mercoledì 27 gennaio 2010

a bellezza 'e Napule era o core


Provate a parlare fuori di Napoli chiedendo quali siano i connotati principali del carattere dei cittadini partenopei. Nonostante le imponenti campagne leghiste, restano duri a morire i luoghi comuni di sempre: inventiva, generosità, amore per la musica. Si, in sostanza sentirete ripetere richiami del genere, con varianti che rievocano la superstizione, il senso della famiglia e poco altro ancora. Un ritratto dai colori vivi, di confortante rilievo rispetto a molti possibili paragoni. Entrando qualche millimetro nel merito, emergono realtà dissonanti, tali da richiedere una revisione sui giudizi di massima. Poche sere fa un canale televisivo dava uno spaccato del difficile mondo della sanità campana occupandosi del trapianto di fegato. Al Cardarelli, principale polo ospedaliero del mezzogiorno, esistono due unità dedicate ai trapianti epatici, uno che fa capo al prof. Calise, l'altro al dott. Oreste Cuomo. Due strutture che coesistono sullo stesso piano dell'ospedale napoletano. Già sorge spontanea la domanda sulla necessità di due unità con identica specialità. Potremmo così essere indotti a pensare che i casi da trattare siano tanti da esigere uno sdoppiamento di presidi. Il prof. Calise smentisce questa illazione: in 16 anni di operatività delle divisioni sono stati eseguiti circa 500 trapianti. Poco più di trenta interventi all'anno. Nonostante questi numeri così risicati, due primari con connessi aiuti, assistenti, personale paramedico. Una pletora di dipendenti sulla cui attività giornaliera è lecito porsi più di una domanda. Ma questa è un'altra storia. Quello che si collega alle riflessioni iniziali è una conseguenza delle parole del primario: "In una zona dove le epatiti B e C hanno carattere endemico, abbiamo pochissimi donatori di fegato perché manca la cultura della donazione di organi. Al punto che il 15% dei pazienti in lista di attesa ogni anno muore. Moltissimi trapiantandi si recano nelle altre regioni dove è diverso lo spirito di solidarietà per chi soffre. In Emilia ogni anno vengono trapiantati 500 fegati." Ma la ricchezza di Napoli non era il cuore, come dice la canzone? Un passo indietro: è nozione comune che la maggior quantità di organi da trapiantare proviene dai tragici epiloghi di incidenti automobilistici con vittime giovanissime. Già, perché gli organi utilizzabili debbono essere nel loro pieno vigore. Certo è difficilissimo andare da un padre, da una madre o da altro parente straziato da quanto è successo a chiedere l'autorizzazione all'espianto. Dovrebbe far parte di un senso di umanità da diffondere con ogni mezzo attraverso campagne di opinione non routinarie, fino ad entrare nlla coscienza collettiva. Ad affiancare l'azione pubblica dovrebbero impegnarsi tutti quelli che hanno possibilità di incidere sulle decisioni altrui. Per affermare la nobiltà e l'alto seso civico di un gesto del genere. Parlo di preti, psicologi, vertici di comunità comunque strutturate che possano parlare alle menti di molti.

martedì 26 gennaio 2010

l'ultimo, chiuda la porta


Il sindaco di Bologna ha dato le dimissioni. Travolto dalle feroci polemiche ben orchestrate dalla stampa nemica, Flavio Delbono ha lasciato la carica di primo cittadino della città emiliana, con una dichiarazione che, almeno questa, gli fa onore: "Lascio nell'interesse della città". Siano state le insistenze del suo partito, il PD, o quelle del suo sponsor personale, Prodi, alla fine Delbono ha fatto la cosa giusta; di fronte alle accuse di distrazione di denaro pubblico in favore di una sua ex segretaria ed amante, ha avuto un rigurgito di dignità. Ricordandosi pure che la città che lo ha liberamente eletto si sarebbe sentita tradita da una sua permanenza al timone dell'amministrazione comunale. Non ha preteso di invocare il voto popolare quale legittimazione a distrarre l'erario per sue personalissime passioni. Vengono in mente certe affermazioni di altri sedicenti politici che vanno in direzione decisamente contraria. Non è una colpa quella di essere uomini. Lo è invece voler usare ogni forma di arroganza per giustificare le proprie umane fragilità. Entrando un minimo nei dettagli, forse addirittura nel gossip, Delbono aveva dato il benservito a questa fiamma ormai spenta compiendo una serie di nefandezze. Dapprima il trasferimento della dama in una struttura regionale, poi la disattivazione del bancomat per i prelievi sui conti pubblici, senza aver, come afferma la signora, nemmeno il coraggio di avvisarla. Ma, lei, la Cinzia, che verosimilmente avrà avuto il disinteressato appoggio dei nemici politici del Sindaco, dichiara di non odiarlo e di aver ricevuto la solidarietà di molte altre donne che la avrebbero spinta a tener duro. E, afferma ancora," lo dovevo anche a mia figlia. deve imparare a non farsi stritolare da chi è più forte". Chissà dove erano tutti questi profili di eticità quando la medesima signora faceva prelievi sui conti pubblici, usando il bancomat in modo assai disinvolto. Pensare che un Sindaco si debba dimettere per vicende del genere getta un'ombra inquietante sui criteri di selezione dei politici nostrani. Alla fine, tenuto conto del fango che è emerso in questi giorni, penso che Delbono e la signora fossero una gran bella coppia e ben assortita. E che potevano puntare molto più in alto, se solo fossero stati un po' meno distratti.

mercoledì 20 gennaio 2010

verdadera difficuldad


Qualsiasi ruolo della vità è complesso, pieno di aspetti critici e di interrogativi dalle risposte disagevoli. Cercare di fare il padre, il genitore, rientra tra i ruoli difficili, da sempre. La natura non "fa salti" e nemmeno i più accaniti denigratori dell'entità familiare possono immaginare esistenze umane che prescindano dai nuclei d'origine. E se è altrettanto vero che l'evoluzione della civiltà umana deve molto alla negazione della cultura dei padri, mettere insieme rispetto delle tradizioni, istintività dei rapporti parentali, necessità del divenire autonomo dei figli è un puzzle di tutto rispetto. Quanto alle esperienze concrete, personalmente mi rifaccio a quel poco o tanto che so dei miei rapporti coi figli. Apparentemente rapporti sani e funzionanti; diversi, stante la profonda diversità che esiste tra Ester e Giovanni. Con periodi di inevitabile criticità, forse perché non viviamo insieme e perché esiste un fattore madre che non riesco in alcun modo a ponderare. A turno, i ragazzi o la madre, tentano di coinvolgermi anche nelle loro schermaglie. In questi casi mi sembra saggio, oltre che funzionale alla serenità di tutti, tenermi fuori dalla bega spicciola. Ricordo ai ragazzi i loro obblighi di figli che vivono con uno dei genitori, anche in relazione alle età della madre che, per quanto giovanile, incomincia ad avere i segni mentali del tempo che passa. Alla madre ricordo le difficoltà dei due figli, del momento complessivamente difficile, delle loro fragilità connesse a personalità che si possono definire da adulti per alcuni aspetti e da ragazzi per altri. Figli di borghesi, con sistemi protettivi sempre in allarme e mai resi responsabili davvero delle loro vite. Ma detto questo, la cosa che mi ferisce di più è l'accusa, pure formulata in alcuni casi, di egoismo. Per fortuna non riguarda solo me, perché la stessa colpa viene addebitata alla madre. Viva l'Egoismo, dico io, sottolineando la fortuna che ognuno di noi ne abbia la sua quota. Altrimenti gli altri ci dilanierebbeo senza pietà, specie quegli altri nei confronti dei quali nutriamo sentimenti amorosi. Io rifletto sul mio, con la lucidità che l'asperità dell'argomento mi consente. Non credo di avere negato ai miei figli attenzioni, cure, sacrifici materiali. Ritengo di avere orientato le mie scelte personali in relazione agli interessi dei ragazzi. Che poi queste scelte si siano rivelate indovinate ed appropriate mi regala grande soddisfazione. Mi faccio piuttosto altre colpe, quali quella di non essere sempre stato particolarmente lucido, di aver pagato un tributo sin troppo alto alla mia emotività. Ma come si fa ad essere assolutamente distaccati? Sempre dal lato giusto del problema e con la misura di intervento necessaria? Beato chi ci riesce. Io mi sono accettato per quello che sono; e forse è proprio questo il punto di divaricazione. I figli, per la loro età e la loro ridotta esperienza di vita non riescono ancora ad avere un aspetto esterno di se stessi. Vivono ancora nelle loro idee, nei progetti in cui si identificano. Senza tener conto dei limiti personali e dei condizionamenti che la vita impone a ciascuno di noi. Pronti ad individuare in modo feroce le lacune, le debolezze dei padri. Per le loro ci vorrà tempo, se vorranno conoscerle davero.

lunedì 11 gennaio 2010

un riccio snello ed elegante


Muriel Burbery, la fortunata autrice del best seller "L'eleganza del riccio" ha fortemente criticato la versione cinematografica della regista Mona Achache in uscita nelle sale di tutto il mondo. In sostanza ha rinnegato quel prodotto, giudicandolo estraneo allo spirito del libro. Spero non si tratti di misere questioni commerciali, visto che la signora ha guadagnato un botto con la vendita del libro. Forse si tratta di altro. Una specie di sindrome della suocera, nel vedere che il proprio figliolo appena maritato si trova assai bene nella nuova casa in un contesto diverso da quello familiare. Il film, infatti, scorre veloce ed attrae il pubblico per il taglio ironico, superando così le pur sontuose pagine del libro. Che, ricordiamolo, ha provocato più di un abbandono di lettori un po' intimiditi dagli eccessi di cerebralismo del diario della giovanissima Paloma. Certo, alla fine si entra nel personaggio della ragazzina ed anche quei passaggi involuti costruiscono il carattere della giovane. Nel film il diario è abbandonato con l'adozione di una videocamera, strumento che permette di sveltire la narrazione, pur lasciando, a mio avviso inalterato il sapore del messaggio che la piccola aspirante suicida intende diffondere. Ambienti ricostruiti nel pieno rispetto del testo, dialoghi ben centrati sui concetti di fondo; interpreti scelti con straordinaria maestria. Su tutti la Balasko, che fa vivere il personaggio della portiera con lucida partecipazione. Alla stessa altezza la piccola che interpreta Paloma, luciferina nella determinazione e nella ferocia della sua critica al mondo fasullo che la circonda. Di speciale impatto la colonna sonora, sulle note di temi americani anni 40'. Un bel film, a mio parere, che meriterebbe un passaparola del genere che ha consentito la eccezionale diffusione del libro.

giovedì 7 gennaio 2010

amori virtuali


Un amico mi decanta i pregi dell'amore virtuale. Di quello fatto attraverso webcams con interlocutrici lontane migliaia di chilometri. Ho espresso il mio scetticismo, ma non posso fare a meno di svolgere qualche considerazione. Il soggetto in questione, come verosimilmente molti altri coinvolti nelle medesime questioni, attraversa una fase di solitudine personale che gli fa preferire al poco attraente contesto che lo circonda uno slancio telematico con fascinose signore. Le foto testimoniano leggiadrie passate e presenti; si aggiunga al già accattivante quadro estetico uno spaccato di vite avventurose, magari connotate da eventi forti. Questi i fatti, segnati da ore di contatti via web, fusi orari e relativi sballi, permettendo. Mi chiedo se questa fuga dalla realtà non nasconda angosce più profonde. Ma mi fermo per non fare della psicologia di bassa lega, senza averne il diritto e la competenza. Se il fenomeno, cui si collega quello del ricorso crescente ai social networks, esiste, non saranno certo i miei dubbi ad indebolirlo. Si può tentare, al più, di chiedersi il perché di questa crescente necessità di isolarsi e di rifiutare i contatti con il resto del mondo reale e cercarli in un mondo fatto di immagini. Perché c'è sempre più gente incazzata con il mondo, ma più probabilmente con se stessi? E' così difficile fare pace con il proprio io? E' così impossibile ristabilire il contatto con l'essenza di noi ed acquietarsi alla semplice considerazione che ciascuno di noi potrebbe volersi più bene? Magari proprio incominciando a rispettare un poco di più gli altri. Presentandosi agli occhi del mondo con un grugno meno violento ed aggressivo. Accettare le proprie incapacità e le vere capacità degli altri senza soffrirne, disinnescare la molla dell'invidia e della gelosia attraverso il ragionamento, la ponderazione del bene e del male presente in tutti. Sto tentando di fare il filosofo e me ne mancano le basi culturali, pure credo di essere spinto dalla buona volontà e non dall'ego ipertrofico. Posso soltanto dire, a rischio di essere considerato più fesso di quanto sia, che mi considero abbastanza soddisfatto della mia vita, dei miei affetti e che pure i miei limiti mi sembrano accettabili. Per ora è così.