mercoledì 30 maggio 2012

Giorni di cattivi pensieri

Giorni di pensieri cattivi.  Oppure, forse meglio, le angustie da prima pagina.
1) perché a morire di terremoto sono sempre gli operai? Quale forza disperata di attaccamento alla propria fonte di reddito induce o costringe tante povere persone a non allontanarsi dalla sede di lavoro, nemmeno quando sta crollando tutto?
2) Ricordare a tutti che in caso di terremoti le chiese non sono posti sicuri. A ciascuno la propria devozione, ma non venga in mente di affollare i luoghi di culto. Le nostre chiese, talvolta meravigliosi esempi di passate architetture, sono posti pericolosi. I denari raccolti dai fedeli e dallo stato sono normalmente impiegati per la sopravvivenza del clero, mentre il patrimonio immobiliare è invece sistematicamente trascurato. Volte , tetti, arcate, campanili: tutti da revisionare e da porre in sicurezza. In quei posti è più facile essere travolti da crolli di macerie. Lo sa bene il povero prete che per recuperare una statua di madonna è rimasto sotto una trave. Tenerissimo esempio di attaccamento, ma anche grave dimostrazione di incoscienza: per recuperare una statua di gesso non deve morire un uomo.
3) Rigor montis cerca di cacciare gli attributi. Ma il coro dei pretoriani lo costringeranno a ricoprirsi. Aveva detto, quasi per caso, una serie di cose giuste: Tipo: questo mondo del calcio, fatto da privilegiati che non conoscono crisi e ottengono sempre di più, ci ha rotto le scatole. Laddove ci aspetteremmo difesa di valori etici, quali impegno e lealtà sportiva, ci troviamo al cospetto del peggio dei mali italici: corruzione, prossimità ad ambienti malavitosi, turpe presa in giro dei tifosi e dei loro slanci. E allora, dice a mezza voce il capotecnico italiano, sarebbe il caso di prevedere una sospensione di due  o tre anni dei campionati.
Una cosa fantastica, a mio avviso. Consentirebbe ai milioni di abbelinati e rincoglioniti di tifo una pausa adeguata per disntossicarsi. Magari pensando un po' più a se stessi e meno ai loro idoli miliardari. Specialmente se sono giovani, potrebbero indirizzare forza e desideri verso qualsiasi altro valore che sia davvero tale. Allontanando dal Paese questa orda di ricottari che, a vario titolo e scrupolo, gestiscono le scommesse sportive.
Non se ne farà nulla: è una proposta troppo seria per una nazione discarica, gestita fino ad ieri da un capopolo a pompetta, impegnato nel "burlesque".
4) Un forte grido di popolo: abolite quella pagliacciata di parata del 2 giugno e destinate le risorse ai terremotati. Uditi i boatos, il capo condominio del quirinale tenta di prenderci sublimemente per il culo: la facciamo sobria, però!
3 milioni di euro non sono una cifra da capogiro. Ma in un momento in cui si intenda recuperare sia pure in parte minima il decoro nazionale, anche piccoli esempi non guasterebbero. Alla fine prevarrà la ragion di .. stato. I militari non vedono l'ora di mettersi quelle belle divise da parata. Truppe cammellate e carri viareggini sono impazienti di mettersi per via dei Fori imperiali, con tanto di pattuglia aerea rombante. La celebrazione massima della retorica statale, che non serve ad un cacchio, come tutti sanno, primo fra gli altri l'amministratore migliorista (?). Massimamente in un momento terribile per i migliaia di senza tetto e senza posto di lavoro. Si farà, ma sarà " in tono minore, dedicata alle vittime del terremoto". Mr. president, please, ci spiega un poco meglio Ke vordì? Leverete qualche medaglia ai generalissimi da operetta, luciderete meno le fanfare? Dimezzerete il rinfresco o i pennacchi ai corazzieri? Mancano ancora due giorni e un rigurgito di serietà è ancora possibile! 
5) Forminchioni. Frater militiae sanctae. Casto, solidale e memore. Ma perché non te ne vai a fare quello che, a mio fortissimo avviso, è il tuo sport preferito? Cioé a prenderla nel c.. Un'intera nazione, a cominciare dalla tua regione, avrebbe immenso giovamento dal tuo indirizzamento ad ovest o al lato "b". Ci risparmieremmo l'ennesima fuga di panzane e sconfessioni sul tuo caso. Hai preso i soldi? Bravo, ma al tempo stesso è suonata la campanella di fine turno. Scappa con il tuo circolo di sodali e goditi il maltolto. Tu saprai bene come utilizzarlo.. però allontanati e apri pure la finestra per far passare l'aria puzzolente che ci lasci.

lunedì 28 maggio 2012

La menzogna come presupposto

Nella piazza simbolo della fede, un gruppo di giovani. Con una grande foto di Emanuela Orlandi. Chiedevano che il papa parlasse anche del misterioso caso o che almeno nominasse la giovane scomparsa. Niente! Come sempre arroccata in difesa, la chiesa di Roma oppone il suo pesante carapace alla richiesta di verità. Mostrando in questo comprensibile  coerenza. Che nei secoli è stata la ragione della propria continuità: utilizzando il doppio binario dell'occultamento del vero e della opera di diffusione di ogni forma di ipocrisia. Questa è l'istituzione, capace di superare tutte le crisi, persino quella gravissima della fine del potere temporale. L'istituzione opulenta, carica di ricchezze materiali sottratte alla gente normale che crede. E spesso veramente ispira la propria vita ad alcuni principi di sobrietà umana e spirito di solidarietà.
Ho conosciuto persone e famiglie che hanno fatto proprio l'aspetto spirituale dell'insegnamento cristiano. Persone fantastiche, capaci di slanci di generosità impensabili per assistere malati, bisognosi, bambini rimasti da soli. Anche quando per loro questi gesti comportavano pesanti sacrifici.
E poi ho conosciuto tanti falsi credenti, osservanti per opportunismo, ipocriti capaci delle peggiori umane nefandezze, salvo poi presentarsi puntualmente alle funzioni domenicali ed ai sacramenti. 
C'è stato un tempo non lontano, dopo la guerra, nel quale essere atei o di altro credo, equivaleva ad una condanna sociale, all'emarginazione progressiva dalle opportunità di vita e di lavoro.
Nella grande azienda che ho frequentato, c'erano circoli di ispirazione religiosa più o meno nascosti, dove l'appartenenza e l'affiliazione significavano vantaggi in termini di progressione lavorativa; e per contro, essere accostati a sindacati o ad organizzazioni di sinistra comportava un automatico ostracismo.
Ma se torniamo ai nostri giorni, queste forti scosse che  attraversano tutta l'istituzione chiesa, rappresentate dal calo vistoso dei credenti, dagli scandali finanziari, dalle denunce per pedofilia ed omosessualità, dalle laceranti tensioni in periferia, dagli scontri cruenti tra le fazioni vaticane, dovrebbero far riflettere.
Il soglio di Pietro è invece irremovibile. Sa bene che qualsiasi concessione nel senso dell'apertura dei sepolcri coperti e dell'ammissione delle colpe  porterebbe in breve alla dissoluzione della "company". Che è  la più antica e che al suo pubblico vende da sempre la stessa merce: ricatti morali, spauracchio della morte, mercimonio delle indulgenze, mercato di qualsiasi evento umano, condizionamento delle coscienze.
Un esperto di marketing direbbe: "brand" vincente non si tocca! E allora, nemmeno questa apparentemente fragile figura di papa cambierà. E se anche volesse, non glielo consentirebbero le conventicole che ne condizionano pesantemente l'agire.
Un'occasione sprecata per quei giovani manifestanti che aspettavano in piazza uno squarcio di umanità. Questa chiesa ha paura di loro e della possibilità che il villaggio globale riveli una ad una tutte le atrocità coperte dalle menzogne cattoliche.

lunedì 21 maggio 2012

tifosi onesti

Diciamola tutta: che cosa c'è di meglio che la passione? Tutti quelli che hanno provato lo sperdimento della ragione per un sentimento, per un'idea, per un progetto, mi comprenderanno. E' bello lasciarsi andare, perdere i contatti con la razionalità e tornare allo stato primordiale dell'istinto. E' una pausa dai momenti della responsabilità, della coscienza. E la vita vale la pena di essere vissuta proprio per questi lampi che si aprono nella normalità della vita di tutti i giorni, allontanando anche se per un poco ansie e pensieri tetri. 
Chi ha vissuto come me una gioventù ispirata dalle le passioni della politica, mi capirà. Ancora oggi, a distanza di oltre quarant'anni, rivedo alcuni dei compagni di viaggio di quei momenti per noi epici. La nostra meravigliosa incoscienza ci portava a credere fermamente anche negli spropositi che gridavamo come slogan e che animavano i nostri giorni e le nostre notti. Notti di occupazione all'università, di paure e di piccoli eroismi. Ma anche di innamoramenti repentini o di odii improvvisi. Di famiglie che rompevano e che minacciavano misure draconiane. Di amici che non condividevano e ti facevano sentire isolato come i giorni dei "filoni" a scuola. Ma c'era tutto, specialmente l'entusiasmo degli anni verdissimi ed il passaggio pieno di incognite ad una vita adulta.
E così mitizzavamo i nostri leader studenteschi che ai nostri occhi  sembravano coraggiosi, lucidi e decisi.  Le stesse tensioni emotive che riservavamo ai campioni dello sport. C'era, è vero, una non trascurabile corrente di pensiero giovanile che ci ricordava che anche quelle erano figure borghesi, da cui prendere le distanze, ma alla fine la passione per i colori della squadra o per l'atleta del cuore avevano il sopravvento.
Poi insieme agli anni sono caduti molti veli del  mondo dello sport. Lasciando trasparire la trama sempre più scadente e compromessa di quel mondo. Figure di mercenari pronti a comprare e vendere tutto, marchettisti un tanto a parola, falsi profeti che curano esclusivamente i propri interessi. Insomma un mondaccio fatto di uomini indegni di ricevere tributi di passioni e di entusiasmi della gente normale. Che va a lavorare in condizioni impossibili per tirare avanti. Che sopporta l'indicibile dai vari "caporali" che incontra. E che al momento opportuno vorrebbe credere almeno in qualcosa.
Con il tempo ho accettato l'idea che una partita di calcio è soltanto uno spettacolo. Se accetto di vederlo non devo farmi tante domande, ma solo godere del bel gesto tecnico o della coralità di una manovra. Senza chiedere di più. Gli uomini bandiera? Scomparsi. L'amore per una maglia? Solo a condizione di essere lautamente compensati. Ed insieme a tutto questo incontri venduti, giocatori disposti a tutto. Un minuetto cadenzato dal ritmo del denaro, scandito da enormi interessi in ballo.
E con questo, nel mio caso, è finito il tifo. Anche quando la mia squadra vince, resto a farmi tante domande. Ed a chiedermi se è giusto che ancora tanta gente si getti nelle strade a gioire e sia disposta a fare sacrifici per dare lauto alimento ad un mondo fatto di sfruttatori e mercenari.
Scusatemi, ma io mi riprendo la mia libertà di fregarmene. 

martedì 15 maggio 2012

quanto pesa un imbecille?

Meraviglia e al tempo stesso sgomento. Ebbene si, ormai non c'è più alcun ambito umano che non venga sottoposto ad indagine. Ma riuscire anche solo ad immaginare che un gruppo di scienziati dedichi il proprio tempo, verosimilmente prezioso, ad un argomento come il costo sociale dell'imbecillità,  non mi aveva sfiorato. Uno studio durato circa 5 anni e condotto in varie città USA e canadesi si è concentrato per accertare il peso del fattore imbecillità su una collettività. Si avete capito bene, sono tempi difficili!
Gli studiosi impegnati in questo processo di valutazioni e ponderazioni sui comportamenti umani sembrano convinti che l'imbecille classico apporti più danni delle calamità naturali. Domanda legittima: ma chi è l'imbecille tipo? Apparentemente si tratta di un soggetto qualsiasi, antropologicamente non meglio identificabile. La razza, il colore della pelle, il livello socio culturale, l'età e le convinzioni religiose non sembrano avere una decisiva influenza sull'individuazione del perfetto imbecille. Che si annida in ogni dove, pronto a testimoniare con azioni e pensieri la sua presenza. Che purtroppo, conti alla mano, non incide negativamente soltanto sulla sua esistenza. Anzi il PI vive in un atmosfera quasi beata di autogratificazione. Sono ahiloro, gli altri a doverlo subire. Con le sue saccenterie, le sue inutili dimostrazioni, il fare o pensare quasi sempre la cosa inutile o sbagliata. Il tempo perso o mal utilizzato a causa di un PI, sia in ambito pubblico che privato, viene stimato in alcuni miliardi di dollari in un anno.
Mi è venuto subito alla mente un tale che abita nel mio palazzo. Aria ascetica, da finto pensatore, uno dei peggiori che abbia mai incontrato. Perché oltre a comportarsi da PI, ha tutta la prosopopea del docente, con buona pace e ricordo rispettoso degli sfortunati allievi. Lo conoscono tutti bene e lo scansano con accuratezza. Perché quando lui racconta una cosa qualsiasi è capace di muovere l'aria intorno alle sue corde vocali per alcuni minuti, in modo completamente vacuo e senza effetto. Quanto alla pratica, nei posti auto che circondano gli spazi del palazzo è l'unico ad aver conservato pali e catenacci a salvaguardia dell'area di sosta della sua auto. Immaginabili le quotidiane maledizioni che riceve dagli altri che pure lo hanno invitato ad eliminare l'inutile presidio. Lui, niente. Va avanti per la sua strada, perfetto interprete della parte che la vita gli ha assegnato, a discapito di tutte le assicurazioni fornite dagli altri inquilini che mai ardirebbero parcheggiare in quello spazio privato.
Ultimamente ho letto, sia pure in modo incidentale, di un altro soggetto che nonostante tutte le spiegazioni che gli sono state fornite sulla differenza tra fazione e politica, tra interpretazioni di comodo e civiltà, resta inamovibile nella sua posizione di critica becera e preconcetta al termine " politica ". Che gli possiamo fare? Niente, ma pensate soltanto al tanto tempo perso da alcune persone normali che si sono premurate di dare risposta al suo "ritornello".
E lui, come tutti i PI che si rispettino, potrebbe persino invocare la difesa costituzionale: il diritto ad essere fessi è irrinunciabile, guai agli altri, semmai, che dovranno subirlo impunemente.

mercoledì 9 maggio 2012

accettare il senso della democrazia

I risultati delle recentissime elezioni presidenziali francesi sono al vaglio dei tecnici. Gli esperti stanno analizzando il significato della scelta di Hollande e la  sua ricaduta sugli equilibri europei. E' possibile azzardare qualche previsione, ma, al tempo stesso, valutare quello che accade in un civile e vicino Paese nel quale, dopo un lungo periodo di governi di destra, gli elettori hanno individuato in una figura di riformista l'uomo che li guiderà nei prossimi difficili anni.
La stampa di oggi ha dato ampio spazio all'esemplare compostezza dei due protagonisti. Che dopo un lungo ed aspro dibattito precedente al voto, dopo essersi scambiati acuminati  fendenti politici, hanno dato civilissima forma alla cerimonia delle consegne. 
E' una lezione non di galateo politico, bensì di sostanza della democrazia. Chi ha perso ha riconosciuto la vittoria dell'avversario, ottenendo l'onore alto delle armi.
Un egregio insegnamento dalla storia contemporanea. Chi scrive spera che questa manifestazione di alto senso dello stato e delle istituzioni possa servire soprattutto ai più giovani, per uscire dalla gabbia delle tifoserie organizzate. Che non portano da nessuna parte, se non ad un continuo e sterile conflitto, che troppo spesso trascende le finalità per diventare duello personale.
All'indomani di un voto una qualsiasi collettività dovrebbe darsi una ragione delle scelte che provengono dalle urne. E ridare senso a quell'interesse comune che viene esaltato dalla possibilità dell'alternanza democratica. Chi ha vinto governa, sapendo di essere sottoposto allo scrutinio dell'opposizione. E le due parti insieme avrebbero il solo dovere di agire ed operare per il superiore bene collettivo.
Difficile da realizzare in un Paese come il nostro dove persino in occasione della scelta di un amministratore di condominio si ricorre all'offesa sistematica della "fazione" avversa.
Amaramente, la logica da ultras sta sterminando quei teneri germogli di democrazia piantati nel dopoguerra. Facendo alla fine prevalere l'antipolitica, ampliando il fenomeno dell'astensionismo, creando i presupposti per allontanare tutti dalle meraviglie del sistema politico. E a giustificare tutto questo non può essere sufficiente rifugiarsi dietro i luoghi comuni del tutti ladri, tutti ugualmente disonesti.
Non è vero e non può essere vero, le differenze tra gli uomini restano. La dura lezione della fame e del bisogno ha insegnato a molti che desiderare oltre quanto sia necessario per vivere crea soltanto scompensi e vizi inutili. E non serve far ricorso alle teorie darwiniane. Qualsiasi individuo uscito dalla fase dell'ignoranza è in grado di valutare la portata delle proprie azioni e delle proprie manifestazioni.
E per quanto sembri difficile a credersi, tornare indietro è difficile, quasi impossibile.
Insomma c'è speranza persino per il "trota" o per il faccia da killer pescarese o per Belsito! Ed è quanto dire!

martedì 8 maggio 2012

l'evoluzione biologica segna il passo

Eppure qualche segnale lo avevamo avuto. Però a saperlo così, da un professore di quelli seri, ci ha fatto una certa impressione. Amici cari, l'evoluzione biologica sembra sia finita. O almeno così sostiene l'autorevole Ian Tattersall, direttore statunitense di un  dipartimento di paleontologia. Prendendo le mosse da studi ed indagini, il prof è arrivato a concludere che dal punto di vista biologico, vista la diffusione delle popolazioni su quasi tutta la superficie terrestre occupabile e la conseguente impossibilità di nuove modifiche genetiche, l'evoluzione biologica  si è fermata. Sostiene nel contempo che sarebbe però possibile una diversa fase evolutiva in direzione della maggiore conoscenza. Quest'ultima facilitata dall'accesso di massa alle tecnologie.
Viste le facce dei nostri politici e le fisionomie quasi da "minus habens" di più di uno dei nostri faccioni televisivi, ci era venuto il sospetto. Avvalorato dall'ultima ricerca in casa PDL in forza della quale il cavalier pompetta cerca un successore con maggior grinta dell'animella Al Fano. Se rilancio ci deve essere (?), affidiamoci ad uno con grinta accertata. Vengono così fuori le maschere forti di quel teatrino, come la Santanché che farebbe paura persino ad un pit bull, o l'onesto Ignazio che manco ci scherza quanto a faccia volitiva. Pare che Hannibal Lecter, interpellato, si sia dichiarato indisponibile visti certi suoi impegni di carattere forzato, mentre Emilio Fido non gode più di quel consenso unanime che lo rendevano gradito al nano di arcore. E allora? dove lo troviamo uno con faccia da spaventapasseri che riesca a far passare uno di quei tanti messaggi etici e politici che il nostro mucchione di destra è capace di produrre?
Se non fosse per quel pizzico di razzismo, ci si potrebbe affidare alla mano sicura di Tyson. Chi meglio di lui? Alle riunioni si stabilirebbe di colpo il principio dell'unanimità, perché non so immaginare Bondi o Mastella che alzano il ditino per contrastare dialetticamente il deciso leader.
Oppure, ristabilendo  il dogma della prevalenza della razza bianca, ci sarebbe uno di quei gentiluomini della nazionale di rugby della Nuova Zelanda. Le obiezioni in questo caso potrebbero essere sollevate da questi ultimi, troppo seri e sportivi per immischiarsi nelle cose politiche tricolori.
Resta una possibilità. In una recente tornata elettorale che ha interessato il mio piccolo centro di residenza sono emersi una serie di interlocutori che, dal punto di vista dei requisiti intellettuali e di ampiezza di vedute, potrebbero ben partecipare alle primarie del PDL. Talvolta hanno nomi con inserzioni straniere, aspetto favorevole per il contesto  internazionale. Chissà che non si possa fornire materiale idoneo per questa delicata funzione. Sarebbe un onore ed un privilegio se da un paesino del Sud potessimo selezionare uomini o donne pronti per il grande balzo.
Se mi consultano ho almeno 4 o 5 nominativi da indicare. Con un'unica certezza: peggio di quelli precedenti è difficile fare e allora.. perché non provare. Forza giovanotti, il futuro è vostro. Avete tutte le caratteristiche per sfondare: niente lingua italiana, capacità logica vicina allo zero, intuizione dei fenomeni manco a parlarne, senso di umanità assente. E allora? che aspettate? Il lavoro c'è. Basta sapersi guardare intorno.

martedì 1 maggio 2012

Se il lavoro potesse parlare

Oggi è un giorno speciale, in questo Paese speciale. 1° maggio, già festa del lavoro, forse sarà ricordato come giorno della vera memoria. Perché quell'altra "giornata della memoria", tragica e feroce, viene troppo spesso messa in discussione da revisionismi da un lato ed interpretazione di comodo dall'altra. 
Nel dopoguerra, questa povera terra rimasta senza niente per aver creduto alle chiacchiere di un seduttore da operetta, si era rimboccata davvero le maniche. Ripartendo per la sola strada che porti da qualche parte se le risorse sono poche e i bisogni tanti. 
Una carta costituzionale scritta non dai soliti tessitori occulti che "riformano" solo la superficie dei problemi, lasciando intatta l'essenza. Era un vero patto sociale riscritto a più voci, leccandosi le troppe ferite di una guerra assurda e prendendo in esame  il tessuto sociale che aveva bisogno di garanzie democratiche e certezze nel solo punto di partenza di qualsiasi collettività: l'attività lavorativa. Che diventò operosità, grazie ai meccanismi virtuosi che quell'atmosfera di cooperazione assicurava. E portò a successi, anche se pagati a prezzo caro dai lavoratori, in termini di miglioramento di qualità della vita.
Non parlo del tanto sbandierato "boom", bensì di cose minime, quali l'acqua corrente e i servizi in ogni casa, la carne sulle tavole, la certezza che alla fine di un mese lavorativo qualcuno avrebbe pagato la mercede, l'assistenza sanitaria per gli occupati e le famiglie.
Piccoli miracoli rispetto ai tempi precedenti dove si mangiava solo se il padrone era soddisfatto e graziosamente ti lasciava gli avanzi o gli abiti smessi.
Si affermavano concetti come dignità proletaria, coscienza delle classi medie, una visione nuova della società e dei rapporti tra le categorie.
Come tutte le cose che nascono dalla necessità, questa fase aveva una scadenza. E bastò il passaggio al momento successivo dell'imborghesimento generalizzato per creare o meglio per rivelare le crepe sempre più profonde di questo sistema risorto dalle ceneri della guerra.
Gli stessi protagonisti di quell'epoca eroica pensarono soltanto a se stessi, con una miopia stolida e ridicola che metteva al sicuro un paio di generazioni, dimenticando che  dopo di loro c'erano i propri figli o nipoti che non avrebbero trovato più niente, nemmeno quell'orgoglio e quei riferimenti ideali che erano serviti da sostegno nei momenti di difficoltà.
Dopo i tanti saccheggi politici, compresi quelli in corso in questo preciso istante, di quella solidarietà non resta più quasi niente. Nuovi concetti si sono sostituiti: mercato, unione tra stati, profitto e profilo individuale, riflusso nel privato.
Il dieci per cento della popolazione è ufficialmente senza lavoro, il trenta per cento dei giovani. Tantissimi fanno lavori che non tengono alcun conto di studi e formazione scolastica. Tutti sono ricattabili dal capo o dal padroncino di turno. Con tanti saluti a ciò che resta del sindacato e della sua capacità di interpretare i bisogni dei lavoratori.
Ma come in ogni disastro ci sarà una via d'uscita. Ci deve essere per forza, perché c'è il rischio di tanta confusione e tanta degradazione umana. Basta guardarsi intorno e prendere atto che i mendicanti, di ogni genere colore e sesso, si sono centuplicati intorno a noi.  Da quelli che smerciano cose minime come fazzoletti di carta, accendini, spugnette per il bagno, calzini, fino a quelli che stendono mano o cappello. Ma questo sistema regge finché tengono le attuali  flebili certezze, quali stipendi, pensioni o  ciò che resta della pessima assistenza sanitaria pubblica. Il passaggio ulteriore potrebbe essere la guerriglia sociale.
E quindi: oggi 1° maggio una laica preghiera a chi oggi si occupa del governo: pensate con serietà e non con le chiacchiere ad avviare una ripresa. Che parta da un punto qualsiasi, ma che restituisca qualche speranza a chi oggi non sa trovare altra strada che la disperazione.