martedì 26 giugno 2012

matrimoni ed altri misfatti

Come trasformare la giornata pro terremotati in una cagnara. A Bologna, buoni propositi a parte, ci sono riusciti. Raccogliere fondi, oltre 2.5 milioni di euro, a favore delle popolazioni emiliane colpite dal terremoto è ottimo scopo, di alto profilo sociale. 
Per radunare folla e possibili sottoscrittori gli organizzatori  hanno riunito artisti italiani, prevalentemente della zona del sisma, assemblandoli in una seratona televisiva su RAI 1. Presenti più o meno i soliti, Morandi, gli Stadio, la Pausini, Cremonini, Paolo Belli, Nek. 
Capaci nella circostanza di dare il peggio di se stessi. L'acustica infelice? Esibizione senza le band abituali? O forse l'emozione, perché tentavano di ricordare Lucio Dalla? Il caldo, la paura delle scosse? Forse di tutto un po', ma il risultato finale è apparso tragico. Stonature, mancanze di voce, la Pausini a trombetta monocorde, Cremonini in parte fuori tempo, e molto fuori voce e nota, capace addirittura di dimenticare le parole di un testo arcinoto come l"'anno che verrà", Belli quasi afono, Morandi patetico, che non ce la fa più.
Come non immaginare il povero rievocato che tra le nuvole,  sentendo i latrati sottostanti, avrà fatto quella sua faccia da folletto furbo, E avrà commentato a modo suo: ma andate a dar via el ciap, brutti cagnacci!
Certo il carrozzone era montato, Frizzi era caricato a molla,  le madonne pellegrine mobilitate e non si poteva rivedere il tutto. Magari immaginando una formula un po' meno scontata che avesse maggiore rispetto della  tanta buona musica di Dalla. E se non si poteva fare diversamente, era forse il caso di suggerire agli invitati di imparare a memoria almeno una - dico una - canzone di Lucio, senza fidarsi della memoria. Che in alcuni casi fa brutti scherzi. Chi può dimenticare la tragica esibizione  televisiva di Celentano di qualche anno fa, quando ebbero la pessima idea di affidargli una canzone di De Andrè in una serata rievocativa del cantautore genovese. Una pena infinita! 
Molti di questi interpreti, ormai raggiunte ragguardevoli età sempre calcando le scene, dovrebbero riservare l'impegno - se proprio non ne possono fare a meno - allo studio di registrazione. Tra le mura ovattate di quei laboratori di alta tecnologia, tra "trucchi e parrucchi", camuffamenti, campionature e aggiustamenti informatici vengono annullate quasi tutte le "zelle" come diciamo noi a Oxford, dalle parti di Forcella.  E sembrano tutti angeli melodiosi, perfettamente in tono, per la gioia di fan e discografici.
E sempre per la serie "zombie alla riscossa" appena finito il concertone, l'ineffabile "neo parlante" Bruno Vespa ci ha riservato una chicca deliziosa. Era inquadrato in primo piano quel che resta del quasi ottantenne Edoardo Vianello. Una bambola! Rifatto quasi in tutte le parti possibili, con cinque centimetri di cerone e la boccuccia con un rossetto rosa tenue che valorizzava i contorni della bocca. Anche lui tuffato nei ricordi di quando dominava le classifiche estive con quei brani indimenticabili, tipo Abbronzatissima o Con le pinne, fucile ed occhiali. E Vespone nostro a slinguare persino sui ricordi dell'ottuagenario imbalsamato.
Pago il canone, numero di abbonamento ........... e per fortuna sul tardi Rai movie ha proposto un bel film che avevo perso: "Matrimoni ed altri misfatti", film del 2009 di speciale garbo. Dove il paradossale sembra verosimile, grazie alla grazia interpretativa della Buy ed all'efficacia della sceneggiatura. Ero "groggy" alla fine. Soddisfatto però di aver visto almeno una cosa decente.

mercoledì 20 giugno 2012

real politica batte utopia 25 a zero

Giunta municipale di Napoli. Perde pezzi, uno dopo l'altro. E il Sindaco che fa? De Magistris risultò come il più amato dai napoletani e riuscì nella difficilissima impresa di battere le locali agguerrite conventicole di PD e PDL. Applausi, speranze, e qualche atto concreto nell'indicazione di nomi di prestigio a rappresentare l'amministrazione.
Dopo pochi mesi quel progetto sembra definitivamente naufragato sugli scogli aguzzi della politica reale. Che lascia solo i relitti di una fantastica utopia a cui molti avevano dato credito. Avevamo pensato e ci eravamo detti: ma non può essere sempre la stessa solfa.Questa volta  ci sono nomi di giovani, qualificati rappresentanti della società civile e delle professioni. Sarà la svolta!
Macché, siamo punto e daccapo. I nomi di punta se ne vanno, sbattendo  la porta. E rinfacciando al Sindaco di non aver tenuto fede agli impegni assunti al momento della costruzione di quell'equipaggio.
All'inquilino di Palazzo San Giacomo viene addebitata  una azione di governo pavida, insicura, di esclusiva facciata. Negli ultimi tempi, vistosi perso, ha addirittura auspicato che rientrino dalla finestra quei nomi di apparato PD che lui stesso aveva sbattuto fuori dalla porta, accompagnato dai peana e dai pernacchi popolari.
E' l'ennesima sconfitta dell'ideale, alto quanto si vuole, ma pur sempre distante dalle necessità reali e dalle difficoltà che comporta qualsiasi forma di amministrazione. Figurarsi a dover agire in una città disgraziata e priva di decoro civico come Napoli.
Caro Giggino, ci hai fatto fesso pure tu. Manco fossi Schettino, hai condotto in poche ore di navigazione la nave ad adagiarsi su un fianco. 
E pur continuando ad essere convinto che tu sia meglio della tua imbarazzante alternativa proposta dalla destra, devo con tanto rammarico prendere atto ancora una volta che con le parole, gli slogan, i richiami ai valori etici non si va da nessuna parte.
Aspettando il prossimo Masaniello!

giovedì 14 giugno 2012

questa è la fine , signor tassista

 catalanoguido

questa è la fine
strepitosa ragazza
sì, questa è la fine
finalmente questa è la fine
ce la siamo sudata
è stata una lunga, lunga camminata
e così
questa
è
la fine
(tutti insieme: oh yea)
non ti scusare per le cattiverie
spesso le cattiverie sono verità
e la verità è cosa buona, giusta e santa
buona come il pane
non ci si scusa per il pane
e non ci si scusa per la pioggia
non ci si scusa per i baci
non ci si scusa per i meravigliosi gatti
non ci si scusa per il cielo azzurro
non ci si scusa per i tetti
non ci si scusa per gli occhi verdi
non ci si scusa per aver detto a un uomo:
“tu non sei stato il mio più grande amore”
(tutti insieme: oh yea)
questa è la fine
generosa ragazza
sì, questa è la fine
è giunto il tempo di andare
qualcuno gentilmente può chiamarmi un taxi?
e mi porti dove crede signor tassista
guidi piano che soffro
il mal di macchina, intendo
no, signor tassista non sono lacrime queste
è pioggia
sì lo so che non piove signor tassista
non si preoccupi per la mia faccia
lei guidi, guardi avanti e taccia
verso est?
verso est va bene
e se ti chiedo ti tornare indietro non farlo
(tutti insieme: oh yea)

mercoledì 13 giugno 2012

lettera ad un padre

Caro Mimmo,
ti scrivo nella notte tra il 3 e il 4 giugno 2012. Nella notte, cioè, in cui compi cinquantanove anni. Lo faccio perché sono incapace di farti altro regalo che non sia questo. Lo faccio chiamandoti per nome perché non sei solo mio padre, ma anche amico e complice, in questo momento, in questo periodo in cui non ho ancora smesso di esserti solo figlio e però vivo ancora con te e con la mamma. Lo faccio perché sei anche una guida, e arriva sempre il momento in cui il tuo spirito guida ti dice che puoi chiamarlo per nome.
Io so che tu sei Jimi Hendrix. Da piccolo guardavo il quadro del vecchio Jimi nel salone ed ero convinto che fossi tu, che tu fossi negro. Tu da giovane eri così, sempre abbronzato e magrissimo, con quei capelli riccissimi e neri. Sei il rock e il jazz, il blues, tutta la musica che mi hai passato senza spiegare. Tu sei Otis Redding che fischietta quella canzone sul molo. Sei i quadri che hai dipinto e che nessuno conosce perché non ti sei mai spacciato per pittore. Sei tutte le lampade e gli oggetti che hai costruito con le tue mani mentre mi raccontavi le trame dei film di fantascienza. Sei il Boris Vian de La schiuma dei giorni, che forse non hai neppure letto, ma sei proprio tu e vuoi salvare a tutti i costi la povera Chloè. Io ti ho visto rimanere sveglio per due giorni quando non sono stato bene. Ti ho visto rincorrerti e poi smettere per dedicarti alla mamma. Quando racconto di te in giro, quando racconto tutte le cose che so di te e che tu neppure sai, ho di fronte un pubblico in adorazione; perché, papà, la gente pensa che esistano le persone interessanti. Pensano che tu sia un tipo strano, un papà originale, ma non è quello il punto, e ogni volta devo spiegarlo. Se c’è una cosa che ho imparato da te, infatti, è che non esistono le persone interessanti: esistono le persone, punto, quelle vere.
Adesso che ci penso sembra che stia scrivendo da orfano. Ma non è così e tengo a precisare che sei vivo e vegeto, e che ti scrivo pubblicamente, da vivo a vivo, non solo per farti un regalo o, peggio, per un malcelato desiderio di autoviolazione della privacy; ti scrivo in questo modo perché se c’è una cosa che non si fa o si fa in maniera retorica, è ammettere quanto si sia debitori, nel bene e nel male, a un genitore. Potrei dire che i miei maestri si trovano tra i libri e i dischi, tra i filosofi e gli esegeti di questi tempi malaticci; ma io non sarei mai arrivato a quei libri e a quei dischi e a tutto il resto se non fosse stato per te. Soprattutto, tu oggi compi cinquantanove anni e li porti come dovrebbe portarli un uomo della tua età, e sei arrivato a questa età senza nascondere il peso e le amarezze che la contraddisintguono. Non ti sei nascosto, mai, e di questo soprattutto ti sono grato. In te ho visto l’uomo, non il feticcio inesistente che di volta in volta necessitiamo di innalzare a mito o distruggere, secondo la moda del momento. In ogni mossa sei stato tu, non un altro, l’unico Mimmo Montanaro che esiste al mondo. Porti il peso delle tue scelte e delle tue responsabilità come si porta sulle spalle un bambino: nel più naturale dei modi.
Arriva un momento – per me è arrivato molti anni fa – in cui comprendiamo che i nostri genitori sono uomini e donne, prima ancora che padri e madri. Uomini e donne che ci hanno messo al mondo e che con noi hanno imparato un mucchio di cose. Quel momento è molto traumatico e per me lo è stato, in effetti; ma al tempo stesso è stato un passaggio necessario. Così è stato necessario vederti soffrire e gioire, e poi ancora, per comprendere che sei un uomo; e che tipo di uomo sei. Come genitore non mi saresti bastato, in una vita intera non ci si può accontentare di esser solo dei figli per un genitore. E viceversa.
Così c’è stato quel viaggio. Tre anni fa, in questa stessa parte dell’anno. Io dovevo fare una cosa a Roma e l’unico modo che avevo per andarci era andarci in auto con te. Io lo sapevo che non ce l’avrei fatta in altro modo. Te l’ho detto come un gioco, “Andiamo a Roma”, e lo hai saputo anche tu, che era per me che dovevi farlo. Hai guidato tutto il tempo, per una notte e un giorno, e mentre io ero con gli altri tu sei andato a vedere Caravaggio per gli affari tuoi. Ci sei stato senza dire nulla, senza aspettarti nulla in cambio, come ci sei sempre stato non solo come farebbe un padre, ma con qualcosa in più. Questa cosa io spero soprattutto di imparare da te, la disponibilità umana. Che significa fare quel che si può e anche qualcosa in più, e non chiedere nulla in cambio. Non so se ne sono capace, anzi, sembrerebbe di no. Ma ho tempo per migliorare. Intanto non si contano le volte che mi hai raccolto in condizioni pessime, non si contano.
Sopra ogni cosa, però, mi hai insegnato a usare la mia testa. Mi hai insegnato il dubbio che viene dopo l’ascolto, solo dopo l’ascolto. Non mi hai negato nessuna esperienza, però so che non mi avresti perdonato se mi fossi mosso senza usare il mio cervello. A vent’anni, con netto ritardo rispetto a te o alla mamma, mi sono avvicinato alla politica. Avrebbe fatto comodo un figlio che la pensava come te, ma sei allergico al pensiero chiuso in se stesso e anche quando mi sono avvicinato al partito con la falce e il martello mi hai detto: “Ascolta tutti, ma usa la tua testa”. E così è sempre stato anche in seguito, in tutti gli ambienti che ho frequentato o che frequento. Così ho poi fatto anche con te e infatti non andiamo d’accordo quasi su niente, anche se a volte ci contraddiciamo solo perché siamo simili e innamorati allo stesso modo della chiacchiera e dell’esercizio retorico che impedisce di dar ragione agli altri.
Ti scrivo in un anno molto particolare. Mi sono accadute cose molto intense, diciamo così, cose che – pensavo – sarebbero arrivate, come dire, un po’ più dilazionate nel tempo (un po’ prima o un po’ dopo). Cose che ti fanno perdere il controllo, che ti fanno montare la testa o te la fanno perdere del tutto; eppure ritengo di avercela ancora sulle spalle, questa mia benedetta testa, anche un po’ più di prima (buona o cattiva che sia, non ha importanza, è sempre quella). Ecco, se tu ateo non mi avessi insegnato a non essere uno stupido e blasfemo materialista, se tu, a volte raggomitolato tra i tuoi fantasmi, non mi avessi insegnato l’apertura e la curiosità verso gli altri e l’inutilità e la volgarità della prevaricazione e del possesso a tutti i costi, se tu non avessi incoraggiato il mio spirito critico, probabilmente le cose che mi sono accadute mi avrebbero mangiato vivo. Invece mi hanno solo rosicchiato qui e lì. Sono tutto intero, Mimmo. E, a quanto pare, più passa il tempo e più ti assomiglio, anche fisicamente (anche se tu alla mia età i capelli li avevi fin sulla fronte, o almeno così dice la mamma).
Ecco, se io dico queste cose in pubblico, non è solo per vantarmi d’avere un buon padre; ma per dire che persone così esistono. Non si tratta di santi o divinità, ma di uomini, e questo è quanto trovo di buono ancora nell’umanità a trent’anni.
E c’è poi un altro motivo: perdiamo l’abitudine a dire le cose in tempo. Per orgoglio o imbarazzo, manchiamo l’incontro. Ma una cosa che ho imparato a mie spese, e anche, purtroppo, guardando alle tue esperienze, è che le persone ci sono quando e finché ci sono; dopo è troppo tardi, perché vanno via (e ne hanno tutto il diritto) o muoiono o che so io. E allora certe cose bisogna dirle in tempo. Non c’è altra scelta, e fanculo a cci ni voli male.
A proposito: quando le cose non vanno tanto bene, prendo a canticchiare (tu dici che non lo faccio mai, ma non è vero) quella canzone di Cat Stevens che spesso tu hai cantato a me. E allora per farti un piccolo sgarbo (è il massimo dello sgarbo che posso permettermi a quest’età) la metto qui nella versione di Johnny Cash, artista che tu non hai mai amato particolarmente – e questa è l’unica cosa che non ti perdono, ma fai ancora in tempo a recuperare, i dischi li ho tutti.
Auguri, papà. Cinquantanove non sono pochi e non sono molti. Non ci crederai ma anch’io un tempo ero come te, e so che non è facile, sei ancora giovane, e questa è la tua unica colpa…
Come continua?

lunedì 4 giugno 2012

se scelgo il silenzio..

In questo Paese, per la causa della libertà di opinione o forse anche parzialmente a ragione di essa, c'è stata una guerra civile. Di cui più passa il tempo e minori sono le possibilità di ottenere informazioni effettive. Cioè che non siano il frutto della violenza dei vincitori o del vittimismo dei perdenti. I quali ultimi, sotto spoglie svariate, sono da tempo riemersi a far capire che potrebbero pure aver perso una battaglia, ma la guerra vera è ancora in corso e le truppe della loro crociata non hanno mai smesso di pugnare.
Per uscire dal cul de sac, accettiamo una specie di dogma: la libertà di opinione esiste in Italia.
Qualche esempio apparente potrebbe ricavarsi dai social network e dai blog. Io mi faccio il mio blog e scrivo un diario interattivo, concetto ad onor del vero un po' antitetico, ma che dovrebbe riflettere il mio pensiero ovvero il maldipancia del momento. Il sistema è così concepito e i mugugni rispetto alle tante castronerie che viaggiono per il web sono malposti. Questa è  la nuova realtà virtuale alla quale "bongrè malgrè" dobbiamo adattarci.
Personalmente ho aderito da qualche anno alla soluzione blog e mi presento ai miei improbabili lettori come etrusco. Nel frattempo ho ceduto anche alla voglia facebook, inserendomi in siti dove in prevalenza ci sono giovani "postatori".
Che in qualche caso dicono fesserie a iosa, senza il minimo controllo neppure della logica delle esternazioni. Credo sia profondamente giusto. Avere poco più di venti anni e rimasticare pochi elementi cognitivi digeriti in famiglia oppure sproloquiare per slogan è un diritto! Il fatto stesso di rendere per iscritto un'elaborazione mentale porta avanti con il lavoro. Che, ahiloro, si completerà con il passare degli anni e la constatazione che molti degli argomenti di tradizione familiare si sono dimostrati superati dai tempi ovvero in contrasto con la realtà percepita. E che tante delle avventate frasi della gioventù assumeranno addirittura un sapore beffardo, se confrontate con un'onesta analisi delle vicende della propria vita.
A questi giovani l'augurio di poter sempre continuare ad esprimersi secondo coscienza. Anche quella che nel tempo matureranno e che potrà porsi in antitesi completa con gli odierni ardori.
Diventa invece assai difficile accettare le parole di soggetti di età avanzata che, ancora oggi, a distanza di sessantasette anni dalla fine della guerra, continuano a parlare come se stessimo affrontando il referendum costituzionale sulla forma della nazione ovvero stessimo vivendo il clima di frontismo degli anni '50.
E' passato il tempo anche per loro? Hanno vissuto o si sono fatti ibernare nel frattempo? Solo una possibilità del genere rende plausibili le loro "intemerate" populiste ovvero parole che sono soltanto susseguirsi di slogan in voga nell'immediato dopoguerra. Che cosa hanno fatto questi signori nel frattempo? Hanno partecipato alla lotta in prima persona pagando tutti i prezzi che l'esposizione comporta? Oppure si sono semplicemente ritagliati il ruolo di grilli parlanti con riserva di ogni forma di censura?
E ancora: snocciolare "pronunciamenti" senza un filo logico, privi di una proposta concretamente adattabile alle necessità del momento, è operazione di intelligenza politica?
Io credo proprio di no. Ed è ancora più amaro prendere atto di fenomeni del genere se provengono da soggetti in teoria capaci e qualificati. Occasioni perse per i contesti di riferimento e persino umana delusione: fare i conti con se stessi è sempre l'esame più difficile.