sabato 4 ottobre 2014

abbiamo tempo fino al 2027

Tra le tante sciagure che funestano questo malridotto stivale siamo riusciti a non farci mancare nemmeno il "guru" Casaleggio. E' vero ce lo siamo meritato e riconosciamo che, chi più chi meno, ciascuno di noi si porta la sua brava quota di responsabilità. 
Però a tutto c'è un limite. E dire che ce lo saremmo pure risparmiato di essere sottoposti alle incursioni mediatiche di questa faccia da pesce bollito, increspato dalle alghe delle  fluenti chiome. 
Che dice cose mirabolanti, come solo i veri para "guru" sanno dire. Periodicamente, senza nostra specifica richiesta, ci racconta il mondo a modo suo e immancabilmente sono sempre ..fatti amari. Profezie di sventure e di disgrazie che al confronto Nostradamus diventa un "porte-bonheur". Mi chiederete se tra "vannemarchi", santoni, monaci, eremiti, cartomanti, maghi diffusi dalle Alpi alle isole, non avessimo già fatto il pieno di schiattamorti. Come sempre non so rispondervi. Non è colpa del povero etrusco se gli uomini non riescono a capire che dentro di loro c'è la risposta a tutto quello che c'è da sapere e fanno ricorso al mistero, miracolo ed ai tabernacoli variamente addobbati. 
Il nostro Casaleggio è per sua stessa esplicita ammissione, uno sfessato come pochi. Ma di quelli pieni di "carisma", capace di attrarre penne e taccuini, microfoni e telecamere.
Tra le varie minchiate che è riuscito ad incasellare nell'ultimo exploit, merita un posto di assoluto rilievo la profezia che mi è sembrata più sconvolgente: entro il 2027 scompariranno i giornali.
Il rettore magnifico dell'Università della "gufata" ha tentato un ragionamento e nel suo caso è già significativamente apprezzabile questo sforzo neuronale. Dice in sostanza che l'utilizzo crescente dell'informatica fa immaginare che in un futuro prossimo i giornali, strumenti antichi e costosi con macchine organizzative pachidermiche ed obsolete, chiuderanno come è già capitato a testate gloriose come l'Unità ed altre. Tra queste citerei il napoletano "Roma" che pur continuando a fare le sue comparizioni in edicola è ridotto ad un bollettino che riproduce il "mattinale" della questura, con arresti ed incursioni all'alba a casa di pregiudicati in mutande.
Ma perché prevedere questa fine attività proprio nel 2027? Il "zelloso" con cappello non lo ha precisato. Ogni mente "emerita" ha le sue vie di accesso all'inconoscibile, mica può esternare tutto. Altrimenti saremmo buoni anche noi a metterci un copricapo, nasconderci dietro spesse lenti da astigmatico, lasciare uscire due bandane di pelo dal cappello e via a fare previsioni.
Intanto il terrore corre sul filo della schiena di molte categorie. Cartai, poligrafici, giornalisti, distributori, edicolanti. Ma anche imbianchini, incartatori di frutta e pesce, pulitori di vetri stradali, 
Prepariamo ci al peggio, ma questa volta non potremo dire che non ce lo avevano detto!

venerdì 26 settembre 2014

un posto al sole

Fare il sindaco di Napoli? Una specie di maledizione biblica che capita a qualcuno prima o poi. Tutte persone che sembrano non aver mai ragionato a sufficienza su quel pittoresco  ma veritiero adagio che ripete come anche Adolf Hitler dette le dimissioni  da sindaco della città partenopea.
Si tratta di fare fronte all'inestricabile groviglio di problemi di una terra sfortunata, tutti addensati sulla scrivania del primo cittadino. 
Quale soggetto sano di mente se la sentirebbe di affrontare un'agenda crescente di emergenze e bisogni.? Parlate con qualcuno che viva in questa città così particolare e che giorno dopo giorno debba confrontarsi con tutte le sue criticità. 
Non auguro a nessun amico di doversi trovare in una condizione  del genere. Meglio fare il disoccupato organizzato e presentarsi quotidianamente sotto palazzo San Giacomo a protestare sonoramente fino all'ora del pranzo. Chissà perché alle 13,30 scompaiono tutti per riapparire magicamente il giorno dopo.
Dentro quel palazzo comunale c'è di solito un uomo solo, che certamente maledice  senza sosta il tragico momento nel quale decise di fare quel passo fatale.
Eppure. quando arrivò De Magistris fu accompagnato dall'entusiasmo dei tanti che vedevano in questo nome fuori dalla famigerata nomenklatura cittadina un segno di speranza.
L'idillio durò quanto poteva durare. Poi franò, sotto le spinte congiunte di emergenza spazzatura, incuria generale, mentalità della maggior parte dei comunali, inciviltà consolidata degli abitanti. 
E il povero "Giggino" rivelò al mondo la sua natura umana. Di suo ci aveva messo una certa vocazione a fare la "blue bell", starlet per veri o presunti grandi eventi, incapace di sentire le tante voci di dolore che vengono  dalla parte "normale" della città e di diventare credibile sindaco.
Ai giorni nostri è arrivata pure la condanna per una vecchia inchiesta risalente al periodo in cui il nostro faceva ancora il magistrato. Sentenza che comporta la sua decadenza dall'incarico in base alla legge Severino.
Non tento nemmeno di entrare nel merito della questione e sulla legittimità di quanto disposto dalla magistratura giudicante. La condanna è conseguenza della annosa inchiesta "why not", spinosa vicenda che, come spesso accade in questo Paese, coinvolge tutti i livelli dei poteri ufficiali ed occulti. In altri termini, non ne verremo mai a capo.
Però il buon De Magistris poteva risparmiarsi la ormai celebre "tirata" contro i poteri giudiziari corrotti, infiltrati dalla malavita, deviati dalla massoneria. Abbiamo già sentito la stessa solfa per venti anni, declinata da un "padre ricostituente" ora in temporaneo sonno.
Il commento più dignitoso è venuto da Cantone, quando ha succintamente ricordato che alle sentenze si può proporre, ove possibile, appello. Ma non arrivare a  criticarle in questo modo poco decoroso.
Se questo è un uomo delle istituzioni, continuo a chiedermi dove sia l'errore. 
Attendiamo le dimissioni che arriveranno  tra qualche giorno. 
Oppure l'alternativa potrebbe essere quella di proclamare l'indipendenza della città dal territorio nazionale. Una bandiera azzurra  con pizza e mandolini sullo sfondo del Vesuvio. La moneta di nuovo conio il "gigginiello", valore almeno  dieci volte quella corrente. Il giorno di San Gennaro nuova festa nazionale e poi pensate alla quantità di artisti  pronti a creare il nuovo inno.
Insomma, un po' di fantasia e ne potremmo vedere delle belle..

mercoledì 17 settembre 2014

In nome tuo

Chiaro era il tuo modo di fare
Amichevole, ma non per questo indulgente quando non fosse necessario
Riflessivo, persino nelle vivaci occasioni conviviali
Lucido ed ironico,  signore nei modi e nella sostanza
Affabile ed ospitale come pochi altri
Natali pugliesi e passioni lucane
Tornavi ai monti che avevi imparato ad amare
Ogni volta che ti era possibile
Non dimenticando nemmeno per un momento
I tuoi amici di Bella e San Fele che
Onoreranno il tuo ricordo anche se

D'ora in poi dovranno accettare  di non vederti più
Evocando con affetto la tua cara presenza
Che sempre era stato stimolo e motivo di incontri non banali
Accantonando per quelle ore le inevitabili polemiche del tempo
Tracciando guidati dal tuo sguardo sereno
Ancora orizzonti di amicizia e conoscenza


domenica 14 settembre 2014

Lobo, lobo, viva la pigrizia!

E così ho finito di vergognarmi. Intendo con me stesso, nei vani tentativi di giustificare e nascondere  una attitudine mentale che mi ha caratterizzato da sempre: la pigrizia. 
E' proprio così, sono pigro e fino alla scoperta che ha rivoluzionato la mia conoscenza cercavo impudentemente di negarlo a me stesso. 
Poi arrivano i nostri, nelle vesti dei soliti studiosi, questa volta tedeschi e non americani come quasi sempre, pronti a rivalutare i "mollaccioni mentali" come me al grido: fuori l'autodisciplina dalla nostra vita. 
E' l'elogio dei LOBO, (Lyfestyle Of Bad Organisation), quelli che tentano di rimandare a domani tutto ciò che la maggior parte della gente, al contrario, si affretta a fare oggi.
I cd "procrastinatori, gruppo al quale mi iscrivo d'ufficio, sono quei soggetti disposti a tutto pur di non pianificare ed agire prontamente.
Ma sappiate che chi rimanda non è un incapace o un callido scansafatiche. Soltanto una persona caricata sin dall'infanzia dallo stress che ci viene imposto con violenza da tutta l'organizzazione sociale, a partire dalla famiglia per proseguire nella scuola e negli ambienti lavorativi. 
Chi ha condotto questa ricerca, trasfusa in un ironico e gradevole testo, "il libro dei pigri felici" invita a cercare modi alternativi di agire, senza sentirsi in colpa. Per gli autori, l'autodisciplina è come una motosega a catena. "Per l'eccessivo rigore verso se stessi riusciamo a crearci una duratura infelicità, organizzando il nostro tempo in maniera del tutto aliena alla natura umana."
In breve, vogliamo essere pigri e felici, cercando di ridurre al minimo le incombenze sgradite.
Il vero ostacolo sta nel mutare il "registro"mentale, invertendo la rotta di quella pressione che alimentiamo frequentemente da soli. Colpa dell'etica protestante in alcune culture, dello sfruttamento sistematico dei sensi di colpa in altre.
"E' sorprendente - dicono i ricercatori - notare come non succeda nulla di atroce se uno se ne infischia di quel che deve fare."
Se c'è una forza maggiore che sembra impedirci di agire vorrà pure dire che abbiamo individuato in ogni necessità una costrizione ovvero una limitazione del nostro  benessere. E per questo ci ribelliamo.
Non so che cosa ne pensiate voi. 
Io mi ritrovo perfettamente in queste riflessioni e mi libero di quel pur minimo senso di colpa che in un angolo intendeva mortificarmi. Ora ho persino le basi teoriche a fondamento del mio non agire e me ne fregherò ancora di più degli stakanovisti e dei loro furori.

venerdì 12 settembre 2014

magari..

Una pietra etrusca che comincia con il titolo di una canzone degli anni'70?
Ve la ricordate? diceva "..magari hai ragione tu, lasciamoli ai poeti i grandi amori, magari come  dici tu, i miei difetti son le mie virtù..". Forse il testo della canzone ha ragione, specie a proposito dei miei difetti.
Mi appartengono e non me ne voglio disfare, almeno per il tempo consentito. Magari.., dopo, quando avrò smesso di dare fastidio, gli altri potranno dire quello che vogliono. Io non ci sarò ad ascoltarli o persino a prendermi "collera" , poniamo il caso, ammesso e non concesso, avessero avuto ragione.
Torniamo a bomba, l'incipit  mi è venuto spontaneo appena un caro amico mi ha fatto dono dell'ultima opera di Luciano De Crescenzo che si intitola "Ti porterà fortuna. Guida insolita di Napoli"
Pure a me, notoriamente non superstizioso, mi è venuto spontaneo esclamare: "magari".
Un testo che si affronta con disinvoltura sia per lo stile scorrevole dell'autore, sia per l'argomento: un viaggio per Napoli, appunto in modo insolito, per mostrare la città ad una "forestiera".
E resta da chiedersi come faccia una persona avanti con gli anni e colpito da vari e seri malanni fisici come l'Autore a sprigionare ancora tanta vitalità e ad esprimersi con altrettanta freschezza.
Poco da fare, quelli che nascono con il bernoccolo giusto sono capaci di estasiarti pure leggendo l'elenco del telefono. E questa recentissima fatica dell'ingegnere napoletano è la dimostrazione di come sia  apparentemente semplice fare un buon libro, riuscendo a tenere compagnia ai propri lettori in qualunque stadio dell'esistenza.
A mio avviso, tre o quattro passi meritano speciale  considerazione. Ma è possibile che altri individuino diversi aspetti di piacevolezza.
In fondo è questo l'aspetto misterico di un'opera letteraria che parla a ciascuno secondo singoli linguaggi che sono validi per uno piuttosto che per un altro.
Io ho gradito in particolare il ricordo di una barberia della Torretta, dove i personaggi meriterebbero ognuno uno sviluppo autonomo: Enrico, don Gennaro, il mitico Albertino, il sarto, il pugile.
Se volete trascorrere un paio di pomeriggi di lettura non banale né scontata l'indicazione è chiara; e poi ci scherzate sul fatto che: "vi porterà fortuna"?
 

martedì 9 settembre 2014

50 sfumature di etrusco

Se immaginate un discorso da spogliatoio di una palestra sportiva dopo le vacanze quale pensate possa  essere l'argomento al centro delle conversazioni? Per aiutarvi dirò che i quattro interlocutori, impegnati fino a poco prima in una patetica partita di doppio tennistico, hanno età che va  dai 50 ai 66 anni? Ed aggiungerò che il vostro etrusco era uno del quartetto.
Se lo chiedessero a me risponderei con risposte di stampo classico: la comparsa di un doloretto articolare che non manca mai, la scarsa vena di uno o di tutti i protagonisti dopo la sosta estiva, qualche chilo di troppo accumulato nelle libagioni agostane ed i programmi per smaltirlo, lo stato del campo da tennis appena rifatto, le palle sgonfie, le racchette vecchie et similia.
Niente di tutto questo. A sorpresa, uno dei quattro mi rivolge una domanda provocatoria e "sfruculiatoria" sul perché io non abbia ancora dato alle stampe quel libro di cui parlo, di tanto in tanto, per minacciare gli amici.
Forse stanco per lo sforzo pseudosportivo prodotto, me la cavo con risposte evasive e dilatorie. Ma quel tale non demorde e mi incalza: "scrivono tutti, persino cravattari, pizzaioli, fancazzisti di ogni specie. Romanzi con trame traballanti, raccolte di improbabili poesie, finti saggi e vere "cagate". Manchi solo tu!" 
Faccio finta di non aver notato il richiamo alle "cagate", ma capisco che non c'è scampo e che  il nostro si aspetta un minimo sviluppo dell'argomento. E così  tento di dire che l'odierna produzione editoriale è intasata da troppe  inutili creazioni. Che nascono da mille motivazioni:  necessità di rispettare tempi contrattuali da parte di scrittori affermati o pura vanità dei debuttanti, animati da supposte capacità letterarie o dal semplice impiego del tempo libero. 
Continuiamo a più voci sull'argomento ed il tema inciampa sui travolgenti successi degli ultimi anni da parte di nuovi nomi del panorama, tipo "50 sfumature di grigio" e sequel.
Confesso di aver letto quel noioso testo, ricordando gli sforzi per arrivare in fondo. Opinione che conferma, se bisogno ce ne fosse,  quanto poco me ne intenda, mentre sproloquio su un'opera che ha venduto uno sfracello di milioni di copie, facendo la fortuna dell'autrice e dell'editore.
Intercettare i gusti, le tendenze dei lettori, indovinare gli argomenti di moda, fa parte di una scientifica e complessa ricerca del marketing letterario. Migliaia di persone qualificate si dedicano a formulare queste previsioni destinate a  trasformarsi in investimenti da parte dei gruppi editoriali. Non riusciamo certamente a cavarcela con una  chiacchierata prima o dopo la doccia.
Ed aggiungo la mia sorpresa per  il rifiuto di alcuni librai francesi di vendere il recente libro di "gossip" della signora Trielweiler, "mercì pour ce moment" che racconta la verità dell'autrice a proposito della relazione con il premier transalpino Hollande. Rapporto finito dopo la scoperta  da parte della dama che l'insospettabile "battilocchio" aveva una storia amorosa con una bella attrice.
Intanto anche questa "opera straordinaria" risulta esaurita nei negozi che ne hanno adottato la commercializzazione. Mentre altri esercenti francesi del settore hanno inalberato un orgoglioso cartello che segnala che quel negozio non vende quel libro spazzatura. Ma, al tempo stesso ricordano che restano sugli scaffali, pronte per la vendita, opere di Hugo, Maupassant, Balzac, Dumas.
Come vedete, in ogni paese hanno i loro problemi.
Per fortuna si era fatta ora del pranzo e le voci si sono rapidamente quietate per trovare la via della tavola..

mercoledì 3 settembre 2014

Facce di Bronzi

Oggi mi sento diviso tra due cuori diversi. Uno mi spinge verso un mai domo sentimento nazional popolare di difesa del patrimonio artistico italico. 
L'altro, ancora più ispirato da altissimi principi etici, ad affrontare le parole di uno dei sommi pensatori rimasti, un tale che tempo addietro usava bene i piedi - o meglio un solo piede - e che per questo si sente autorizzato a comunicarci ogni interno borgorigmo intestinale.
Ma si sa, questo è il palcoscenico del mondo e la gente deve far finta di indignarsi, di penare, di provare a mostrarci quanto è nobile, morale e benpensante.
Da qualche giorno striscia la notizia della richiesta  di opere d'arte da parte degli organizzatori dell'Expo prossimo venturo del 2015: "nutrire il pianeta, energia per la vita". 
Slogan e sottotitoli di fantastica suggestione, riservati a questo straordinario fenomeno  che dovrebbe far ripartire l'intera derelitta economia nazionale. Per il momento l'evento ha già dato i suoi frutti: corruzione, arresti, la creazione di una Autorità anticorruzione, tante chiacchiere tra gossip e campagne scandalistiche,  ancor prima che il mega carrozzone sia partito.
Intanto che si trovano ad appaltare, ad espropriare, a cementificare aree enormi, i capi dell'Expo hanno inoltrato varie richieste di prestito per l'esibizione  di opere d'arte ai principali siti museali del Paese. Tanto per fare qualche esempio, I Bronzi di Riace, e i quadri di Caravaggio napoletani,
Reazioni immediate di Italia Nostra, Fondo Ambiente Italiano et similia che allarmano sui pericoli di spostamenti dei capolavori nelle fasi di imballaggio e trasporto, ed in quella di collocazione in nuove sedi. Timori sacrosanti, c'è poco da ironizzare all'etrusca!
Però, a ben pensarci, se l'Expo deve e vuole essere questa grande macchina da guerra pubblicizzata  dagli strombazzi di governo dovremmo riuscire a mostrare all'opinione pubblica internazionale tutto il bello ed il buono che questa nazione produce o ha creato in passato. Uno sforzo che attraversi i tempi e le epoche, superi le fazioni e le bande di "tifosi" e mostri al mondo quello che siamo capaci di fare. Cioè tantissimo ed ai massimi livelli. Ma ci vuole un po' di collaborazione ed il rafforzamento di quel  sepolto spirito  di nazione che, al momento, riemerge soltanto negli strumentali discorsi di questo o quel politico. 
Ben vengano così, con garanzie ed accorgimenti tecnici, i traslochi di opere d'arte. Con un minimo sforzo di generosità e di senso di appartenenza, senza fare del tutto un mercato delle vacche. Come credo stia tentando di fare un tale  napoletano dal cognome altisonante, gestore di un "pio" monte di misericordia. Ha detto che lui, poi con finta modestia corretto in noi, cioè la sua Fondazione, concederà le opere caravaggesche, incurante delle lamentele dei protezionisti locali. Basterà che l'Expo metta mano cospicuamente al portafoglio e consenta alla Fondazione di raggiungere i suoi elevatissimi scopi. Quali essi siano lo sa questo signore dal cognome di tre parti e speriamo che siano effettivamente quelli statutari e non il pagamento dei gettoni di presenza ai sette del direttorio della Fondazione. Devo ammettere il pregiudizio: non mi fido per principio di quelli con troppi cognomi. Hanno già troppo rubato, espropriato per essere credibili.
Per l'altro argomento, i commenti e le minacce del "pube de oro" ad un giovane calciatore connazionale, reo di aver infranto il sacro codice etico della giungla pedatoria sudamericana, avviando una relazione sfociata in un matrimonio con la ex di un altro pedatore.
Questo "straordinario custode e tutore" delle tavole del verbo sacro, carta fondante della tribù dei decerebrati nati intorno all'equatore, ha già ricevuto adeguato ed appropriato commento nella odierna "amaca" di Michele Serra, su Repubblica. Che in definitiva, mi ha "schiattato" il post, quello screanzato..
Scherzi e facezie a parte, non saprei dire di meglio e  forse rovinerei il brillante eco di quello scritto  che invito tutti a leggere.

lunedì 1 settembre 2014

Lucania O Culania

Basterà un anagramma ben riuscito a farci dimenticare le questioni serie che si agitano? Certamente no, specialmente se non si tratta di di vicende astratte, ma di argomenti assai concreti legati al futuro di una regione. L'attuale presidente - senza mia colpa - del consiglio, racconta in giro che non basteranno dei "comitatini" a fermare l'azione possente e taumaturgica del suo esecutivo.
E qualche cosa, suo malgrado, o a sua insaputa, la dice.
L'esperienza ci ha insegnato che la politica dei piccoli gruppi di testardi coraggiosi non approda quasi mai a risultati di un qualche rilievo. Magari la tesi singola è corretta, con buone premesse e finalità di tutto rispetto. Del genere salviamo l'ambiente o tuteliamo la salute delle persone. Con buona pace di chi si spende per campagne del genere, riuscendo ad acquisire così tanta sicurezza sulle ragioni dei propri argomenti al punto da perdere di vista la portata generale del problema.
Facciamo un esempio, così, tanto per non restare nel vago e parliamo di una vicenda che interessa la regione che chiameremo Basilicata, ovvero Lucania, anagrammata malevolmente in in Culania o più simpaticamente, grazie ad  una piccola variazione di vocale, in Culonia.
In questa terra già sfortunata di suo per l'opera continua e sistematica di sciacalli che per secoli se la sono divorata a colpi di furti, appropriazioni, prevaricazioni, arroganze ed imposizioni. Farabutti che di volta in volta si sono presentati come sedicenti nobili ovvero come campieri, guardiani o sorveglianti delle terre dei "signori" o come "custodi" della fede e speculatori della superstizione popolare.
Secoli di arretratezza culturale e sociale e l'incubo mai superato di una colpevole ingerenza delle gerarchie religiose nelle coscienze dei singoli hanno prodotto i risultati che abbiamo davanti.
Trovare uno straccio di risorsa, quale il petrolio, poteva essere una grossa spinta per presentarsi in condizioni meno depresse al terzo millennio.
Macché, la torta era troppo grossa e ghiotta per passare inosservata e le sentinelle nazionali ed estere hanno rapidamente compreso come  mettere le mani su questo Yemen o Kuwait posto nel cuore del mezzogiorno d'Italia. 
Produzione non controllata dal punto di vista quantitativo, affidandosi i conteggi sui volumi di materiale estratto allo stesso ente estrattore. Vi sembra incredibile?  Ma che volete? I contratti parlano chiaro ed i politici locali che  all'epoca li sottoscrissero sentirono profumo di dollari proveniente da questa insperata opportunità, senza preoccuparsi nemmeno un nanosecondo dell'impatto ambientale o delle conseguenze igienico-sanitarie che ne sarebbero venute.
A tentare tardivamente di fare le bucce a questa situazione effettivamente seria e di grande impatto sulla salute dei lucani sono sorti piccoli cespugli di osservatori. Guidati dal buon senso di volenterosi cittadini e da qualche approfondimento scientifico cercano da anni di coinvolgere le popolazioni e di informarle su tutti i rischi presenti e futuri.
Hanno però lo stesso grado di frammentazione e divisione interna presenti in tutte le iniziative locali. Il quadro è sempre lo stesso, che si parli di rischi tumorali per la popolazione o della fontana del paese. Quando va bene le fazioni sono due, se non infinite.  E le tesi  di buona fede presto lasciano il passo  ai pettegolezzi sui singoli, sulle loro virtù o sulle loro magagne.
E così va a finire che ha ragione il "ronzino" fiorentino, che con la sua  impunita faccia cartonata si fa beffe di questi  affannati ed annaspanti fuochi di protesta.

domenica 31 agosto 2014

Inspiegabile ritardo

"Affrettati, non sprecare altro tempo. Non c'è un secondo da perdere". Con questo messaggio dal contenuto inequivocabile mi sono risvegliato. 
Nel sogno, un tale dall'aspetto da vecchio signore di altri tempi, mi ricordava che le ore di vita che ci sono concesse non devono essere sprecate. Nei momenti precedenti del sogno era successo anche altro, immagini che si sovrapponevano con la meravigliosa incongruenza della fase onirica. Tempi sfasati, persone che mutavano di sembiante ed altre straordinarie illogicità mi conducevano al risveglio. Ma restava il monito, chiaro e preciso.
Così mi rimaneva da interpretare e comprendere che cosa avesse voluto intendere la voce di quel signore misterioso.
Ho chiesto aiuto, ebbene si! E a chi, se non alla moglie, rassegnata destinataria delle mie confidenze oniriche?
Pratica ed essenziale come tutte le femmine, mi ha ricordato che la sera prima la peperonata della cena era ottima, ma un po' impegnativa, quanto a smaltimento e digestione. E poi qualche bicchiere di vino bianco fresco in più pure lo avevo trangugiato. La sete d'estate fa brutti scherzi e non parliamo poi se trovi un vermentino che si  faccia apprezzare.
"Forse hai ragione" ho ammesso, sia pure recalcitrante. Però dovrei riservare una riflessione al significato di quelle parole. Alla mia età dovrebbero rappresentare una traccia continua che orienti comportamenti e pensieri. 
E' vero, le mie vacanze lucane sono nel segno del relax, quasi ininterrotto, se non da sporadiche esibizioni sportive e da qualche immersione nel programma locale di eventi agostani. E sono contrappuntate dai discorsi degli amici di sempre.
Inevitabilmente, anno dopo anno, trovo gli amici invecchiati. E qualche volta intristiti da vicende personali, da affanni e  malanni che non mancano mai, in nessuno di noi.
Inutile che mi diciate che gli altri penseranno la stessa cosa di me. Ci arrivo, pure nelle crescenti etrusche difficoltà di comprendonio.
Dovremmo invece coalizzarci a non sprecare il tempo in discussioni che non approdano da nessuna parte. Idee che si confrontano, ma senza la freschezza e l'impeto di anni addietro. Soltanto per affermare che siamo ancora qui a dibattere. Talvolta sperando che basti urlare per dimostrare di avere ragione. Oppure di ripetere in modo incessante il solito tormentone che non ascolta gli argomenti dell'altro, ma serve soltanto a riproporre la propria tesi. Aria che si sposta inutilmente, mai uno spunto di novità, di originalità, mai il tentativo di vedere le cose sotto un rinnovato profilo.
Io, intanto che sono, provo ad approfondire la riflessione sulle due frasi. Non temete, se approdo a qualche cosa, mi faccio vivo attraverso l'amato blog.

mercoledì 20 agosto 2014

La testa nel pallone

L'occasione, lo spunto, il punto di partenza, la leva per sollevare il mondo.  E trovarsi per una sera in un posto bello, malgrado la trascuratezza degli uomini. Il castello di Bella forse non è il maggior sito architettonico della zona. Ma ha un proprio fascino e vive del lavoro che gruppi di volontari gli dedicano. Pulendo gli ampi stanzoni e scacciando inopportuni visitatori, restituendo vitalità a quegli spazi che resterebbero morti ed inutilizzati. Dopo anni di lavori e di investimenti di denaro pubblico che ha prevalentemente preso la via delle tasche di sedicenti tecnici e di disinvolti personaggi del milieu locale.
Ma la serata era dedicata alla presentazione di un libro e del suo autore. Un professore di materie letterarie con la voglia di pallone che è riuscito in anni di sacrifici personali a creare scuole calcio ed a formare alcuni giocatori di buon livello.
Il vero momento di incontro si è verificato quando la parola e' stata data ai rappresentanti delle associazioni sportive locali che hanno sottolineato quanti sforzi vengano prodotti dai singoli per riuscire ad andare avanti in attività che non hanno  altri finanziatori o sponsor se non gli stessi atleti o le loro famiglie.
Problemi di spazi e di strutture che hanno trovato accoglimento da parte delle autorità amministrative locali, pur nella consapevolezza di tutti di aver ben poco da sperare nella finanza pubblica, oppressa dal terribile momento di crisi economica.
In ogni caso sentire quelle voci, dare ascolto a quelle concrete esigenze non è stato il solito vaniloquio di circostanza.
Una forma di democrazia partecipata che per una sera ha sostituito, almeno per la maggior parte degli interventi, lo stucchevole processo di auto elogio ed auto glorificazione.
I cittadini ci sono ed almeno per una sera si sono fatti sentire.

martedì 5 agosto 2014

retorica e vecchi tromboni

La temperatura di agosto finalmente tiepida mi ha spinto a partecipare ad una serata all'aperto nel piccolo centro lucano che ospita le mie vacanze.
La sede fisica dell'incontro rappresenta al meglio quegli intrecci tutti italici, tra furberie, approssimazione, opportunismi e incapacità. 
Una specie di anfiteatro ottenuto sventrando una parte del vecchio paese. Effetto complessivo del luogo forse accettabile, ma vie d'accesso impraticabili ai più, con pendenze da Mont Ventoux, il muro del Tour de France e sfondi precari, con costruzioni mai completate e rifiniture con teli di plastica e contatori a vista. Luogo con una propria singolare particolarità, quella del freddo, anche quando in altri angoli dello stesso paese le temperature sono bollenti. Come mai? Forse effetto di correnti, forse una specie di avversione delle forze naturali alle cose che periodicamente si svolgono in quel contesto.
Questa volta si premiavano delle personalità locali, distribuendo targhe e papiri di un premio alla memoria di un giovanissimo assessore comunale deceduto tragicamente.
La scelta dei tre premiati, ma soprattutto le motivazioni, trasudavano di retorica e di "infrascamenti", come ben si conviene a circostanze del genere. Ma non poteva essere diversamente, tenuto conto della giuria e della pompa ufficiale voluta dagli amministratori, tutti schierati per riuscire a non dire niente di sensato o che inducesse alla minima riflessione. 
Uno dei tre riconoscimenti ad un anziano, molto anziano, che si è parlato addosso per i circa cinque minuti di microfono incautamente affidatogli, ripetendo sempre la stessa frase. Temo non per rafforzare il concetto, ma per incapacità di emettere suoni diversi o di articolare un pensiero.
Un premio del genere dovrebbe essere più utilmente rivolto al futuro, destinato a giovani del paese che stiano dando buona prova delle fresche esperienze di studio o di attività. Incoraggiando cioé quei soggetti che possano in futuro aiutare la comunità ad uscire dal suo profondo stato di narcolessia. Sul quale invece la serata  puntava in modo inequivoco, visto anche il contrappunto musicale di un quartetto d'archi impegnato in musiche di semi avanguardia con suoni striduli da far scappare anche i pochi cani presenti.
La parte giovane del paese si è accortamente astenuta dal partecipare a questo stentato rito della retorica ed è rimasta come sempre a "bevucchiare" nei luoghi della ristretta "movida" locale.
La retorica dei tromboni e l'apatia del resto della popolazione. Splendida istantanea di una collettività che sta tranquillamente rimboccandosi la lapide.

martedì 29 luglio 2014

Gli amici del giorno dopo

Di recente ci ha lasciato un consocio del nostro circolo. Persona amabile e mite, figura di sportivo come poche altre, impegnato nelle attività amatoriali del club fin quando le forze lo hanno sostenuto. Che fosse tennis o calcetto o bigliardo, Enzo era  sempre pronto a fare la sua parte, senza tirarsi indietro anche dopo aver valicato la soglia dei 70 anni. Poi, inevitabile, era sopravvenuta una fase di logorio fisico. Che a lui dispiaceva ancora più che ad altri della sua età, perché gli impediva di partecipare a quelle amate attività che erano state una parte rilevante della sua esistenza.
Non gli resto' che impegnare il tempo nel guardare partite di calcio, facendo commenti tecnici di rilievo.
La sua assiduità era proverbiale, al punto che nel circolo si era creata una zona "esclusiva, appunto "casa Raineri", nella quale erano ammessi soltanto soci di gradimento di Enzo, a patto di restare in silenzio e non fare caciara. Tutti gli riconoscevano il piccolo privilegio di gestire quello spazio.
Era stato anche preparatore di giovani calciatori e allenatore di una squadra di calcio femminile.
Una vita divisa tra la famiglia e l'amore per lo sport.
Negli ultimi tempi il peso dei suoi anni si era fatto sempre più aggressivo, ma finché ha potuto ha combattuto la sua battaglia.
Ora leggo su FB molte retoriche rimembranze e tardive attestazioni di amicizia.
Magari dagli stessi che nell'ultimo periodo lo scansavano accuratamente, girando le spalle alle sue richieste più o meno esplicite di attenzione o di semplice ascolto.
Negli ultimi due anni ho accompagnato Enzo a casa, a piedi o in macchina, ascoltando dispiaciuto le sue lamentele sulla condizione fisica o su altre asprezze della vita.
Arrivederci, amico mio, sono proprio contento di esserti stato vicino quando era giusto farlo.

venerdì 25 luglio 2014

E la nave va..

Forse ce l'abbiamo fatta! Se state pensando alla riforma costituzionale nata dal cenacolo di illustri padri costituenti, anche detti i "nazareni", vi comunico che siamo fuori strada. Per quella abbiamo voglia di attendere, tra patti, ricatti, veti incrociati ed altre nuove porcate. Restando sempre più misterioso e controverso se avessimo davvero bisogno del mutamento. 
No, pensavo al lento viaggio della nave più famosa, quella Concordia, arenatasi davanti ad uno splendido porticciolo della fantastica isola del Giglio. Incapacità, inadeguatezza, vanità e superficialità. Abbiamo messo nella vicenda tutti gli ingredienti che fanno sapida ogni pietanza nazionale. Se si facesse un bando per sostituire i simboli della Repubblica, farei mio il progetto di inserire lo scheletro di questa pacchianissima imbarcazione.
Ma per rendere sempre più vivace il paradosso, leggo fiumi di inchiostro per osannare l'impresa eccezionale del suo recupero. Forse in molti si sono rapidamente dimenticati dei poveri innocenti scomparsi in quella tragica notte e cercano di tacitare la coscienza gridando al miracolo della manovra di sgombero.
Dopo un tempo lunghissimo per decidere come si dovesse procedere ad eliminare il relitto, dopo aver ingaggiato i migliori e più costosi recuperatori internazionali, finalmente si sta muovendo e dovrebbe arrivare nel porto di Genova, nella mattina della prossima domenica.
Non intendo minimizzare la portata dell'impresa, probabilmente assai difficoltosa dal punto di vista tecnico.
Avrei sperato in un profilo meno trionfalistico dell'epilogo di questa orribile storia. Ma che volete, siamo italiani, anche nelle tragedie dobbiamo usare tutti i toni retorici a disposizione. Quelli che normalmente riserviamo a tutte le cose che invece andrebbero opportunamente  glissate e coperte da un pietoso velo.

mercoledì 16 luglio 2014

tu chiamale se vuoi..

"Tu chiamale, se vuoi".. 
Vi sento, avete risposto : "emozioni". Ebbene no,  Se state state canticchiando il seguito sulla falsariga di Battisti, sono spiacente per voi.  Siete fuori strada. Le emozioni sono fuori dal perimetro del mio ragionamento di oggi. Mi riferivo ad altro con l'espressione "tu chiamale, se vuoi". 
Volevo intendere "opere d'arte", ma in molti casi non ci siamo proprio, poiché troppo spesso ci vengono propinate autentiche "bufale"estive, sotto forma di libri. 
Sono davvero contrariato o meglio annoiato dalla lettura di poco più di venti pagine di un libro. Autore napoletano, già noto e non sgradito. Ma che a mio avviso ha già detto tutto quello che poteva dire. Ed ora è nella fase dello sfruttamento di una contenuta popolarità che lo induce a scrivere in modo compulsivo. E si dovrebbe concedere un lungo periodo sabbatico.
Le dieci pagine dell'introduzione sono il trionfo del niente, formalmente ben scritto. Passare al setaccio ogni singolo termine, scorticarlo, farne la proiezione, la storia linguistica e quella dell'uso corrente. Se penso che questo assurdo stiracchiamento di ciascuna parola da parte dell'autore deve durare 450 pagine mi viene da piangere. Oppure sono tentato di  lasciare il libro, gesto che da cultore della lettura considero di somma vigliaccheria, perché anche una porcata merita di essere letta fino in fondo. Magari per avere la conferma che si tratta di un'autentica vaccata o che, parzialmente, possa trovare giustificazione.
Arrivo all'assurdo paradosso di affermare che almeno nel campo artistico letterario bisognerebbe vietare tutti i professionismi. Tu sei impiegato, insegnante, medico? Ti piace scrivere e lo fai con garbo? Fallo pure, ma non ti fare prendere dall'ossessione della scrittura. Diversamente  ci troviamo di fronte a   produzioni seriali, che nulla aggiungono alla cifra artistica dell'autore, ma sono soltanto un sempre più penoso rimasticamento delle cose già dette. E che stanno a confermare la prevalenza di quella forte componente di narcisismo in quei soggetti che raggiunta una quota di notorietà ormai vivono soltanto della carica che i lettori trasmettono.
Quanti scrittori, poeti, cantautori, hanno già detto tutto con le loro opere iniziali? E perché ora il povero pubblico se li deve sciroppare in tutte le salse meno appetitose solo perché le rispettive case editrici li hanno messi sotto contratto e sono diventati un prodotto di mercato? e deve durare così, al ritmo di uno/due libri all'anno, fino all'età pensionabile ed oltre. 
Magari ci sono i fenomeni alla Camilleri. Ma in quel caso il discorso è diverso. Il nostro lucido vegliardo ha capito di aver raggiunto il successo sulla soglia degli ottanta anni, cioè troppo tardi. Ma visto che la sua produzione aveva incontrato i favori dei lettori ha deciso di produrre libri piccoli e di poche pagine. Anche nei suoi mini volumi  le storie hanno una trama già segnata e prevedibile sin dall'inizio. Ma durano pochi svolazzi di fogli e già non te ne ricordi più. Senza dimenticare che nel caso dello scrittore siciliano c'è un'intera filiera produttiva che agisce per suo conto. Un certo numero di "ghost writers" che incessantemente scrivono alla maniera del capo che alla fine ci mette la firma.
Spero di segnalarvi, appena possibile, un'opera degna. Per il momento, chiamatele come meglio vi piace. Anche con cattive parole. In certi casi è il minimo che gli autori meritino.

martedì 15 luglio 2014

veterani rilassatevi!

Non c'è niente di più serio delle cose fatte per gioco, diceva uno scrittore, attento analista dei comportamenti umani. 
Sembrerebbero confermare questo assunto un gruppetto di signori di età avanzata che di tanto in tanto frequento, in occasione dei tornei di tennis per veterani. 
Tutti giocatori che hanno almeno sessanta anni, dico sessanta, mica bruscolini. Dovrebbe essere l'età della pacata ragionevolezza, quel periodo di vita che normalmente corrisponde  alla fine dell'attività lavorativa di maggior impegno ed alla recuperata disponibilità del proprio tempo libero. 
In questi casi c'è chi si dedica di più alla famiglia, chi si concentra sul proprio hobby spesso trascurato, che va dalla lettura di un libro gradito, alla cura dell'orto del giardino, alla pesca, al bricolage e così di seguito.
La categoria di cui parlo è costituita da tennisti dilettanti, quasi senza eccezioni, che finalmente possono calcare gli amati campi da gioco anche di mattina o partecipare a quei tornei prima impossibili per gli impegni di lavoro.
E fino a questo punto come dare loro torto? Attività all'aria aperta, benefico movimento del corpo, recupero di una accettabile forma fisica, gratificazione che nasce dal sentirsi ancora in buona condizione, endorfina che si riversa nel cervello ad ogni efficace prestazione.
Quadro di positiva valenza, destinato ad essere criminalmente intaccato dall'attitudine, esclusivamente umana, di riuscire a farsi del male anche quando tutto potrebbe andare benone.
E così dopo i primi risultati di tornei, cui fanno da corollario le diaboliche "classifiche", il giocatore più sereno, quello con l'approccio più tranquillo rispetto al proprio divertimento, riesce a trasformarsi in un mostro afflitto dalla sindrome da competizione. 
Da quel punto in poi non c'è più limite. Critiche al gioco, alla forma fisica del coetaneo,  comparazione di analisi del sangue e dell'urina, stroncature all'abbigliamento sempre uguale o troppo variato, alla continua ricerca della racchetta che gioca da sola. 
Conosco signori che cambiano racchetta dopo la seconda ora di uso dell'attrezzo di gioco. Troppo rigida o troppo morbida, eccessivamente pesante o troppo leggera in testa. Attraverso questo cumulo di fesserie, si alimenta  un "secondo mercato" con affari da capogiro a chi sappia solo seguire le stranezze di questi incontentabili capaci di disfarsi di racchette da 150 euro, con pochi minuti di uso, a metà prezzo, perché ritenute inadatte al proprio "divino" braccio o al  tipo di gioco.
E che dire della proprietà transitiva? Se A ha battuto B, con netto punteggio e B, a sua volta, in altro torneo,  ha superato C, si arriva alla falsa convinzione che A incontrando C farà una passeggiata di salute C.  Al contrario, ogni incontro ha una propria storia, ogni giocatore, incontra problemi ovvero risulta avvantaggiato da un certo tipo di gioco avversario.
Il circuito dei tornei veterani è frequentatissimo, ed ogni occasione di incontro vede tante teste bianche  o pelate ritrovarsi per l'ennesimo confronto.  Spuntano persino improvvisati guru che promettono miglioramenti stupefacenti a signori di settanta anni. Un tale che conosco, modestissimo atleta, si è inventato una sua speciale "academy" che annovera soltanto over '60. Gli allenamenti sono addirittura ripresi da telecamere per poi studiare insieme quali rimedi apportare a quel colpo che pare carente. Con il "coach" severissimo a seguire e stroncare i suoi malcapitati allievi.
Nei racconti degli over ' 60 merita un capitolo apposito quello riservato alle malattie. Ma non parliamo della patologie  che malauguratamente possono colpire ciascuno di noi. In quel contesto si parla di "malanni professionali" dovuti al tennis che colpiscono spalle, anche, ginocchia, piedi e gomiti, questi ultimi sottoposti a speciali sollecitazioni dall'uso della racchetta.
Non c'è chi non abbia alle spalle dai tre ai dieci infortuni, con annessi interventi e periodi di recupero sempre più lunghi.
Ma, nonostante tutto, non si riesce a trovare uno, dico uno, che sia contento del fatto di stare in quel luogo di sport, a parlare spensieratamente del niente, a dichiararsi felice di poter occupare i propri spazi di vita con cose minori.

domenica 13 luglio 2014

Dubbi, viltà e certezze

Ci vuole un bel coraggio, o forse qualche altra dote che lascio a chi legge definire. Intanto coraggiosi eravamo stati  io e la mia Eli, capaci di farci 90 minuti di moto per arrivare a Sperlonga da Napoli. Ci ricordavamo di un bel posto, frequentato anni prima, allora in compagnia di un caro amico che  ci ha lasciato prematuramente. 
Niente più che un lido con annessi, che si chiama Eden ed è un posto abbastanza  decente.
Smontati dalle due rombanti ruote ancora sotto choc per il percorso accidentato che avevamo superato, il signore alla porta ha contribuito non poco a farci tornare sulla terra. Ci ha chiesto per un ombrellone  - in quarta fila - e due lettini,  la modica somma di 35 euro. Ho appena tentato di obiettare che non eravamo intenzionati a comprare gli arredi da spiaggia. La mia flebile protesta non ha prodotto altra reazione che un'alzata di spalle dell'addetto. O paghi o te ne vai, morto di fame.
Rapidissima consultazione familiare attraverso lo sguardo e poi la resa incondizionata. Che cosa avremmo potuto fare di diverso se non pagare? Farci una altra scorpacciata di chilometri? Con aria di rassegnazione abbiamo preso i nostri ridotti bagagli per andare nel paradiso che ci attendeva oltre lo scalone di accesso.
Un simpatico giovanotto con la faccia di chi riesce a lavorare per la prima volta ci ha accompagnato verso la nostra costosa meta. E credo sia stata l'unica nota positiva di giornata.
Il mare era agitato, tanto da sconsigliare bagni che andassero oltre i tempi di una rapida immersione e ce la siamo cavata con un po' di sole ed una passeggiata sul bagnasciuga.
Per fortuna affrontiamo le contrarietà con la giusta dose di ironia, altrimenti ci sarebbe stato da incavolarsi tanto. Il nostro posto "al sole" era sotto l'altoparlante del bagno. Da quell'infernale strumento uscivano i  senza sosta i richiami più assordanti per persone disperse, bimbi in cerca di genitori, personale richiamato all'ordine dalla ferocissima  kapo'  seduta alla cassa.
Di fianco a noi una coppia che, secondo Eli, parlava francese. Io ho espresso perplessità, perché i due giovani vicini, di stazza notevolissima, mi sembravano più facilmente collocabili nell'hinterland napoletano, tipo S. Antonio Abate o Pollena Trocchia. Macché, rintuzzava la moglie, lei ha detto "merde", mentre giocavano a carte e non è certo linguaggio campano.
Così abbiamo avviato il nostro gioco preferito nei tempi morti. Le appartenenze di suocere o mamme, le somiglianze di bambini pestilenziali che imperversavano, l'età di certe signore o signorine. Una in particolare, piuttosto avvenente, ha richiamato  tutta la nostra attenzione per arrivare a scoprire che età avesse. 40/45 come diceva la moglie, o 55 come sostenevo io. Non lo sapremo mai, e resterà un dubbio per sempre. Così come la domanda sul perché una donna così piacente avesse per partner un tale decisamente orribile.
Interrogativi, dubbi, perplessità. 
Ben diversi dalle certezze di un tale che conosco, senza vantarmene. Ho la ventura di frequentarlo per motivi di coabitazione, in ragione della parziale locazione del mio locale/studio, troppo grande per essere lasciato vuoto. 
Così tre anni addietro decisi di darne in fitto una parte e la mia proposta fu accolta da uno compagine di commercialisti. Persone tutto sommato a posto e civili. Uno di loro, il più anziano, di età superiore ai sessanta anni, qualche tempo fa si è presentato improvvisamente al lavoro con una chioma corvina che aveva di colpo annullato l'effetto sale e pepe della sua capigliatura.
Agli inizi ha cominciato a chiederci come stesse. Per educazione e mancanza di confidenza, abbiamo "scapuzziato", in italiano, scosso la testa un po' perplessi. Concludendo ipocritamente che in fondo non stava male.
La settimana scorsa, il nostro, mi squadra e proditoriamente afferma: "che peccato, ti leveresti  dieci anni di dosso se ti facessi un shampoo "rivitalizzante" come il mio."E qui tutta la mia viltà è nuovamente emersa  in tutta la sua prepotente misura. Invece di sfancularlo dicendogli che ero contentissimo della mia canizie e che mai mi sarei sognato di diventare un grottesco mascherone, ho abbozzato ancora una volta, evitando di replicare, spendendo uno dei miei sorrisi più melensi. 


giovedì 10 luglio 2014

un'amata stagionata..

In un libro letto da poco ho trovato una efficace elegia delle donne mature, racchiusa in una poesia che in pochi versi  sembra contenere una serie di verità. 
Il testo recita così:
Un'amata stagionata è davvero una furbata
più conosce della vita, men pretende sia condita
ma se trova il sentimento non avrai che star contento
perché solo ti darà cuore, baci e rarità
D'accordo, non raggiunge le vette della lirica poetica. Ma è certamente piena di significati e di insegnamenti.
E procedendo dall'inizio: l'amata è stagionata, cioè  ha superato il  trascorrere del tempo, evidentemente traendone  profitto. Come un vino che abbia trovato valorizzazione nella botte giusta, alla temperatura adatta di una cantina ben aerata. O come qualsiasi altro prodotto  che abbia trovato nei giorni di conservazione il motivo della sua specialità e particolarità.
Segue l'uso di "una furbata", parola di gergo, che indica una scelta accorta che si è indirizzata verso un risultato di pregio. Chiaro l'intendimento dell'autore, che non ha dubbi sulla giustezza di quella opzione, rivelatasi piena di positive conseguenze.
Questa "amata stagionata", se ha accumulato le esperienze giuste di vita, non si aspetta chissà cosa dal nuovo amore, non pretende che sia "condito" da straordinari o struggenti momenti di passione. Evidentemente si accontenta del solo fatto di aver trovato, nel suo tempo stagionato, un motivo di interesse e di emozione. Pare contenta di sentirsi viva e partecipe delle gioie della vita.
Ma c'è di più, perché se trova il sentimento, cioè se la fiamma arriva a  divampare nel suo cuore per la persona amata, allora l'oggetto di quell'amore non avrà che star contento. A  lui sono riservati dedizione, momenti di tenerezza e "rarità".
Su quest'ultimo termine si può aprire ampio dibattito.
Di che cosa parla l'autore dei versi? A quale genere di rarità intende riferirsi? Personalmente resto affascinato dal mistero contenuto in questa parola. Può voler dire tutto e si presta ad ogni forma di interpretazione che il poeta lascia alla libera individuazione del lettore.
La poesiola è datata, come riferisce l'autrice del libro da cui è tratta. 
Stiamo parlando della trasposizione in versi di un proverbio popolare che intendeva sottolineare quanto fosse appropriata la decisione di chi avesse allacciato una relazione con una signora di età.
E che il proverbio contenga concreta saggezza popolare viene confermato dal'uso della tecnologia più recente. Sui siti "hard" di tutto il mondo la prevalenza è stata presa non dalle bellone, tutte rifatte e gonfiate. Non è più tempo di bagnine siliconate di "bay watch". Ora i siti più richiesti sono quelli delle "matures", "grannies", "milfs", addirittura "grey hair only", in altre parole siti web che raffigurano solo soggetti con capelli grigi. Le statistiche sul consumo di questo tipo  di prodotto hanno evidenziato come milioni di persone di tutte le età,  ogni giorno, facciano ricorso a questo genere di visioni.
E ci sarà pure un motivo. Ma senza andare troppo lontano in speculazioni sociologiche delle quali non mi sento capace, provo soltanto ad ipotizzare: l'aggressività di molte  giovani donne contemporanee spaventa il maschio, costretto alla fuga ed a rifugiarsi nel più tranquillizzante mondo della maturità femminile. E chi se ne frega del possibile nascosto risvolto edipico. 
Come diceva una canzone di Roberto Vecchioni: "voglio una donna donna, donna con la gonna"..



giovedì 3 luglio 2014

faccio fatica..

Il signore che stava seduto di fronte mi guardava senza imbarazzo. E ripeteva, quasi come in una cantilena: "faccio fatica, faccio fatica..". Il nostro tragitto in metro si era rivelato assai più travagliato del previsto. Di solito in pochi minuti quel trenino sotterraneo  porta dal centro del Vomero al cuore della città. Ma non quel giorno: si erano succeduti, in rapido susseguirsi, un tentativo di suicidio, sventato dagli addetti; una caduta di corrente sulla linea, una agitazione di pendolari che si lamentavano del servizio.
Insomma una giornata di quelle con il "bollino nero", dove per contrapposizione la mente corre libera verso mete desiderate. Per molti il mare o i laghi. Per me, il mio amato paesino sonnolento. Dove già immaginavo la possibile raccolta delle fragoline di bosco e delle amarene degli alberi davanti alla casa.
Il mio interlocutore, o meglio quel tale che sembrava rivolgersi a me, esce dal suo stato di semi torpore e chiede: " ma a lei che effetto fa, tutto questo?". Ed io cadendo effettivamente dalle nuvole; " "a che cosa si riferisce tra i tanti imprevisti e disagi che stiamo affrontando?.
Deluso dalla mia domanda, con un'aria da sopravvissuto in un bombardamento, rincara: " al culo di fuori del ragazzo che è appena sceso, a che altro mai potrei riferirmi?". Effettivamente il giovanotto in questione pareva aver dimenticato cintura e decenza. Nei momenti che avevano preceduto la sua fuoriuscita dal vagone, si era abbassato un paio di volte per mostrare ad un suo compare un certo aggeggio informatico che compariva nel suo zaino. E questo movimento aveva messo in evidenza molto più della metà delle sue natiche  fuori dai suoi pantaloni  a vita bassa.
Il mio dirimpettaio non ammetteva divagazioni sociologiche sul tema giovanile: " solo un pazzo o un debosciato si può vestire così, circondato da una famiglia di altrettanti folli. Una madre che vede uscire di casa un figlio così conciato, secondo lei che cosa dice? Niente? E allora è lei la responsabile di una simile oscenità. Per non parlare poi del padre..!
E guardandomi in faccia, dritto e senza indulgenza: " se io o lei alla loro  età fossimo usciti con abbigliamenti poco adeguati che cosa ci sarebbe capitato? Cazziatoni a non finire, interruzione di ogni colloquio con i genitori, un clima infernale..".
Ho tentato una minima difesa, ricordando gli strazi dei nostri pantaloni a zampa di elefante, delle capigliature incredibili, di certe camicie di forza, con colletti astrusi.
"E' vero facevamo schifo, non lo nego. Ma non così, non allo stesso modo. Erano punizioni che infliggevamo al massimo a noi stessi per restare scomodi ed ingessati in certi vestiti. Oppure ci complicavamo la vita con chiome che, solo per per asciugarle, ci voleva un'ora di asciugacapelli. Però le terga non le esibivamo a nessuno. E non tenti di convincermi che non ci sia differenza!
Quasi di scatto, il mio interlocutore mi ha lasciato da solo. Ha raggiunto la porta di uscita, in attesa della sua stazione. Senza guardarmi più. Evidentemente uno come me che tenta una difesa d'ufficio dell'ingiustificabile non meritava per lui altro colloquio. Ma mentre mi lasciavo prendere da sconfortate conclusioni sulla difficoltà dei rapporti umani, il signore proprio sulla porta di uscita della sua stazione, mi ha fatto un cenno di saluto e rivolto un sorriso.

lunedì 23 giugno 2014

sindrome da cappellaio matto

Nel secolo scorso era assai diffusa una malattia professionale, la sindrome del cappellaio. Si caratterizzava attraverso il cd eretismo mercuriale. Un morbo che colpiva chi era costretto a maneggiare frequentemente il mercurio. Erano proprio i poveri cappellai che, per procedere alla "feltratura" dei copricapi in produzione, venivano colti dagli attacchi di eretismo. Una specie di eccitazione incontrollabile, indotta dall'uso del minerale, che privava il soggetto della capacità di padroneggiarsi e di dare senso compiuto alle parole. Deve essersi riaperta la stagione dei feltri, altrimenti è difficile spiegarsi come, in contemporanea, tanti soggetti diversi abbiano smarrito il significato dei discorsi  pubblici con i quali intrattenevano l'uditorio. In una settimana almeno tre i cappellai matti scoperti con i "conigli" fra le tese.
Ha principiato il ministro "a sua insaputa" degli interni Alfano. Definendo assassino un soggetto indagato ed individuato attraverso la "diabolica probatio" del test del DNA, effettuato su appena 18 mila persone legate ad un certo territorio.
Non si erano ancora spenti gli echi e le polemiche di quel "libero sproloquio" che, senza soluzione di continuità, replica un signore che di mestiere fa il prefetto, a Perugia. E che invece di misurare con estremo rispetto e circospezione le parole si lascia andare ad altri moti intestinali sfuggiti per bocca. E in una parlata dialettale che forse potrebbe permettersi con amici e parenti invita le madri di figli tossicodipendenti a suicidarsi. Badate bene, non parlava al bar del paese con gli amici della bocciofila. Era in una riunione con i crismi della  ufficialità, davanti ad un pubblico di esperti e non che forse dalle sue parole si sarebbe atteso un sia pure minimo tentativo di analisi sociologica sul terribile fenomeno della tossicodipendenza in relazione all'ordine pubblico.
Ultimo ma non minore, un parroco della provincia di Novara che parlando dal pulpito ai suoi fedeli ha equiparato le coppie di conviventi che "vivono al di fuori dei sacramenti" a chi si macchia di omicidio.
Ho ragione allora io quando parlo di eretismo mercuriale. Se tre soggetti ai quali, per motivi diversi, viene consentito di esternare in pubblico non riescono a rendersi conto della propria funzione e di quello che dicono, ci sarà un virus o una malattia contagiosa che incide sulle rispettive capacità mentali.
Almeno i cappellai facevano dei feltri di qualità. Questi scoreggiano oralmente e a noi arriva tutto il puzzo di questi malesseri intestinali. Ma, lo dico da profano, non sarebbe il caso di consigliare una cura di byfidus che regolarizzi le funzioni digestive?

venerdì 20 giugno 2014

Grancasse di regime

Un suono assordante di grancasse accompagna la svolta nelle indagini sulla morte della povera Yara Gambirasio,  la giovanissima di Brembate assasinata nel 2010. Un coro a più voci composto da questori, comandanti di gruppi operativi di carabinieri e polizia, esponenti del governo.
La notizia dell'individuazione del presunto colpevole del reato è diventata motivo di convinta autocelebrazione per tutti gli investigatori. Che non hanno mancato di occupare tutte le arene televisive per ricostruire gli sviluppi dell'inchiesta e menare vanto di questo arresto.
Il ministro degli Interni si è lasciato andare oltre: ha parlato dell'indagato Bossetti come di un assassino, un mostro da sbattere in prima serata ed in prima pagina.
La prudenza avrebbe dovuto invece fortemente ispirare tutti gli incauti esternatori. Di fronte ad una vicenda intricatissima, dove soltanto la scienza si è impegnata ad integrare il carente quadro probatorio raccolto dalle autorità di PS, ricostruendo il quadro genetico della popolazione di un intero paese.
Ancora nella mente e nel ricordo i tanti casi di cronaca che sembravano risolti attraverso il ricorso alla ricostruzione del DNA: via Poma, il delitto dell'Olgiata, addirittura il caso degli anni del fascismo di Girolimoni. Tutti flop clamorosi che hanno prodotto comunque danni tra i soggetti indagati, spinti in alcuni casi al suicidio, come il povero portiere di via Poma, Pierino Vanacore.
Ma evidentemente questi precedenti gravissimi non sono bastati a suggerire la necessaria ed indispensabile cautela ad autorità  che,  in ragione della pubblica funzione svolta, dovrebbero esercitarla in modo scrupoloso.
In questa vicenda sono stati rimestati fatti personali che dovrebbero essere trattati con estrema delicatezza, destinati a sconvolgere la vita di tante persone. C'è addirittura una donna anziana che viene costretta a difendersi da una ipotesi  di adulterio di circa tanti anni addietro.
Ed una simile  apparente spregiudicatezza da parte degli inquirenti viene quasi promossa e sostenuta dal momento politico. La pax renziana e le virtù taumaturgiche che l'attuale leader si attribuisce consentono pure questi pesanti strappi alle regole della presunzione di innocenza che, fino a che non sarà cancellata dal nuovo che avanza, rappresenta un baluardo di legalità all'interno di un'indagine penale.
Ma il momento è propizio. E l'ebetino sa di dover sfruttare ogni occasione per gettare ulteriore fumo negli occhi ai poveri italiani già tanto stomacati dalle continue malefatte. Da quelle apparenti a quelle più nascoste e silenziose. Ma siccome il capo del governo ha il consenso dell'ex cavaliere per le riforme e contemporaneamente SEL si sta sgretolando con migrazione dei suoi esponenti sul carro dei vincitori, chi vorrete che possa obiettare alcunché? 


  
































mercoledì 18 giugno 2014

Penna e disnvoltura


Talvolta  mi capita di dire che ho  un blog? A parte qualcuno che mi guarda preoccupato pensando ad una malattia contagiosa, a questa mia affermazione sorgono commenti disparati." E che cosa scrivi di bello"? Uno dei commenti, con un sottofondo di stupore scettico, da parte di chi mi considera poco più che una specie di ameba e perciò incapace di avere riflessioni, per di più scritte. Oppure, "bravo si, tu sei stato sempre disinvolto con la penna". E questa definizione meriterebbe approfondimento, vista l'indeterminatezza della mia "disinvoltura". Potrebbe essere un accenno velato al mio coraggio nell'affrontare l'impegno della scrittura ovvero un apprezzamento ad una certa disposizione mentale prima e espressiva poi.
Ancora una volta non esco dai mie dubbi. Ma rivelo a chi lo volesse sapere che poche cose mi danno soddisfazione più della mia "terra etrusca". Che, come dice il figlio, massimo detrattore - come è giusto che sia -, dovrei infiorettare solo  di amene e leggere considerazioni, risultandogli molto meno graditi certi tentativi che io intenderei di diverso spessore.
La mia reazione sfanculistica al pargolo è immediata e così siamo a posto. Io continuo a scrivere "lo que quiero" - per  i non ispanici, quello che voglio - e lui proseguirà nell'opera diuturna di stroncare certi post.
Ricevo anche commenti di amici affettuosi che, attenti alle variazioni di umore che trapelano dalle righe, mi incitano a non mollare e magari a dare una forma più sistematica alla mia smania letteraria.
Alla fine cederò. Volete che resti uno dei pochissimi italiani a non aver scritto un libro in vita sua? Specie poi con le varie sponde familiari di cui posso disporre:  una moglie che lavora in una casa editrice ed un figlio che di mestiere fa il "ghost writer"?
Cederò prima o poi e così alcuni pazienti e preziosi lettori avranno in casa un  oggetto in forma di libro da usare in modo vario: sostegno per altri libri utili, rialzo per accrescere un livello, ferma carte o ferma porte, poggia pentole o sotto padella.
Prometto - o forse minaccio - che appena pronta l'opera parteciperò la novella attraverso queste righe etrusche.  Intanto, per chi volesse leggere un libro interessante che mi è capitato tra le mani, segnalo quello indicato nell'immagine. Narrativa femminile, con qualche passaggio un po' .. più acceso e tanti spunti di interesse, specie negli ottimi dialoghi. Stateve bbuono!

giovedì 12 giugno 2014

Divieto di calcio e gastronomia

Credo abbia ragione Alessandro Bergonzoni quando invoca l'esilio e l'estradizione per cuochi e calciatori. Chiede almeno undici anni di interdizione, con divieto assoluto di trasmettere calcio e gastronomia in televisione. Non so perché proprio undici anni, ma se ci pensate bene, eliminando dai principali palinsesti questi due spolpatissimi temi resta poco. 
Giusto quelle facce di sedicenti politici che si parlano addosso in una pantomima litigiosa gridando all'inciviltà dell'altro che non consente di terminare un fondamentale concetto. Ma quale concetto? Nella maggior parte dei casi si tratta di argomenti così stentati e mal esposti che sarebbe meglio un obbligo generale di silenzio.
Ma mi direte, così finisci per eliminare la democrazia. Rispondetemi voi: conoscete per caso la democrazia? Percorrendo i miei sessantasei anni e passa non ne ho vista traccia. Gli ambienti che ho frequentato, tutti e senza eccezioni,  mi hanno sempre più confermato che in ogni ambito c'è un gruppo di potere che impone le regole agli altri. Non mi ricordo di casi applicati di reale democrazia, di volontà generale che diventa norma per dare forza effettiva al patto sociale. 
Ieri notte ho preso la pessima decisione di assistere ad una finta gara sportiva. Il nome del vincitore era già scritto da tempo. Con tutti gli ingredienti per preparare il manicaretto. Compreso l'arbitro che era in quel posto soltanto per dare esecuzione agli ordini di scuderia che imponevano un certo copione. Il Brasile doveva vincere ad ogni costo la partita inaugurale del mondiale contro la povera Croazia. E forse la real politik imporrà la vittoria finale della squadra sudamericana, a prescindere dal merito effettivo. Per ragioni di politica interna di quel Paese, per la pace sociale, per evitare altri disordini, perché  non si può fare altro che rispettare gli equilibri dei vertici del calcio mondiale.
E il nostro baraccone nazionale tutto montato per dare spazio a questa enorme messinscena. Inviati speciali, ospiti con l'occhio spento, opinionisti del niente. Da quest'anno persino un contro canto fatto direttamente dalla RAI. Il povero Max Giusti chiamato a friggere con l'acqua in una mortificante esibizione di nullità assoluta.
Molto meglio il mio sport da dilettante, i miei sfoghi talvolta inopportuni con il compagno di doppio che puntualmente mi sfancula. Siamo dei signori anziani che, con la scusa della linea e del fatto che fa bene alla salute, ci aiutiamo l'un l'altro,  senza saperlo, a tirare avanti.
A non mollare ed a scansare l'altro incubo dominante che impone magnate ed abbuffate  a tutti i costi di cibi sempre più strani ed elaborati. 
Con gare e confronti tra chef e finti chef per creare il piatto perfetto. Uomini e donne di tutti i tipi, di ogni età e condizione mentale, si sfidano davanti alle telecamere, confinati nelle angustie di un segnatempo che impone di completare il manicaretto entro un certo termine.
Il contrario della vera cucina, piacere per raffinati che dedicano alla stessa il tempo necessario. Molto o poco, a seconda dei casi, ma senza rompiballe che ti cronometrino il tempo necessario.

lunedì 9 giugno 2014

mutanda vo' cercando..

Tra le molte stramberie mentali che contraddistinguono il vostro etrusco sta prendendo un posto di rilievo la passione da "pannacciaro". E' un termine dialettale lucano che sta per mercante di cose quasi inutili, del genere "bric a brac". In origini questi mercanti itineranti scambiavano le loro cianfrusaglie con "panni", intendendo per tali oggetti usati come vestiti, lenzuoli, pezzi di corredo non utilizzati. Giravano casa per casa in un'atmosfera che richiama all'immaginazione la canzone napoletana "e spingule francese". Infatti non era raro che il pannacciaro, fattosi troppo audace al cospetto di donne  di casa procaci, beccasse una sonora mazziata dai maschi indispettiti o anche dalle stesse maldisposte donzelle importunate.
Il vostro etrusco chiamato dal destino al ruolo di solitario sgomberatore di un paio di case di famiglia dalle moltitudini di cose che le riempivano, si è inventato l'ennesimo mestiere. La prima volta a  novembre scorso, la seconda, recentissima dal 6 all'8 giugno. Il sito, sempre lo stesso, area fieristica di Tito Scalo, provincia di Potenza che ospita il mercatino dell'usato Bidonville. Variabile  lo staff di collaboratori. Nell'ultima occasione, a sostituire la moglie alle prese con cure familiari, c'erano figlio e nipote Roberto. Due simpatici sfasolati che sarebbe azzardato definire venditori, impegnati piuttosto a non perdere le mosse di ipotetiche belle signorine, materiale del tutto sconosciuto tra i frequentatori del mercatino lucano. Così i due bellimbusti si sono riconvertiti al ruolo di assaggiatori di prodotti tipici della gastronomia locale, con soddisfazione massima dei venditori di salumi e mozzarelle, focacce di casa e varie.
Con noi c'era Lorenzo, detto Settina, impareggiabile figura di amico, veterano dell'evento in quanto già coinvolto in occasione del debutto. Questo quartetto di sciamannati ha venduto assai poco, ma ci siamo fatti sonore risate per commenti sui vari personaggi presenti. Prima fra tutti una nostra vicina, la zia Pina, che con la sua incomprensibile parlata ci intratteneva in godibili intermezzi. Pare che nella sua terra natia, S. Antonio Abate, si parli così, genere didascalia o codice fiscale. Però dovevano avvisarci e ci saremmo portati un simultaneista. Si, all'inizio eravamo contenti di capire anche solo il 5 per cento di quanto diceva. Successivamente, diventati più intimi della signora, ma senza esagerare, siamo entrati anche nell'onda sonora del suo lessico, con il risultato di riuscire persino ad afferrare l'intero discorso. Di fianco un antiquario di Francavilla Fontana, subito  amico, che ci siamo portati anche a cena, sottraendolo all'orribile trattamento dell'albergo convenzionato con Bidonville. Sul posto mio figlio Giovanni ha anche incontrato un vecchio amico che con la sua simpaticissima mamma aveva un banchetto di cose belle. A riempire le nostre ore vuote una deliziosa fanciulla di 4 anni, Eliana. Impareggiabile  quanto a grazia e tenerezza, con unico neo quello di dimostrare eccessivo slancio per Giovanni al quale ha fatto anche una scenata di gelosia.  Tornare contenti, non avendo  recuperato nemmeno le spese, la dice lunga sull'idoneità del gruppo rispetto all'attività. Dimenticavo, la maggior parte del lungo tempo di inattività, dovuto anche alla scarsezza di pubblico e'

stato destinato all'affannosa ricerca di sei, dico sei, mutande acquistate per le intimità di padre e figlio e mai più ritrovate. Se qualcuno avesse trovato i sei boxer comprati  e smarriti ci dia un segnale, siamo disposti a pagare persino un riscatto!

mercoledì 4 giugno 2014

vado a cacà, di renza

Crescevo a Napoli verso la fine degli anni '50. Famiglia di origini calabro/argentina - lucana. Il lessico familiare era una arzigogolata composizione di tanti suoni e delle loro distorsioni. I contatti con i compagni di scuola mi parvero da incubo. Loro dialogavano in napoletano stretto, idioma a me sostanzialmente sconosciuto. Ma che mi attirava per le sonorità accattivanti e per le immagini che sembravano saltare fuori dalle parole. 
Poi pensavo che da quel momento in poi quel simpatico frastuono sarebbe stata la colonna sonora delle mie giornate e ad ogni parola nuova o sconosciuta sentivo crescente il senso di inadeguatezza. Che tale rimase fino agli anni del liceo. In quel periodo si stavano per aprire le porte della conoscenza, attraverso un nuovo compagno, diventato presto amico. Dividemmo i tre anni di liceo classico e le fatiche della maturità. Periodo di impegno concreto, con un esame sullo sfondo che era la prima vera prova di una vita trascorsa fino a quel momento senza ostacoli. 
La famiglia del mio amico era da tempo impegnata nella panificazione, attività che a me sembra meravigliosa e piena di spunti magici. Ma la caratteristica più rilevante del gruppo era quella di parlare in napoletano vero. Si, quello con tutti gli spagnolismi e le espressioni idiomatiche di chi viene da lontano nella parlata. Non certo quella specie di esperanto bastardo che sentivo tutti i giorni, mosaico imperfetto ed abborracciato di tanti altri dialetti e del tentativo di italianizzare il vernacolo.
No, loro parlavano con naturalezza in una splendida lingua piena di termini che avevano un senso e creavano suggestioni intense. In quella casa ho sentito per la prima volta definire un uomo basso "nu muzzone 'e sicario"; o la mitica "arrasso sia", formula esoterica per allontanare dai presenti un male appena evocato; imparai la misteriosa "uosemo", che sta per fiuto; mi addentrai tra le impervie direzioni di "alliffato",  per persona lisciata e pulita o di "strafalario", il perditempo inutile che sosta all'angolo del portone o del bar. Ebbi altre rivelazioni, come "scurriato", che è la frusta, l"abbusco" che è la mancia a chi svolge piccoli servizi, scoprii che cosa volesse dire "ammarrare", cioè chiudere, serrare e l'importanza, specie nei giorni di festa, delle "sciosciole", la frutta secca delle grandi occasioni.
Quei maestri così gradevoli non ci sono più. Forse meglio per loro che si sono risparmiati quella pessima lingua che oggi circola in città, senza origini e senza personalità. Se ci fossero ancora potrei farmi rivelare che cosa voglia dire l'espressione del titolo: vado a cacà di renza. La prima parte è chiarissima e dimostra l'impellenza di un bisogno fisologico. Ma perché di "renza", cioè di lato? Me la sono spiegata in tanti modi, del tipo mi nascondo,  cerco di non farmi scorgere. Ma resta un mistero e chissà che non sia meglio così.

venerdì 23 maggio 2014

Borborigmi di stagione

Pensate anche voi con grande sollievo che sta per finire? Tra poco più di 48 ore si chiuderanno le urne per le elezioni europee e per qualche momento riusciremo a ritrovare un poco di  pace. Ci mancheranno molto le reciproche accuse di ogni nefandezza sinora scambiate dai sedicenti leaders delle diverse fazioni. 
Si soltanto fazioni, di questo si tratta. Nelle parole di questi sciagurati non c'è la benché minima traccia di interesse per il bene comune o per le sorti del Paese. Tutti a difendere la propria posizione di potere, a proteggere il proprio gruppo.
In una consultazione europea avete  per caso sentito qualcuno chiedersi e  tentare di spiegare, come andrebbe correttamente e documentalmente fatto, che cosa comporterebbe un'uscita dall'euro? 
Questo ci sarebbe piaciuto apprendere da tecnici in posizione di accertata terzietà. Calcoli e previsioni seri sulle conseguenze di una decisione assai impegnativa dal punto di vista economico e monetario.
Invece abbiamo sentito soltanto "borgorigmi" provenienti dal profondo dell'intestino dei singoli oratori. Questi flussi diventavano fetore e sistematico tuonante dileggio o insulto nei confronti del rivale. Senza lo straccio di un confronto tra persone civili, magari su posizioni diverse, ma disposte ad esporre temi e cose concrete al pubblico degli elettori.
Chi vincerà? Certamente l'astensione, l'allontanamento sempre più disgustato da questo simulacro di democrazia che nasconde soltanto interessi e vantaggi di pochi. E dal 26 in poi la battaglia delle cifre, il confronto con i dati del milleseicentotredici, tanto per riaffermare che nessuno di loro ha perso.
A perdere come sempre tutti noi, talvolta persino disposti a questionare duramente con interlocutori di diversa convinzione, come se questo servisse pure minimamente a mutare il corso delle cose. 


domenica 18 maggio 2014

black out di riferimenti

Da un numero imprecisato di anni seguo una trasmissione radio. Si tratta di "Black out", garbato intrattenimento del mattino, condotta da Enrico Vaime, scrittore, umorista, regista e sceneggiatore. E scusate se è poco..
Molto seguita nei periodi di punta che corrispondono agli anni '90, ha subito i danni del tempo e l'inevitabile "ammosciamento" dell'ottimo autore, vicino al traguardo degli ottanta anni. E che ha dovuto anche negli anni sopportare gli strali e gli ostracismi dei potenti di volta in volta bersagliati. Anche Vaime è stato sempre ben consapevole che funziona così e se fai le bucce a chi comanda, prima o poi pagherai.
Durata dimezzata, collocazioni orarie da fornai insonni, budget tagliato a più riprese. Insomma tutto per accompagnare alla porta l'ironico perugino, che però non si è mai arreso né tirato indietro a ricordare le malefatte dei boss che si sono malauguratamente succeduti al comando di questa povera terra.
Attualmente è una trasmissione di nicchia, per autentici "aficionados". E si tratta, lo dico senza alcuna contentezza, di una fascia di pubblico di età molto elevata, dai cinquanta a salire.
Stamattina il conduttore/autore si è lasciato andare ad una delle sue solite "intemerate" sulla progressiva scomparsa  dei punti di riferimento, mettendo in evidenza come troppe volte il re è rimasto nudo e non può essere in alcun modo preso come modello.
L'enunciato è incontrovertibile, non ammette repliche. In punta di piedi e senza pretese di avere per forza la verità intasca ci sarebbero da articolare  alcune chiose sul perché, dopo migliaia di anni di sviluppo della civiltà umana, si avverta ancora il forte bisogno di persone di riferimento.
I "grandi statisti", gli "uomini santi", le "intelligenze pure", i "padri della patria", i "senza macchia e senza paura", pare si siano d'improvviso dileguati. Scomparsi, nascosti chissà dove, al punto da chiamare la Sciarelli e farci un'apposita serie di "Chi l'ha visto?".
E se invece seguissimo un banale sospetto da "uomo medio"? Non è possibile che questi grandi personaggi del passato abbiano soltanto goduto di una favorevole ricostruzione storica che li voleva "eroi" a tutti costi. Perché si doveva vendere un marchio, fare affermare una corrente di pensiero, imporre ai sudditi esempi da imitare, creare dei miti che facessero comodo ai padroni del vapore.
Affermarsi oggi è tutt'altra storia. La prevalenza dell'informazione trasmessa porta a porta con tutti i mezzi possibili rivelerà di volta in volta la fragilità, gli aspetti umani e perciò censurabili di ognuno. Smonteranno cioè senza alcuna possibilità di difesa la creazione di una nuova leggenda. Quel tale ha le calze rosse sotto lo spezzato grigio, la tale diva faceva la domestica a ore, lo statista ha fatto in gioventù il portaborse per gente losca, l'anima pia ha un patrimonio immobiliare da palazzinaro, l'impavido protagonista di un gesto eroico si mette le dita nel naso o da ragazzo aveva tendenze incerte.
Completate voi la casistica, come meglio vi piace. Chissà che non ci aiuti un messaggio  proveniente,  - udite, udite la parola di un agnostico - magari  da uno che per mestiere fa il papa dei cattolici. Che spesso ricorda come sia difficile giudicare gli altri, e come dovremmo immedesimarci di più nelle situazioni umane, valutando le cose in concreto, senza schemi pregiudiziali e scorciatoie mentali.

mercoledì 14 maggio 2014

il cinghiale che non amo

Prima di esprimere un qualsiasi giudizio sui cinghiali invito chi ne avesse voglia a farmi una visita in campagna. Periodicamente mamma cinghiale sforna una nidiata di cuccioli. Che sono di una bellezza speciale. Al mio rumoroso arrivo quasi non si scostano. Sono stati avvisati dalle poiane di vedetta che trattasi di umano fesso, ma non pericoloso, anzi amorevole al punto da alimentare  la faina che tutti i giorni deposita la sua digestione sotto il portico. E mica è colpa loro se mamma cinghiale adora le ghiande di cerro che cadono copiose in certi momenti dell'anno. Perciò non li disturbo e ogni volta cerco di fotografarli. A tutto c'è un limite, però. I vispi facoceri se la filano all'inglese, mentre estraggo il telefono o l'ipod nel vano tentativo di violare la loro privacy.
Questo per dirvi che adoro questo genere di animali, vitali, adattabili, resistenti ad ogni fatica e condizione di vita. Che devono soltanto preoccuparsi di sfuggire alla crudeltà e stupidità di quel solo animale a due zampe che uccide senza necessità, in modo vile, usando le armi e non affrontando il rivale a mani nude.
C'è una  eccezione a questa mia simpatia, dovuta più alla mia cattiva abitudine di assimilare gli umani agli animali che alla realtà
Da tempo conosco un tale che sin dal primo sguardo mi è sembrato un brutto e grufolante cinghiale. Pessimo esempio di arroganza, di ingiustificato autocompiacimento. Le strane vicende della vita hanno permesso che, pur in assenza di sue effettive qualità, questo tanghero si sia trovato ad occupare nel suo settore ruoli di rilievo.
Non ho particolare competenza, trattandosi di ambito  lontano dai miei interessi. Però da sempre ho fatto mio un principio: un coglione è sempre un coglione, immerso in qualsiasi contesto. E da voci di suoi colleghi, uno in particolare a me molto caro, ho avuto la conferma che anche nel suo campo è stato sempre considerato un ebete, ma capace di sgomitare con ogni mezzo, lecito e meno lecito, pur di centrare i suoi obiettivi.
Ora il cinghialaccio è diventato anziano. Basterebbe questo dato per non parlarne più. Macchè, lui rompe quotidianamente con certe notizie assolutamente inutili, di cui non frega niente a nessuno. Giusto a lui, per ricordarsi di essere vivo. Si limitasse a questo, potremmo quasi dichiararci  contenti di questa forma di progressivo rincoglionimento. Non contento, di tanto in tanto si lascia andare a raccapriccianti analisi politiche. Il suo amato ex cavaliere e badante di anziani sembra in disgrazia e lui pur di riparlarne riesce persino a rimestare  fantomatici complotti internazionali.
Per essere vicino al suo idolo, potrebbe sempre proporsi per una collaborazione nel pulire i cessi di Cesano Boscone. Finalmente vedrebbe rappresentate al meglio le sue potenzialità e ci risparmierebbe i suoi quotidiani risultati nelle disfide  al tavolino da gioco.