venerdì 23 maggio 2014

Borborigmi di stagione

Pensate anche voi con grande sollievo che sta per finire? Tra poco più di 48 ore si chiuderanno le urne per le elezioni europee e per qualche momento riusciremo a ritrovare un poco di  pace. Ci mancheranno molto le reciproche accuse di ogni nefandezza sinora scambiate dai sedicenti leaders delle diverse fazioni. 
Si soltanto fazioni, di questo si tratta. Nelle parole di questi sciagurati non c'è la benché minima traccia di interesse per il bene comune o per le sorti del Paese. Tutti a difendere la propria posizione di potere, a proteggere il proprio gruppo.
In una consultazione europea avete  per caso sentito qualcuno chiedersi e  tentare di spiegare, come andrebbe correttamente e documentalmente fatto, che cosa comporterebbe un'uscita dall'euro? 
Questo ci sarebbe piaciuto apprendere da tecnici in posizione di accertata terzietà. Calcoli e previsioni seri sulle conseguenze di una decisione assai impegnativa dal punto di vista economico e monetario.
Invece abbiamo sentito soltanto "borgorigmi" provenienti dal profondo dell'intestino dei singoli oratori. Questi flussi diventavano fetore e sistematico tuonante dileggio o insulto nei confronti del rivale. Senza lo straccio di un confronto tra persone civili, magari su posizioni diverse, ma disposte ad esporre temi e cose concrete al pubblico degli elettori.
Chi vincerà? Certamente l'astensione, l'allontanamento sempre più disgustato da questo simulacro di democrazia che nasconde soltanto interessi e vantaggi di pochi. E dal 26 in poi la battaglia delle cifre, il confronto con i dati del milleseicentotredici, tanto per riaffermare che nessuno di loro ha perso.
A perdere come sempre tutti noi, talvolta persino disposti a questionare duramente con interlocutori di diversa convinzione, come se questo servisse pure minimamente a mutare il corso delle cose. 


domenica 18 maggio 2014

black out di riferimenti

Da un numero imprecisato di anni seguo una trasmissione radio. Si tratta di "Black out", garbato intrattenimento del mattino, condotta da Enrico Vaime, scrittore, umorista, regista e sceneggiatore. E scusate se è poco..
Molto seguita nei periodi di punta che corrispondono agli anni '90, ha subito i danni del tempo e l'inevitabile "ammosciamento" dell'ottimo autore, vicino al traguardo degli ottanta anni. E che ha dovuto anche negli anni sopportare gli strali e gli ostracismi dei potenti di volta in volta bersagliati. Anche Vaime è stato sempre ben consapevole che funziona così e se fai le bucce a chi comanda, prima o poi pagherai.
Durata dimezzata, collocazioni orarie da fornai insonni, budget tagliato a più riprese. Insomma tutto per accompagnare alla porta l'ironico perugino, che però non si è mai arreso né tirato indietro a ricordare le malefatte dei boss che si sono malauguratamente succeduti al comando di questa povera terra.
Attualmente è una trasmissione di nicchia, per autentici "aficionados". E si tratta, lo dico senza alcuna contentezza, di una fascia di pubblico di età molto elevata, dai cinquanta a salire.
Stamattina il conduttore/autore si è lasciato andare ad una delle sue solite "intemerate" sulla progressiva scomparsa  dei punti di riferimento, mettendo in evidenza come troppe volte il re è rimasto nudo e non può essere in alcun modo preso come modello.
L'enunciato è incontrovertibile, non ammette repliche. In punta di piedi e senza pretese di avere per forza la verità intasca ci sarebbero da articolare  alcune chiose sul perché, dopo migliaia di anni di sviluppo della civiltà umana, si avverta ancora il forte bisogno di persone di riferimento.
I "grandi statisti", gli "uomini santi", le "intelligenze pure", i "padri della patria", i "senza macchia e senza paura", pare si siano d'improvviso dileguati. Scomparsi, nascosti chissà dove, al punto da chiamare la Sciarelli e farci un'apposita serie di "Chi l'ha visto?".
E se invece seguissimo un banale sospetto da "uomo medio"? Non è possibile che questi grandi personaggi del passato abbiano soltanto goduto di una favorevole ricostruzione storica che li voleva "eroi" a tutti costi. Perché si doveva vendere un marchio, fare affermare una corrente di pensiero, imporre ai sudditi esempi da imitare, creare dei miti che facessero comodo ai padroni del vapore.
Affermarsi oggi è tutt'altra storia. La prevalenza dell'informazione trasmessa porta a porta con tutti i mezzi possibili rivelerà di volta in volta la fragilità, gli aspetti umani e perciò censurabili di ognuno. Smonteranno cioè senza alcuna possibilità di difesa la creazione di una nuova leggenda. Quel tale ha le calze rosse sotto lo spezzato grigio, la tale diva faceva la domestica a ore, lo statista ha fatto in gioventù il portaborse per gente losca, l'anima pia ha un patrimonio immobiliare da palazzinaro, l'impavido protagonista di un gesto eroico si mette le dita nel naso o da ragazzo aveva tendenze incerte.
Completate voi la casistica, come meglio vi piace. Chissà che non ci aiuti un messaggio  proveniente,  - udite, udite la parola di un agnostico - magari  da uno che per mestiere fa il papa dei cattolici. Che spesso ricorda come sia difficile giudicare gli altri, e come dovremmo immedesimarci di più nelle situazioni umane, valutando le cose in concreto, senza schemi pregiudiziali e scorciatoie mentali.

mercoledì 14 maggio 2014

il cinghiale che non amo

Prima di esprimere un qualsiasi giudizio sui cinghiali invito chi ne avesse voglia a farmi una visita in campagna. Periodicamente mamma cinghiale sforna una nidiata di cuccioli. Che sono di una bellezza speciale. Al mio rumoroso arrivo quasi non si scostano. Sono stati avvisati dalle poiane di vedetta che trattasi di umano fesso, ma non pericoloso, anzi amorevole al punto da alimentare  la faina che tutti i giorni deposita la sua digestione sotto il portico. E mica è colpa loro se mamma cinghiale adora le ghiande di cerro che cadono copiose in certi momenti dell'anno. Perciò non li disturbo e ogni volta cerco di fotografarli. A tutto c'è un limite, però. I vispi facoceri se la filano all'inglese, mentre estraggo il telefono o l'ipod nel vano tentativo di violare la loro privacy.
Questo per dirvi che adoro questo genere di animali, vitali, adattabili, resistenti ad ogni fatica e condizione di vita. Che devono soltanto preoccuparsi di sfuggire alla crudeltà e stupidità di quel solo animale a due zampe che uccide senza necessità, in modo vile, usando le armi e non affrontando il rivale a mani nude.
C'è una  eccezione a questa mia simpatia, dovuta più alla mia cattiva abitudine di assimilare gli umani agli animali che alla realtà
Da tempo conosco un tale che sin dal primo sguardo mi è sembrato un brutto e grufolante cinghiale. Pessimo esempio di arroganza, di ingiustificato autocompiacimento. Le strane vicende della vita hanno permesso che, pur in assenza di sue effettive qualità, questo tanghero si sia trovato ad occupare nel suo settore ruoli di rilievo.
Non ho particolare competenza, trattandosi di ambito  lontano dai miei interessi. Però da sempre ho fatto mio un principio: un coglione è sempre un coglione, immerso in qualsiasi contesto. E da voci di suoi colleghi, uno in particolare a me molto caro, ho avuto la conferma che anche nel suo campo è stato sempre considerato un ebete, ma capace di sgomitare con ogni mezzo, lecito e meno lecito, pur di centrare i suoi obiettivi.
Ora il cinghialaccio è diventato anziano. Basterebbe questo dato per non parlarne più. Macchè, lui rompe quotidianamente con certe notizie assolutamente inutili, di cui non frega niente a nessuno. Giusto a lui, per ricordarsi di essere vivo. Si limitasse a questo, potremmo quasi dichiararci  contenti di questa forma di progressivo rincoglionimento. Non contento, di tanto in tanto si lascia andare a raccapriccianti analisi politiche. Il suo amato ex cavaliere e badante di anziani sembra in disgrazia e lui pur di riparlarne riesce persino a rimestare  fantomatici complotti internazionali.
Per essere vicino al suo idolo, potrebbe sempre proporsi per una collaborazione nel pulire i cessi di Cesano Boscone. Finalmente vedrebbe rappresentate al meglio le sue potenzialità e ci risparmierebbe i suoi quotidiani risultati nelle disfide  al tavolino da gioco. 

giovedì 8 maggio 2014

generazione "bella cosa"

Chi sia nato nel primo dopoguerra, come il vostro etrusco, ha avuto un "filotto" di elementi positivi. Intanto si è risparmiato la diretta percezione degli orrori di una guerra e i momenti di paura che hanno punteggiato, spesso condizionandola, la vita delle generazioni precedenti. Col passare del tempo, al momento della sistemazione lavorativa i nati post 45 si sono trovati a poter addirittura scegliere se andare in una direzione piuttosto che nell'altra, tanto ampia era la richiesta  del mercato del lavoro.
Un rapporto di lavoro con connotati di stabilità e garanzie sindacali che è stato,  quasi senza eccezioni, fonte di aspettativa per  miglioramenti e  incrementi  nel tenore di vita. Alcuni di noi hanno potuto anche usufruire di un trattamento di pensione  in età di piena validità fisica, riuscendo a godersi prolungati periodi di non lavoro.
Che cosa avremmo potuto sperare di meglio? Pacatamente considerando, abbiamo avuto tutto quello che era possibile e questo mi porta ad avere stridenti dissensi con i coetanei che si lamentano. Di che cosa poi? Certo vorremmo nascere tutti sani, belli, ricchissimi, pieni di capacità e di talenti, con una salute da sfondare il muro dei cento anni. Ma pare non sia possibile.
Ricordo a questi eterni scontenti che noi siamo quelli della generazione "bella cosa". O almeno così  dicevano a noi le mamme e le nonne che ci crescevano al sud del Garigliano.
Era la promessa di una piccola sorpresa, un regalino di valore contenuto. A fronte dell'impegno ad  un buon comportamento in particolari situazioni, ovvero di piccoli servizi che svolgevamo per le nostre famiglie. Già la bella cosa! Si poteva trattare di un gelato portato a casa in una coppetta, di tre caramelle colorate, di una bustina di figurine dei calciatori o delle fiabe a seconda del sesso, una serie di biglie di vetro colorato.
Le mie "belle cose" provenivano tutte dalla mia nonna Ida, figura che accarezzo con tenerezza di pensiero. Lei era la padrona di casa in senso tecnico e doveva provvedere alle incombenze connesse. Aveva poco aiuto dalla figlia, mia madre, figura decisamente non "vocata" alle necessità domestiche e piuttosto tendente ad avvalersi del lavoro degli altri, nessuno escluso.
Così i nipotini, mia sorella, io, ed eventualmente i cugini presenti venivamo assoldati dalla nonna per piccole incombenze: pulire il riso, sbucciare piselli, fagioli e fagiolini, spezzare la pasta lunga, andare dal salumiere o fruttaiolo  a ritirare pacchetti. Il tutto nella cucina di casa sotto lo sguardo attento ma anche molto affettuoso della nonna, che accompagnava questa piccola equipe di lavoratori con racconti, "cuntarielli" veri o inventati per l'occasione per tenere alto il morale della truppa.
In cambio avremmo avuto "la bella cosa" ed una carezza. Che potevamo volere di più?
 

mercoledì 7 maggio 2014

la nausea quotidiana

Senza pormi interrogativi, magari doverosi, sullo stato di integrità del mio apparato cognitivo, noto da un certo tempo che non riesco a portare a termine la lettura del giornale quotidiano. Così quello che era un rito, una lieta abitudine che risaliva negli anni, sta diventando un faticoso adempimento, espletato  talvolta per onore di firma, senza voglia. E' certamente vero che l'inondazione di notizie che provengono dal web e dai continui aggiornamenti televisivi tolgono il carattere di novità alle notizie, già rimasticate e digerite quando vengono finalmente stampate.
Ma non c'è solo questo. Accade pure che le principali testate giornalistiche abbiano conosciuto una profonda trasformazione, divenendo amplificatori e propagatori della voce di interessi maggiori. Il mio giornale, quello che leggo da quando è uscito per la prima volta, ha cambiato pelle, rivelando sempre di più la sua vera natura di strumento di un preciso gruppo di potere.
Sarà anche giusto, risponderà anche questo ad una logica economica ed industriale, ma qualcuno si chiede che cosa ne pensa il povero lettore? Aggredito e frastornato da verità di facciata, da ricostruzioni artificiose e "ad usum delfini", tutte al servizio del polo emergente ed in linea con quell'asse concettuale che quest'ultimo intende consolidare.
Il gioco è chiaro, sia che a condurlo sia Repubblica, ovvero il Corriere, ovvero la Stampa. Resta qualche testata minore o di partito, da accettare nei limiti della residua ideologia che intendono affermare o della ridotta capacità espressiva che manifestano
Poi ci sono fenomeni editoriali che periodicamente si presentano o per meri fini speculativi o per lanciare una nuova cordata. Di solito durano lo spazio di un mattino o meglio il tempo necessario perché si esauriscano le risorse e gli entusiasmi dei soci prima degli incentivi.
Da qualche anno c'è anche la possibile alternativa del Fatto Quotidiano, da definire piuttosto "Il Travaglio quotidiano", vista la prevalenza assordante sul resto del contenuto degli editoriali di Marco Travaglio, che pur se prevalentemente condivisibili, rischiano di trasformarsi in un ripetitivo tormentone.
Potrebbe essere un secondo giornale. Ma in tempo di crisi economica, di stanchezza della mente bombardata dall'esubero di immagini, di nausea per l'olezzo quasi sempre sgradevole che arriva alle narici, impegnarsi nella lettura di due giornali è francamente impresa titanica. Che lascio a chi abbia forza e voglia di affrontarla.

domenica 4 maggio 2014

centosessanta anni di cattivi pensieri

Spero di raccogliere anche l'adesione dei pochi amici che leggono queste mie note minori. Si, intendo fare anche a nome dei maschi compagni di strada etrusca gli auguri a due donne che hanno riempito il nostro immaginario di giovanotti.
Nell'anno in corso tagliano il traguardo prestigioso degli ottanta anni due attraenti stelle del cinema che ci hanno fatto compagnia da adolescenti ed in epoca successiva con il loro fascino e la loro bellezza.
Come saprete, la Sophia nazionale e di esportazione e Brigitte Bardot sono nate nel 1934 e se fate un conticino arriviamo ad ottanta!
Increduli anche voi? Guardate che con le date non si scherza: è proprio così e fatevene anche voi una ragione, così come ho dovuto fare io.
Gli schermi e le pagine dei giornali di gossip  sono stati inondati per anni da queste due fenomenali figure. Anche se unite dal calendario e dall'ammirazione dei fans le due attrici  si distinguono in modo netto.
Sofia ha impersonato l'attrice mediterranea di grande successo e di un certo talento, ma è stata al tempo stesso anche  madre e  moglie in modi abbastanza credibili; dal canto suo Brigitte ha confermato negli anni quella tendenza già messa in mostra da giovanissima ad essere trasgressiva ed anticonformista, rifiutando nella maturità tutti i cliché della diva. Le sue rughe portate con orgoglio, le sue battaglie in difesa di specie animali minacciate di estinzione. Ma anche il suo rifiuto di vivere secondo i criteri della  morale borghese, rinunciando da subito persino al ruolo di madre.
Ora delle due signore possiamo pensare tutto quello che vogliamo, ma il pensiero che questi due "oggetti del desiderio" maschile abbiano raggiunto quell'età farà ricadere nell'angoscia molti di noi over 60.
Più che un formale augurio preferirei inviare un caldo ringraziamento alle due star. Per quello che hanno significato e per le emozioni che ci hanno trasmesso. Nessuna esclusa..

giovedì 1 maggio 2014

la cultura del sospetto

Le recenti polemiche che vedono per protagonisti, da un lato la madre di Federico Aldrovandi e dall'altro il sindacato di polizia, contengono i germi del  profondo malessere che pervade l'intero Paese. Difficile anche per l'opinione pubblica assumere una posizione che non sia soltanto l'immediato ed istintivo riflesso di quello che si pensa debba essere uno Stato. 
Spirito di democrazia e senso rigoroso dell'ordine si fronteggiano con asprezza, pretendendo un'impossibile giudizio da soggetti che non siano stati testimoni oculari delle vicende. E anche ipotizzando una nostra presenza fisica nei luoghi dove i fatti si svolgono potremmo non essere in possesso di tutti gli elementi utili di valutazione. 
E poiché non si può pretendere l'impossibile, fermiamoci a considerazioni minime. Provando ad augurarci dal profondo del cuore che il   senso della legalità sia principio ispiratore di chi si trova a scegliere, per vocazione o necessità, la delicatissima funzione di agente di pubblica sicurezza o carabiniere. Certamente si tratta di compito ingrato, che comporta anche funzioni di ordine pubblico o di polizia giudiziaria, a fronte di una paga da sopravvivenza e di duri e sacrificati turni orari. Il timore è che la più che comprensibile insoddisfazione di ordine lavorativo induca soggetti giovani ad esasperare  atteggiamenti autoritari e violenti, che niente hanno a che fare con il rispetto delle regole democratiche a loro affidato.
Questo grave dubbio è figlio della storia di questa terra che non riesce a fare davvero i conti con le proprie contraddizioni. E' la diretta conseguenza di quel retaggio di posizioni di privilegio e di frainteso senso dell'autorità che ha prodotto regimi dittatoriali ufficiali o ufficiosi, imposti con la forza o sostenuti dalla connivenza dei poteri forti.
Se dalla asserita liberazione dal regime fascista si fossero effettivamente  affermati nella coscienza comune quei criteri di democrazia sostanziale che la costituzione intenderebbe vedere attuati, non ci sarebbe più bisogno di dubitare del comportamento di celerini in piazza o di agenti che conducano un interrogatorio di un soggetto fermato.  Saremmo tutti sereni di fronte al comportamento delle forze dell'ordine. Senza sostegni opportunistici all'una o all'altra posizione da parte di finti politici.
Ed è a questa utopia che dedico il pensiero di questo 1 maggio, giornata consacrata ad un'altra utopica aspirazione verso un lavoro che sia condizione indispensabile di dignità e decoro personali.