giovedì 15 ottobre 2009


[...] Il magistrato si era intanto alzato ad accogliere il suo vecchio professore. "Con quale piacere la rivedo, dopo tanti anni!".
"Tanti: e mi pesano" convenne il professore.
"Ma che dice? Lei non è mutato per nulla, nell'aspetto".
"Lei sì" disse il professore con la solita franchezza.
"Questo maledetto lavoro...Ma perché mi dà del lei?".
"Come allora" disse il professore.
"Ma ormai...".
"No".
"Ma si ricorda di me?"
"Certo che mi ricordo".
"Posso permettermi di farle una domanda?...Poi gliene farò altre, di altra natura...Nei componimenti d'italiano lei mi assegnava sempre un tre, perché copiavo. Ma una volta mi ha dato un cinque: perché?".
"Perché aveva copiato da un autore più intelligente".
Il magistrato scoppiò a ridere. "L'italiano: ero piuttosto debole in italiano. Ma, come vede, non è poi stato un gran guaio: sono qui, procuratore della Repubblica...".
"L'italiano non è l'italiano: è il ragionare" disse il professore. "Con meno italiano, lei sarebbe forse ancora più in alto".
La battuta era feroce. Il magistrato impallidì. E passò a un duro interrogatorio.

La materia scolastica che chiamiamo "italiano" non ha lo scopo di insegnare a leggere, scrivere ed esprimersi in lingua italiana, bensì quello di insegnare a ragionare. Lei ha imparato poco "italiano", e quindi ha imparato poco a ragionare: tuttavia questo non le ha nuociuto alla carriera. Per cui, se avesse acquisito una attitudine al ragionamento ancora minore, forse lei sarebbe ancora più in alto.


L. Sciascia, Una storia semplice

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