancora pioggia. Il cellulare sempre acceso, riposto sul sedile anteriore. Un occhio alla strada, un orecchio a captare il primo segnale. Un suono, uno squillo. Non è ancora arrivato. Io non l’ho chiamata. È come se l’avessi lasciata nel sonno profondo, immaginandola cosi. Innocua, inoffensiva. Sarà abbondantemente sveglia dalle undici. Cosa si saranno detti lei e quel simpaticone.. Si vedranno? E dove?. Non a casa nostra, non oso pensarlo. Ecco si, in ospedale. È pieno di stanze, la domenica poi vuote. Magari fanno lo stesso turno. Si sono messi d’accordo. Li immagino mentre si appartano fra due ore, io sono già in partita. E siamo ancora al primo tempo. Il secondo, riferito alla mia vita, è già iniziato da un pezzo..
Il 5 maggio ero sicuro che avremmo vinto a Roma. Ero lì, come al solito in tribuna,. Riuscivo a scorgere Moratti e Tronchetti Provera. Eleganti, sorridenti, tranquilli. Anche loro ammiravano l’Olimpico che era in pratica una dependance di San Siro. Veramente qualcosa di più. Tifosi della Lazio tutti per noi.. Oh, che brividi , pensarci ancora. Si, Greta era solo un’amica, all’epoca. Però ricordo che alla fine della partita mi arrivò un suo messaggio.<>
E sono qui adesso. Ho gli occhi solo per Ibra. Lo cerco, non lo vedo nel riscaldamento. Il terreno è un acquitrino. Quelli del Parma si giocano la permanenza in A, noi tutto e di più. La Roma, senza tifosi al seguito proverà a sfilarcelo a Catania. Penso a Zenga. Giocherà per noi, che diamine. Penso a ..Walter. Oh, Dio. Walter.. Ma che cazzo mi combina questo maledetto destino? Adoro un Walter e ne odio un altro. Il primo sta con me, il secondo mi sta portando via l’acqua, l’aria, il sole, la luce... È tempo che la chiami, che mi faccia sentire. Uh, che formazione oggi. Julio, Maicon, Rivas, Materazzi, Maxwell, Vieira, il capitano, Stankovic.. Cesar? il Mancio è matto. Super Mario e Julio Cruz. Ibra è in panchina. Adesso che ci penso, il presidente del Parma, quel bel rotondo simpatico personaggio, ha mandato via Cuper una settimana fa. L’hombre vertical steso da un colpo di prosciutto, a tradimento. Magari ci ha fatto un favore..
Squilla, ma a vuoto, cinque volte. Dove sarà adesso? Le mando un messaggio..” Sono allo stadio. Ci siamo, amore mio. Lavori oggi? Chiamami…” Io sono al Tardini a caccia di un’emozione unica, viva, tutta mia. Ma mi sto rendendo conto che oggi sto giocando su due fronti? A quale rinuncerei davvero? Sono così sicuro di amare Greta quanto l’Inter? Le amo entrambe ed è così difficile pensare che l’una strizzi l’occhio all’altra? Che parlino di me, si confrontino. L’una racconterebbe all’altra chi sono, da quanto tempo le sono fedele, la cerchi, non la lasci un istante. Ma non ho mai soffocato nessuno. Quando ha avuto bisogno di me ci sono sempre stato. Sempre presente. Ma a chi sto davvero rivolgendo il mio sguardo in questa umida domenica di maggio? Ad un campo di calcio o ad una fredda ed asettica camera d’ospedale?..
L’Inter non segna e Greta non chiama. Quello che succede a Catania è relativo. Se continua così andiamo in vacca tutti quanti. Finché sono qui, con i piedi in questo stadio, mi alimento di realtà e forse anche di illusioni. Non voglio che il tempo passi veloce, non voglio pensare a ciò che mi aspetta. Rifiuto un 5 maggio travestito da 18 ed un camice bianco che si sfila dai miei giorni senza che io possa fare nulla, un contropiede, un colpo di testa, battere un calcio di rigore, un corner. Cambiare posto è impossibile. Quarantacinque minuti senza gol in una partita scudetto sono un’immersione in apnea ed io non so nuotare. Mi chiedo cosa può succedere adesso, mentre fradici, torvi tornano nel ventre del Tardini undici speranze. Il telefonino ha campo, tanto campo ma non c`e` traccia di una sua chiamata, di un suo messaggio. Ricompongo il suo numero. Non l’ho mai voluto memorizzare, perchè quelle dieci cifre ogni volta che mi appaiono sul display mi procurano una piacevole sensazione. Perchè assomigliano ad un codice, ad una chiave di lettura della mia vita, chimicamente mi emozionano. Paturnie, forse, non me lo sono mai chiesto veramente. È così e basta. Il segnale di linea occupata da una parte mi rincuora dall’altra mi inquieta.
Ha visto la mia chiamata , il mio messaggio un’ora fa. Perchè non mi ha cercato?
Le comparirà l’avviso, il mio numero. Dov’è, possibile che non comprenda come io stia adesso? Ammesso e non concesso che si sia informata su ciò che sta accadendo a Parma ed a Catania. Da più di un mese, l’ho notato, di calcio parla pochissimo. Prima mi chiedeva, si aggiornava, seguiva la DS in tivu. Oppure a casa, dopo una giornata trascorsa a correre su e giù tra reparto e pronto soccorso, si piazzava sul divano a vedere il Milan in Champions con addosso quel pigiama di seta che le comprai a Lisbona. Addormentandosi regolarmente con i piedi distesi sulle mie gambe. Senza mai svegliarla glieli accarezzavo. Successe anche la sera di Atene. Crollò, distrutta, senza gustarsi la settima coppa.. Decisi di non strapparla al sonno dei giusti. Al solo pensiero che potesse esultare ebbi un rifiuto di condivisione calcistica. Fui egoista, lo so, ma il mattino dopo non intravidi in lei una minima reazione di rabbia. Accolse con un sorriso il risultato che le comunicai e finì li.
Lo scudetto alla Roma che sta vincendo a Catania e Greta altrove. Questo no, mai! Tutti e due i Walter sono convinto vogliano vincere la rispettiva partita. Difficile per entrambi, penso. Sono a metà del guado di un fiume le cui rapide non immagino dove possano condurre. Io con lo sguardo a cercare un cenno del Mancio, rivolto ad Ibrahimovic. Come me, idealmente milioni di tifosi. Lazzaro alzati e segna. Ibra si alza, ehi il ginocchio come va? Glielo chiediamo in tanti.
Ecco il cambio. Fuori Cesar, dentro l’angelo del gol. E quelli del Parma a rassegnarsi sin dalle prime falcate del redivivo svedese. Il telefono sempre acceso ed improvvisamente un suono, calibrato, familiare. Un messaggio ricevuto. Greta, finalmente., mentre l’uomo venuto dal profondo nord prende palla, la difende inquadra la porta di Pavarini e.. GOOOOL, GOOOOL, GOOOL…,.Guardo d’istinto l’orologio sul polso sinistro, calcolo. Minuto diciassette, ci stiamo riprendendo lo scudetto che avevamo vinto a dicembre e rimesso in palio in marzo.. Gioia, pioggia, abbracci, salta Mancini come un forsennato. Con Ibra i rapporti non sono più quelli di prima, ricordo un grande abbraccio del gigante di Malmoe al Mancio dopo Inter Parma di gennaio. La rete partita, proprio diciassette giornate fa. Poi lo strappo dopo il Liverpool. Mancio e Ibra si tollerano ora, magari sanno già che si separeranno. A me che importa? Certo che importa, Ibra ed il Mancio come me e Greta? Una sorta di presagio.. Cavolo, il suo messaggio… Infilo la mano nella tasca dei pantaloni. Il cellulare come una boccata d’ossigeno.. Invece e`un`esalazione tossica, una lama affilata che penetra decisa dentro di me..”
“Non cercarmi più. Cambio il numero. Ho preso ciò che potevo prendere. Esco da questa casa e tu esci dalla mia vita. Ho deciso cosi. Non provare ad inseguirmi anche se sai dove lavoro. Buona partita”… La pioggia continua a scendere, cado e mi rialzo in un istante anche se sono in piedi, impietrito, bagnato e di fronte il buio che sembra impossessarsi dello spazio e del tempo. Non so quanto sia passato dal gol di Ibra, so dove sono, non so cosa sarò e farò tra qualche ora. È il 5 maggio di un rapporto, di una convivenza, di sogni e illusioni, un figlio cercato e mai arrivato <>, di lunghe chiaccherate, di sorrisi, carezze, baci, di vacanze. I miei amici ed i suoi amici, mia madre e sua madre spesso insieme. Una coppia bella, moderna, rispettosa, affiata. Mi scorrono come fosse un lungo film i nostri tre anni . tutto in un attimo, Come se fossi un pilota che vede precipitare il proprio aereo e non facesse nulla ma proprio nulla per mutare il travolgente declino della meccanica. Tre anni e tre scudetti, quasi fosse lei diventata anche una sorta di amuleto calcistico. Tre scudetti? Il terzo è qui davanti ai miei occhi ma non si è ancora materializzato..
Provo a svegliarmi da questo incubo, sbatto le ciglia come ali.. Maicon vola sulla destra, parte il cross ed Ibra libera il suo sinistro.. Gol, gol, mi si strozza in gola l’urlo che io avrei voluto incidere nella colonna sonora della giornata tutta mia. Provo a riprendere fiato. GOOL, GOOL. Non so a quale minuto siamo, vengo travolto da una bolgia fantastica, che mi contagia, vedo gente felice, leggo lacrime di gioia, la pioggia che continua a scendere nemmeno la sento più. Tre anni e tre scudetti, si tre perchè il grande schermo dello stadio visualizza in un incedere di sensazioni il pareggio di Martinez al Cibali. Walter ha vinto la sua partita, è salvo, l’altro Walter si è preso la mia donna. Ne sono convinto, anche se non voglio credere sia così. Preferisco immaginare che lei abbia voluto mandarmi un segnale forte, di disagio. Che tra poco mi richiami, che mi dica “scusa amore, sono stravolta, mi sono messa in discussione, ma non ho intenzione di farti del male, di perderti. Stasera dormo da mia madre. Domani non lavoro. A casa ne riparliamo. Grande Inter, vero amore?”
Esco dal Tardini bagnato, immerso nel colore dello scudetto e delle fresche emozioni. Ho ritrovato Ibra. Ho perso Greta? Ci penserò domani.

martedì 27 gennaio 2009


Gentile Architetto Pagliara,
La ringrazio di aver ritenuto opportuno rispondermi di persona.
La mia veemenza ed indignazione derivano dal mio status di cittadino bellese, costretto ogni mattina a confrontarsi visivamente con i due edifici di cui Lei ha la paternità. Questa reiterata visione crea in me ogni volta un cortocircuito emotivo che mette in moto la rabbia e la conseguente frustrazione di veder buttati via soldi che altrimenti spesi, avrebbero permesso la conclusione, oltre dei lavori al castello, anche dell'intero antico borgo. E' vero, è da poco che vivo a Bella, ma sono cinque anni che la frequento per motivi di lavoro, e comunque la amo, pur nella sua insignificanza, originaria o provocata, al punto da aver deciso di venirci a vivere e risiedere.
I fatti che lei così puntigliosamente ricorda mi sono stati raccontati in modo assai diverso. Cominciamo dalla scuola. Il sito fu scelto, rispetto ad uno più idoneo, che sarebbe dovuto ubicarsi o nella piana sottostante, dove c’era la possibilità di creare un campus scolastico a linee orizzontali, o nella parte nuova del paese, dove c’è l’attuale municipio, con la pretestuosa motivazione di rivitalizzare il centro storico, affetto, come tutti i centri storici da desertificazione progressiva. La vera motivazione, Lei lo sa, e che era molto più interessante scegliere il luogo che poi si è scelto, anche per i costi in più di detta operazione, e il conseguente movimento di denaro che si sarebbe creato intorno alle problematiche che si sarebbero dovute affrontare. Si è dovuto rinforzare ad esempio tutto il terrapieno che regge la chiesa madre, con una palificazione il cui costo di materiali e posa in opera costò, mi dicono, a suo tempo la non piccola cifra di tre miliardi. Il quartiere che fu raso al suolo per fare posto alla scuola era fatiscente ma non un cumulo di macerie come Lei dice (ho visto tutta la documentazione fotografica dell’epoca). Tant’è che esiste un Suo progetto, più pregevole di quello messo in opera, in cui la scuola si insinua, a mo’ di villaggio, parcellizzata in vari edifici di piccola scala, inseriti e quasi mimetizzati tra le case vecchie della costa verso il cimitero. Se Lei aveva in un primo momento progettato questo inserimento “soft”, era perché le preesistenze abitative c’erano, anche se erano di poco valore. Comunque avete scelto di abbattere completamente e di costruire quello che oggi si vede. Mi dice che i materiali d’uso sono stati cambiati in corso d’opera per questioni economiche. E questo mi conceda è un errore di pianificazione economica che un Maestro non dovrebbe permettersi. A casa mia si costruisce un edificio con la cautela “del buon padre di famiglia”, commisurato a quelli che sono i finanziamenti (e questo vale anche per il castello di cui parliamo dopo), non seguendo la logica del “cominciamo, spendiamo e spandiamo, poi qualche santo ci aiuterà”. Perché poi altrimenti ci si ritrova a dover finire l’edificio con materiali di minor pregio, che non reggono all’usura del tempo, per cui, è di questi giorni, da quella prolusione di terrazzamenti inutilizzati da Lei concepita, filtra l’acqua nelle aule e i ragazzi sono costretti a stare in classe col cappotto e con i secchi.
Lei con orgoglio rivendica il “capolavoro di inserimento”che sarebbe la scuola, e sentirglielo affermare mi fa ribollire il sangue. “Inserirsi” significa rispettare il contesto, adeguarsi, mimetizzarsi.
Pensiamo all’aula magna dell’ università di Urbino del compianto Giancarlo De Carlo e a come si mimetizza nel tessuto urbanistico della città, e questo senza rinunciare ad alcuna arditezza formale o strutturale. Qui invece ci troviamo davanti ad “un capolavoro di inserimento” che ha tolto tutto il contesto (come se un oculista per curare un occhio togliesse tutto il bulbo dall’orbita) per costruire un edificio in scala “gigante” (vedi il megaportico che ingloba la biblioteca al piano stradale, che ci accoglie arrivando a Bella lungo la provinciale, vero e doloroso biglietto da visita del paese), per un terzo inutilizzato (tutte le aule costruite contro la collina totalmente prive di luce) con le “torri monofunzionali” (vuole forse dire che ogni funzione si espleta in un diverso edificio? Ovverosia che i bambini, mangiano a pianterreno, fanno i loro bisogni al quinto, studiano non si sa dove e giocano, da nessuna parte? Cioè stanno, come stanno, perennemente in ascensore o per le scale?) Le “torri monofunzionali” mi ricordano tanto le siringhe monouso, altrimenti dette “usa e getta”, ma quello che va bene per le siringhe non va altrettanto bene per una scuola. La scuola non può essere gettata.
Passiamo al castello. Anche questo famoso cumulo di macerie, non mi risulta che fosse tale (documentazione fotografica e testimonianze orali) L’edificio come sa era stato riadattato a scuola, e tutti i cinquantenni di oggi hanno studiato negli ambienti del castello. Il terremoto ha inferto i suoi danni ma non tali da giustificare interventi come i suoi. Qui mi deve chiarire la contraddizione tra quello che sostiene nella Sua risposta, in calce alla mia lettera, e questa Sua lettera privata. La pietra di Trani con i festoni e le ghirlande, le modanature e profilature a dischi a rilievo, il rosso pompeiano, le tensostrutture giganti in ferro, le coperture in plexiglas, il “palchetto del duce” sempre in ferro che incombe sull’ingresso, la luce ultravioletta che si accende automaticamente di notte (mi hanno favoleggiato anche di cellule a raggi infrarossi che Lei avrebbe voluto inserire), fanno parte de “lo stile del restauro, fortemente connotato - il Suo - e che gli permette di essere indicato da molti architetti della regione (e fuori) come un… “modello d’intervento” oppure “l’hanno ultimato altri con allestimenti così bizzarri”? Chi sono questi architetti che lo additano come un modello d’intervento? Quelli che hanno fatto di Potenza la città che è, o gli americani che hanno restaurato, come sappiamo, lo Stoa di Attalo ad Atene o il palazzo reale a Cnosso?
Altra contraddizione: ieri diceva che “il rosso è il colore dei casoni settecenteschi della Campania”; oggi dice che “recuperati pochi soldi il rosso potrà essere riportato al ‘ruggine pompeiano’ che avevo previsto”. E’ Pompei, sono i casoni campani settecenteschi, qual è la sua fonte filologica e storica d’ispirazione? E che “ci azzecca” tutto ciò? Siamo in Campania nel primo secolo dopo Cristo, siamo in pianura campana nel ‘700? No! Siamo in Lucania, l’edificio è un Castello, sia pur minore, in cima al cocuzzolo, è un edificio che risale al XI secolo. Quindi queste scelte, lungi dal derivare “da una lettura scientifica del monumento” sono scelte arbitrarie, d’autore, e qui entro nel terreno del gusto e del giudizio, sono cascami postmoderni maldigeriti, citazionisti, portoghesiani che con il nostro castello non hanno alcun rapporto e ragion d’essere.
Oltretutto i materiali usati al castello, come il già citato bianco di Trani (non proprio dietro l’angolo…), le megastrutture in ferro (o acciaio) in facciata, le tensostrutture come sopra, le coperture in plexiglas, sono tutti assai costosi e, come nel caso della scuola, hanno fatto lievitare i costi e provocato l’interruzione dei lavori.
Per cui oggi noi bellesi ci ritroviamo davanti tutti i giorni questo monumento all’inconcludenza, alla megalomania fallimentare di un Maestro, con le sue occhiaie vuote nere senza infissi, con in più il paradosso che si illumina ogni notte come se fosse animato da chissà quale “notte castellana”.
Maestro, quello che le imputo è che in tutto questo Lei non ha assolto quello che dovrebbe essere sempre il compito di un artista e di un intellettuale, oltreché di un docente universitario: quello di indirizzare culturalmente la committenza e la comunità, che non è altrettanto attrezzata culturalmente, alle scelte migliori, seguendo principi etici, ripeto ETICI. Ponendosi e rispondendo alle domande: di che cosa ha bisogno questo paese? Quanti soldi ci sono? Cosa possiamo fare con questi soldi? Qual è la soluzione migliore per garantire i risultati? Allora sì che gli abitanti di questo paese le avrebbero tributato affetto a profusione, regalato non uno ma una muta di cani come Argo.
Un’ultima cosa. Capisco che si è informato su di me, visto che sa che “vivo in uno di questi obbrobri” Non poteva anche informarsi su chi sono e cosa faccio (non è difficile: basta digitare il mio nome e cognome in Google o andare in Mymovies)? Avrebbe evitato così di trovare la “mia storia giunta sin qui immacolata e senza prendere rischi”
Di rischi ne ho corsi, caro Maestro, e continuo a correrne, e cerco sempre di mettere nelle cose che faccio, la mia faccia, la mia firma, di assumermi la responsabilità, di agire secondo etica, di ammettere i miei errori, e di non scaricare sugli altri il peso e le conseguenze di tali errori.
La saluto cordialmente

Fulvio Wetzl


Bella 26 gennaio 2009