lunedì 29 marzo 2010

elezioni e ragionamenti


Sono stato a Bella, mio paese del cuore oltre che della ragione. Per votare, a parte qualche momento di relax tra piante ed odori graditi. Piaceri che non tramontano. Intanto il piccolo alveare del Paese sciamava intorno all'edificio del seggio elettorale. Con i soliti bottinatori, le api operaie e rarissime regine. I discorsi si muovevano intorno agli argomenti di sempre, anche se con le articolazioni che il caso rendeva necessarie. In particolare venivano scrutinati con attenzione speciale i candidati di casa, i loro vizi, i possibili pregi. E si dibatteva su come avessero condotto la campagna elettorale; metodi spregiudicati, promesse, questua del voto, legami familiari attivati. Con tutte le combinazioni possibili. E di seguito, l'analisi dei veti incrociati, delle amicizie trasformatesi in rivalità: quanti veleni sparsi in modo apparentemente occasionale, ma sullo sfondo emergevano strategie di imprevedibile acutezza. Certo in un piccolo centro mancano quasi completamente gli strumenti della grande comunicazione, rivelandosi marginale l'apporto di stampa, televisione o della radio. A sorpresa o quasi, pare sia cresciuto invece il supporto degli altri mezzi informatici. Migliaia di sms hanno dato contenuto al sostegno per i vari candidati. I più sosfisticati hanno imboccato la strada di facebook, strumento destinato in prevalenza alle fasce giovanili di popolazione. Attivati gli exit pool, con esperti capaci di formulare previsioni con margine minimo di errore. Poi arriverà lo spoglio dei voti con lo strascico di piccole e grandi polemiche, ma finirà pure questo momento di reale attività del Paese. Basta visite, pranzi, cene, comizi, incontri elettorali. Per restituire tutto alla dimensione solita dei discorsi da bar o da panchina.

venerdì 26 marzo 2010

assalto alla bananiera del PDL

Stanno sbarcando dalla "fregata" PD e passano in massa sulla "bananiera" PDL: fantastiche notizie per i cittadini campani. Dalla stampa hanno appreso che ad una riunione di appoggio al candidato della destra alla Regione Campania hanno partecipato molti medici e dirigenti sanitari pubblici e privati in passato di "area" PD. Gruppo ora rapidamente confluente dall'altra parte (?) dello schieramento politico regionale. A chi non conoscesse bene le ragioni di così massiccia e rapida migrazione forniremo un tentativo di spiegazione. La sanità campana è stata da sempre un feudo DC, con lievissimi cedimenti di segno minore in favore del PSI craxiano. In seconda repubblica, il nucleo demitiano dei successori DC , nel marasma creatosi in quei giorni di gravi incertezze, si appropriò della roccaforte non concedendo spazi a chicchessia, ma marcando militarmente tutto lo spazio regionale. Nomine di dirigenti USL e poi ASL, incarichi a primari, promozioni di ogni ordine e grado e soprattutto le convenzioni, da quel momento ebbero bisogno dell' imprimatur o del gradimento degli uomini irpini dell'ex segretario della balena bianca. Dopo la iniziale gestione Mazzeo, si passò a quella di Montemarano, medico irpino anche lui, che divenne in breve il reuccio della sanità campana. Con il passaggio della quota ex partito popolare al PD avvenne il travaso di quel tesoro nell'area bassoliniana. Chi la vittima e chi il carnefice? Difficile dirlo, specie quando la torta è di proporzioni enormi ed attira appetiti di soggetti voraci. Ricordiamo che la giunta Bassolino è andata in crisi per la questione spazzatura, ma che i veri focolai di lotta erano sugli spalti della sanità, nucleo dorato del bilancio regionale. Costretto a furore di popolo all'allontanamento di Montemarano, Antonio Bassolino ha di fatto perso tutta la protezione a destra del suo già sbilenco schieramento. E così, il buon cane (Montemarano) da pastore (De Mita), sentitosi estromesso dal nucleo che conta, ha ben pensato di portare i propri onusti labari al nuovo che arriva, cioè a Caldoro. Con lui tutte le pecore: primari, dirigenti e proprietari di cliniche, dirigenti di strutture sanitarie pubbliche. Un transito impetuoso che visto dal di fuori potrebbe sconvolgere i poveri cittadini, ma, che tenuto conto del lardo che continua a colare dalla brace della sanità, ha precise e sostanziose ragioni di essere.

mercoledì 24 marzo 2010

Compravendita del voto


Quanto vale un voto? E il mercato dove è localizzato? C'è un listino prezzi con varianti legate ai vari momenti della competizione? Da sempre, in questa sfortunatissima città, il voto di alcune decine di migliaia di cittadini è oggetto di libero scambio. Al miglior offerente, potremmo dire o forse al peggiore. E' così da tempo immemorabile. La scarpa destra prima del voto e la sinistra dopo l'elezione fu la geniale trovata del marketing del "comandante" Lauro. I pacchi di pasta, due litri d'olio, il seguito democristiano della stessa trattativa. Sembra la cronaca del dopoguerra con immagini di una popolazione con le tessere annonarie. Quella guerra per una non trascurabile parte di cittadinanza non è mai finita e lo stato di necessità permanente è l'unica certezza di esistenze per il resto assolutamente precarie. A questo target di elettori è facile porre un do ut des. Un giorno o una settimana di viveri o più semplicemente una mangiata, sono argomenti di insostenibile validità. Negli ultimi trentanni le facce degli intermediari sono sempre le stesse: hanno fatto il giro delle chiese DC, PSI, PSDI, Forza Italia, AN, DS, e successori, ma gli esperti del mercato del voto restano quelli. Qualcuno tenta di salvare le forme, in un rigurgito di decoro, con appuntamenti coperti. Altri, più apertamente, ricevono le file di petenti con la mazzetta dei soldi in mano. Quasi a far capire che da quella mano viene il pasto del giorno. E se in tempi di prima repubblica bastavano 50 mila lire, il listino si è ora adeguato all'euro: da 50 a 100 per ciascun voto. E il controllo dell'operazione? Capillare e sicuro; non sfugge un voto a chi opera in un certo settore, altro che sondaggisti a cottimo di questo o quel capobastone. L'operatore di mercato elettorale conosce con certezza matematica chi voterà secondo gli impegni; accettando persino per motivi di opportunità qualche sgarro, fisiologico scostamento rispetto a calcoli precisissimi. Quando finirà tutto questo? Basteranno le indagini severissime che partono in coincidenza di ciascuna tornata elettorale? Potremmo azzardare soltanto che appena finirà la miseria scomparirà anche la necessità di vendersi quel minimo spazio democratico che il voto rappresenta. Lo vedremo mai?

martedì 23 marzo 2010

ma sarà vero?


L'attuale clima politico sembra respirare a pieni polmoni la propria ispirazione dalle atmosfere calcistiche. Allo spettatore/elettore non si richiede di assistere o partecipare ad un evento sportivo. Si pretende piuttosto la sua partecipazione vociante in forma di coro da ultras alle imbeccate del politico di riferimento. Che cosa è rimasto di un messaggio politico forte ed illuminato, ma dai toni pacati, come quello di Enrico Berlinguer? Che fine avrà mai fatto il ragionare di forme di stato e di alternative tra le forze sociali? Finito tutto verosimilmente nel nulla! Le campagne elettorali si fanno per mesi tramite i media, articolando gli interventi medi o forti attraverso figuranti speciali che devono la loro ragione di sopravvivenza a quella funzione esclusiva. Poi negli ultimi giorni, sotto la pressione dei sondaggi pre-elettorali, si armano le piazze. I partecipanti delle adunate sono mille, diecimila, o un milione: poco importa. Quello che serve è il kit del perfetto dimostrante. Sciarpe, fischietto, cappelletto a colore, sciarpa e striscione. L'urlatore sul palco griderà delle frasi concordate e il capo clacque darà il via alle masse urlanti. Via questo, a morte quell'altro, i nemici sono quelli con la faccia squadrata; gli amici hanno le orecchie lunghe. E giù un profluvio di boati, di consenso o di esecrazione. Questa è la faccia della politica degli anni nostri. Non c'è il minimo accenno alla posizione dei problemi, all'individuazione delle esigenze di comunità nazionale o locale. C'è solo lo sberleffo all'antagonista; la promessa di fagliela pagare sempre più cara.

martedì 16 marzo 2010

la parola a chi?


Mi sono posto più volte la domanda a chi sia effettivamente destinato lo spazio "la parola ai lettori" di Repubblica Napoli. L'interrogativo nasce dall'utilizzo della rubrica che in più di una occasione mi è sembrato improprio. Prendo le mosse da quella che è una certezza: la scelta di che cosa pubblicare rientra tra le irrinunciabili prerogative editoriali. Punto e a capo, si potrebbe dire, e discussione conclusa. E invece no. Perché quello spazio viene presentato come la parola ai lettori, un ambito speciale che l'autonoma scelta dell'editore ha riservato espressamente a chi legge e sostiene quella pubblicazione. Che cosa succede nella pratica? Troppo spesso leggiamo lettere che contengono dibattiti con tesi e precisazioni di categorie, consorzi, professionisti, di politici locali e sindacalisti. Cioè di soggetti che hanno la possibilità, oltre che i collegamenti necessari con la redazione, per vedere pubblicati articoli con firma e qualifica in calce. Ma non lettere. E' certamente vero che non tutte le corrispondenze dei lettori assurgano a profili e portata generale. C'è chi si aggrappa alle lettere per dimostrare a se stesso di essere ancora in esistenza; chi racconta la storia minima del cane che sporca la strada; chi sfoga la frustrazione di non essere l'allenatore del Napoli; chi ci ricorda periodicamente di quanti siano i disconosciuti meriti (?) dell'aristocrazia napoletana; chi non ce la fa più alle code degli uffici. Per fortuna non sono tutte di segno minimo. Non di rado vengono affrontati temi e questioni degni di voce e di luce. E così viene riaffermato il diritto di cittadini qualsiasi, senza etichette, nomi composti e carte intestate altisonanti, a dire che ci sono anche loro e che forse anche grazie al loro spontaneo apporto quel giornale, oltre che prosperare, riceve idee e spunti di dibattito non omologato.

martedì 9 marzo 2010

una coppia giovanissima in metrò


Alla stazione di piazza Dante della collinare. Mi siedo di fianco a loro in attesa del treno. Lei 16 anni circa, non bellissima, ma con personalità, seduta in braccio al giovanottello, poco più grande. Non posso non sentire il dialogo, al limite del comprensibile, un misto tra gergo giovanile e espressioni dialettali, forse della zona Marano/Chiaiano. Lui racconta di aver visto qualcuno e lei improvvisamente si irrigidisce, fa la sostenuta. Dopo qualche secondo di tentativi, lui assume arie da uomo tosto, minacciando di andarsene, non prima di averle ricordato le peripezie affrontate in giornata pur di vederla. Lei si scioglie e lo abbraccia. Arriva il treno e ci sono due posti liberi. Uno per me, l'altro per la coppia, sempre lei seduta in braccio al maschietto. E lui racconta della mattinata in ospedale dove, dopo vari tentativi, è riuscito a trovare il reparto che lo interessava. Numero 19 della lista, ha atteso molto, infreddolito, quando lo hanno fatto entrare. E senza altro dire, il medico gli ha intimato di abbassarsi i pantaloni. E lui riferiva del suo imbarazzo.. proprio la davanti a tutti. Riesce finalmente a dire al sanitario del suo problema: un testicolo che presenta un ingrossamento o rigonfiamento anormale. Qui finisce la nostra storia, o meglio la mia. A piazza 4 giornate scendo e lascio i due ragazzini alle prese con i loro problemi e le loro facce perplesse. Ho ripensato al loro modo di fare, alle cose che indebitamente avevo sentito, alla dinamica di quel rapporto. Non diversa da quella dei loro genitori o avi 25/50/70 anni prima. Cambiano le cose esterne, c'è un treno che attraversa la città in minuti, un telefono che ci tiene in contatto con l'esterno. Ma il mondo di quei due ragazzi mi ha fatto tenerezza. Speriamo bene per loro ed anche per il resto della società.

venerdì 5 marzo 2010


Cose che con gli Iphoon album non esisteranno più. Cose degli anni ’80 e di quelli degli anni ’80. Una generazione che, come tante prima e dopo, ha collezionato le figurine. Ma l’unica che può vantarsi di aver desiderato la figurina di Maradona. Perchè era una carta astratta, un mito. La figurina del più grande giocatore di tutti i tempi. Inconfondibile, con quei ricci che coprivano metà dell’inquadratura sopra l’azzurro targato Cirio, Buitoni, Mars. Ma non usciva mai. Pochi sanno che era in edizione limitata. C’è chi l’ha scoperto da poco e chi ancora non ci crede. Per il sospirato rettangolino di colla e carta con l’effigie del Pibe de oro bisognava aspettare, nel migliore dei casi, fine stagione. Tranne qualche raccomandato dalle stelle e dal caso, che riusciva a trovare Dieguito già dai primi giorni, quando passavano davanti scuola i rappresentanti Panini a regalare il raccoglitore e le prime stickers. Per invogliare all’acquisto e creare astinenze, come dei pusher. E si diceva che fosse scientifico che Maradona capitasse in solo una o due bustine sulle mille spettanti ad ogni istituto. Per creare casi di mercato ed aumentare il potere d’acquisto. Per il resto dei mortali, non c’era niente da fare. Non valeva la legge dei grandi numeri: neanche la misura di dieci pacchetti comprati, dopo un investimento di ben duemila lire, poteva garantire la Sua figurina. Al massimo uno scudetto del Napoli, o un doppione di Careca con cui acquisire forza contrattuale al mercatino degli scambi. O, se ti andava di tentare la sorte, ai giochi di abilità. Nella galassia dei banchi di ultima fila erano vari i giochi con cui potevi aumentare il capitale di figurine senza andare in edicola. Anzi, ad un certo punto l’album e il suo completamento non erano più il fine ultimo della collezione. C’era da giocare, e da vincere il titolo della classe come miglior figurinaro dell’anno.
Il re dei giochi era Mignolino. Per giocare "a mignolino", si mettevano sul banco due figurine; chi riusciva, dopo ripetuti urti, a fare girare le due carte contemporaneamente, se le prendeva entrambe. Arbitri e Probi Viri controllavano il corretto svolgimento dell’azione, specie nel suo finale. Quando lo sconfitto tentava di strappare la sua carta ed evitare la perdita con una fuga vergognosa ma redditizia. Tuttavia, il mignolino era una pratica fisica, pressochè sportiva, e, diciamo la verità, cavalleresca. Insieme alla sua versione liofilizzata e spettacolare detta lo “sbattone”, consentiva la vittoria di una sola carta per volta e poteva durare ore. Dunque lo si faceva per pura passione agonistica, era in voga tra gli amanti del bel gesto e del colpo ad effetto.
Per i malati dell’azzardo, le discipline erano altre. C’era “Numero”, una sorta di pari e dispari in cui si sommavano le ultime cifre comparse sul retro delle figurine, dopo preventiva scelta. Anche questo permetteva l'entrata di una sola “figu” alla volta, ma era più veloce. E bisognava coprire le carte, perché gli esperti erano capaci di individuare da un millimetro quadro dell’immagine il giocatore, e quindi il numero di appartenenza. Chi voleva capitalizzare davvero, invece, doveva darsi alla “lettera”. La regola era semplice: si ponevano le figurine in un piccola pila preselezionata, senza possibilità successive di modificarne l’ordine. E si scartavano una per volta, come una roulette russa. Si aggiudicava l'ammontare chi cacciava il nome di un giocatore con la stessa iniziale del precedente. In palio anche dieci figurine a partita, con collassi dello sconfitto e momenti di gloria per il vincitore. Per le sue caratteristiche da bisca, era inviso ai professori e fuori dai regolamenti ufficiali delle federazione T.i.f.o (Torneo interscolastico figurine organizzate). Ma aveva il fascino del brivido, e della clandestinità. Praticato com’era nei bagni all’intervallo, o sullo scalone di scuola all’uscita, fuori dagli sguardi di insegnanti e genitori preoccupati della piega illegale dei piccoli discenti. Resta da dire che era possibile solo all’epoca: quando la Serie A consentiva massimo tre stranieri per squadra, e poche probabilità di imbattersi in giocatori che iniziavano con la K.
Giovanni Chianelli

giovedì 4 marzo 2010

Come affrontare il lutto


Nell'anticamera di uno studio medico di solito la gente è raccolta su se stessa. Pensa ai guai suoi, magari seri. Occasione per scambiarsi brandelli di umanità, una parvenza di sensibilità sociale. Me ne stavo quieto a leggere il mio quotidiano, soffermandomi sull'"amaca" di Serra. Al mio fianco una "sciuretta" che si affannava tra le foto a colori di un giornale di "gossip", molto presa dal dramma di una delle solite "note", straziata dalla dipartita della amata gattina "Fifì". Sono un amico dei gatti, animali che trovo straordinari per indipendenza e personalità. Mi sono anche chiesto che cosa avrei provato se il mio "Zuchino" mi avesse lasciato. Sono quasi certo. Non sarei andato oltre una silenziosa elaborazione del mio lutto. Diversa la reazione della diva coscialunga, che ha versato lacrime davanti ai fotografi. E tutto poteva finire così. Ma la lettrice del sacro testo, alzando gli occhi, mostrandomi l'articolo ha preteso la mia "sympathia" allo strazio della sventurata attrice. Ho laconicamente risposto che in questo momento ci sono molti fatti tragici nel mondo e tanti problemi più seri. Ha incassato, ma dopo un minuto ha rotto il silenzio :"Ma che mi potevo attendere da uno che legge un giornale del genere.. " Subito sostenuta da un signore benpensante : "lasciatelo perdere, farà parte anche lui della cricca al potere". Sono stato bravissimo, mi sono alzato, li ho salutati e ho atteso in piedi il mio turno di visita.