mercoledì 24 marzo 2010

Compravendita del voto


Quanto vale un voto? E il mercato dove è localizzato? C'è un listino prezzi con varianti legate ai vari momenti della competizione? Da sempre, in questa sfortunatissima città, il voto di alcune decine di migliaia di cittadini è oggetto di libero scambio. Al miglior offerente, potremmo dire o forse al peggiore. E' così da tempo immemorabile. La scarpa destra prima del voto e la sinistra dopo l'elezione fu la geniale trovata del marketing del "comandante" Lauro. I pacchi di pasta, due litri d'olio, il seguito democristiano della stessa trattativa. Sembra la cronaca del dopoguerra con immagini di una popolazione con le tessere annonarie. Quella guerra per una non trascurabile parte di cittadinanza non è mai finita e lo stato di necessità permanente è l'unica certezza di esistenze per il resto assolutamente precarie. A questo target di elettori è facile porre un do ut des. Un giorno o una settimana di viveri o più semplicemente una mangiata, sono argomenti di insostenibile validità. Negli ultimi trentanni le facce degli intermediari sono sempre le stesse: hanno fatto il giro delle chiese DC, PSI, PSDI, Forza Italia, AN, DS, e successori, ma gli esperti del mercato del voto restano quelli. Qualcuno tenta di salvare le forme, in un rigurgito di decoro, con appuntamenti coperti. Altri, più apertamente, ricevono le file di petenti con la mazzetta dei soldi in mano. Quasi a far capire che da quella mano viene il pasto del giorno. E se in tempi di prima repubblica bastavano 50 mila lire, il listino si è ora adeguato all'euro: da 50 a 100 per ciascun voto. E il controllo dell'operazione? Capillare e sicuro; non sfugge un voto a chi opera in un certo settore, altro che sondaggisti a cottimo di questo o quel capobastone. L'operatore di mercato elettorale conosce con certezza matematica chi voterà secondo gli impegni; accettando persino per motivi di opportunità qualche sgarro, fisiologico scostamento rispetto a calcoli precisissimi. Quando finirà tutto questo? Basteranno le indagini severissime che partono in coincidenza di ciascuna tornata elettorale? Potremmo azzardare soltanto che appena finirà la miseria scomparirà anche la necessità di vendersi quel minimo spazio democratico che il voto rappresenta. Lo vedremo mai?

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