lunedì 1 settembre 2014

Lucania O Culania

Basterà un anagramma ben riuscito a farci dimenticare le questioni serie che si agitano? Certamente no, specialmente se non si tratta di di vicende astratte, ma di argomenti assai concreti legati al futuro di una regione. L'attuale presidente - senza mia colpa - del consiglio, racconta in giro che non basteranno dei "comitatini" a fermare l'azione possente e taumaturgica del suo esecutivo.
E qualche cosa, suo malgrado, o a sua insaputa, la dice.
L'esperienza ci ha insegnato che la politica dei piccoli gruppi di testardi coraggiosi non approda quasi mai a risultati di un qualche rilievo. Magari la tesi singola è corretta, con buone premesse e finalità di tutto rispetto. Del genere salviamo l'ambiente o tuteliamo la salute delle persone. Con buona pace di chi si spende per campagne del genere, riuscendo ad acquisire così tanta sicurezza sulle ragioni dei propri argomenti al punto da perdere di vista la portata generale del problema.
Facciamo un esempio, così, tanto per non restare nel vago e parliamo di una vicenda che interessa la regione che chiameremo Basilicata, ovvero Lucania, anagrammata malevolmente in in Culania o più simpaticamente, grazie ad  una piccola variazione di vocale, in Culonia.
In questa terra già sfortunata di suo per l'opera continua e sistematica di sciacalli che per secoli se la sono divorata a colpi di furti, appropriazioni, prevaricazioni, arroganze ed imposizioni. Farabutti che di volta in volta si sono presentati come sedicenti nobili ovvero come campieri, guardiani o sorveglianti delle terre dei "signori" o come "custodi" della fede e speculatori della superstizione popolare.
Secoli di arretratezza culturale e sociale e l'incubo mai superato di una colpevole ingerenza delle gerarchie religiose nelle coscienze dei singoli hanno prodotto i risultati che abbiamo davanti.
Trovare uno straccio di risorsa, quale il petrolio, poteva essere una grossa spinta per presentarsi in condizioni meno depresse al terzo millennio.
Macché, la torta era troppo grossa e ghiotta per passare inosservata e le sentinelle nazionali ed estere hanno rapidamente compreso come  mettere le mani su questo Yemen o Kuwait posto nel cuore del mezzogiorno d'Italia. 
Produzione non controllata dal punto di vista quantitativo, affidandosi i conteggi sui volumi di materiale estratto allo stesso ente estrattore. Vi sembra incredibile?  Ma che volete? I contratti parlano chiaro ed i politici locali che  all'epoca li sottoscrissero sentirono profumo di dollari proveniente da questa insperata opportunità, senza preoccuparsi nemmeno un nanosecondo dell'impatto ambientale o delle conseguenze igienico-sanitarie che ne sarebbero venute.
A tentare tardivamente di fare le bucce a questa situazione effettivamente seria e di grande impatto sulla salute dei lucani sono sorti piccoli cespugli di osservatori. Guidati dal buon senso di volenterosi cittadini e da qualche approfondimento scientifico cercano da anni di coinvolgere le popolazioni e di informarle su tutti i rischi presenti e futuri.
Hanno però lo stesso grado di frammentazione e divisione interna presenti in tutte le iniziative locali. Il quadro è sempre lo stesso, che si parli di rischi tumorali per la popolazione o della fontana del paese. Quando va bene le fazioni sono due, se non infinite.  E le tesi  di buona fede presto lasciano il passo  ai pettegolezzi sui singoli, sulle loro virtù o sulle loro magagne.
E così va a finire che ha ragione il "ronzino" fiorentino, che con la sua  impunita faccia cartonata si fa beffe di questi  affannati ed annaspanti fuochi di protesta.

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