lunedì 23 giugno 2014

sindrome da cappellaio matto

Nel secolo scorso era assai diffusa una malattia professionale, la sindrome del cappellaio. Si caratterizzava attraverso il cd eretismo mercuriale. Un morbo che colpiva chi era costretto a maneggiare frequentemente il mercurio. Erano proprio i poveri cappellai che, per procedere alla "feltratura" dei copricapi in produzione, venivano colti dagli attacchi di eretismo. Una specie di eccitazione incontrollabile, indotta dall'uso del minerale, che privava il soggetto della capacità di padroneggiarsi e di dare senso compiuto alle parole. Deve essersi riaperta la stagione dei feltri, altrimenti è difficile spiegarsi come, in contemporanea, tanti soggetti diversi abbiano smarrito il significato dei discorsi  pubblici con i quali intrattenevano l'uditorio. In una settimana almeno tre i cappellai matti scoperti con i "conigli" fra le tese.
Ha principiato il ministro "a sua insaputa" degli interni Alfano. Definendo assassino un soggetto indagato ed individuato attraverso la "diabolica probatio" del test del DNA, effettuato su appena 18 mila persone legate ad un certo territorio.
Non si erano ancora spenti gli echi e le polemiche di quel "libero sproloquio" che, senza soluzione di continuità, replica un signore che di mestiere fa il prefetto, a Perugia. E che invece di misurare con estremo rispetto e circospezione le parole si lascia andare ad altri moti intestinali sfuggiti per bocca. E in una parlata dialettale che forse potrebbe permettersi con amici e parenti invita le madri di figli tossicodipendenti a suicidarsi. Badate bene, non parlava al bar del paese con gli amici della bocciofila. Era in una riunione con i crismi della  ufficialità, davanti ad un pubblico di esperti e non che forse dalle sue parole si sarebbe atteso un sia pure minimo tentativo di analisi sociologica sul terribile fenomeno della tossicodipendenza in relazione all'ordine pubblico.
Ultimo ma non minore, un parroco della provincia di Novara che parlando dal pulpito ai suoi fedeli ha equiparato le coppie di conviventi che "vivono al di fuori dei sacramenti" a chi si macchia di omicidio.
Ho ragione allora io quando parlo di eretismo mercuriale. Se tre soggetti ai quali, per motivi diversi, viene consentito di esternare in pubblico non riescono a rendersi conto della propria funzione e di quello che dicono, ci sarà un virus o una malattia contagiosa che incide sulle rispettive capacità mentali.
Almeno i cappellai facevano dei feltri di qualità. Questi scoreggiano oralmente e a noi arriva tutto il puzzo di questi malesseri intestinali. Ma, lo dico da profano, non sarebbe il caso di consigliare una cura di byfidus che regolarizzi le funzioni digestive?

venerdì 20 giugno 2014

Grancasse di regime

Un suono assordante di grancasse accompagna la svolta nelle indagini sulla morte della povera Yara Gambirasio,  la giovanissima di Brembate assasinata nel 2010. Un coro a più voci composto da questori, comandanti di gruppi operativi di carabinieri e polizia, esponenti del governo.
La notizia dell'individuazione del presunto colpevole del reato è diventata motivo di convinta autocelebrazione per tutti gli investigatori. Che non hanno mancato di occupare tutte le arene televisive per ricostruire gli sviluppi dell'inchiesta e menare vanto di questo arresto.
Il ministro degli Interni si è lasciato andare oltre: ha parlato dell'indagato Bossetti come di un assassino, un mostro da sbattere in prima serata ed in prima pagina.
La prudenza avrebbe dovuto invece fortemente ispirare tutti gli incauti esternatori. Di fronte ad una vicenda intricatissima, dove soltanto la scienza si è impegnata ad integrare il carente quadro probatorio raccolto dalle autorità di PS, ricostruendo il quadro genetico della popolazione di un intero paese.
Ancora nella mente e nel ricordo i tanti casi di cronaca che sembravano risolti attraverso il ricorso alla ricostruzione del DNA: via Poma, il delitto dell'Olgiata, addirittura il caso degli anni del fascismo di Girolimoni. Tutti flop clamorosi che hanno prodotto comunque danni tra i soggetti indagati, spinti in alcuni casi al suicidio, come il povero portiere di via Poma, Pierino Vanacore.
Ma evidentemente questi precedenti gravissimi non sono bastati a suggerire la necessaria ed indispensabile cautela ad autorità  che,  in ragione della pubblica funzione svolta, dovrebbero esercitarla in modo scrupoloso.
In questa vicenda sono stati rimestati fatti personali che dovrebbero essere trattati con estrema delicatezza, destinati a sconvolgere la vita di tante persone. C'è addirittura una donna anziana che viene costretta a difendersi da una ipotesi  di adulterio di circa tanti anni addietro.
Ed una simile  apparente spregiudicatezza da parte degli inquirenti viene quasi promossa e sostenuta dal momento politico. La pax renziana e le virtù taumaturgiche che l'attuale leader si attribuisce consentono pure questi pesanti strappi alle regole della presunzione di innocenza che, fino a che non sarà cancellata dal nuovo che avanza, rappresenta un baluardo di legalità all'interno di un'indagine penale.
Ma il momento è propizio. E l'ebetino sa di dover sfruttare ogni occasione per gettare ulteriore fumo negli occhi ai poveri italiani già tanto stomacati dalle continue malefatte. Da quelle apparenti a quelle più nascoste e silenziose. Ma siccome il capo del governo ha il consenso dell'ex cavaliere per le riforme e contemporaneamente SEL si sta sgretolando con migrazione dei suoi esponenti sul carro dei vincitori, chi vorrete che possa obiettare alcunché? 


  
































mercoledì 18 giugno 2014

Penna e disnvoltura


Talvolta  mi capita di dire che ho  un blog? A parte qualcuno che mi guarda preoccupato pensando ad una malattia contagiosa, a questa mia affermazione sorgono commenti disparati." E che cosa scrivi di bello"? Uno dei commenti, con un sottofondo di stupore scettico, da parte di chi mi considera poco più che una specie di ameba e perciò incapace di avere riflessioni, per di più scritte. Oppure, "bravo si, tu sei stato sempre disinvolto con la penna". E questa definizione meriterebbe approfondimento, vista l'indeterminatezza della mia "disinvoltura". Potrebbe essere un accenno velato al mio coraggio nell'affrontare l'impegno della scrittura ovvero un apprezzamento ad una certa disposizione mentale prima e espressiva poi.
Ancora una volta non esco dai mie dubbi. Ma rivelo a chi lo volesse sapere che poche cose mi danno soddisfazione più della mia "terra etrusca". Che, come dice il figlio, massimo detrattore - come è giusto che sia -, dovrei infiorettare solo  di amene e leggere considerazioni, risultandogli molto meno graditi certi tentativi che io intenderei di diverso spessore.
La mia reazione sfanculistica al pargolo è immediata e così siamo a posto. Io continuo a scrivere "lo que quiero" - per  i non ispanici, quello che voglio - e lui proseguirà nell'opera diuturna di stroncare certi post.
Ricevo anche commenti di amici affettuosi che, attenti alle variazioni di umore che trapelano dalle righe, mi incitano a non mollare e magari a dare una forma più sistematica alla mia smania letteraria.
Alla fine cederò. Volete che resti uno dei pochissimi italiani a non aver scritto un libro in vita sua? Specie poi con le varie sponde familiari di cui posso disporre:  una moglie che lavora in una casa editrice ed un figlio che di mestiere fa il "ghost writer"?
Cederò prima o poi e così alcuni pazienti e preziosi lettori avranno in casa un  oggetto in forma di libro da usare in modo vario: sostegno per altri libri utili, rialzo per accrescere un livello, ferma carte o ferma porte, poggia pentole o sotto padella.
Prometto - o forse minaccio - che appena pronta l'opera parteciperò la novella attraverso queste righe etrusche.  Intanto, per chi volesse leggere un libro interessante che mi è capitato tra le mani, segnalo quello indicato nell'immagine. Narrativa femminile, con qualche passaggio un po' .. più acceso e tanti spunti di interesse, specie negli ottimi dialoghi. Stateve bbuono!

giovedì 12 giugno 2014

Divieto di calcio e gastronomia

Credo abbia ragione Alessandro Bergonzoni quando invoca l'esilio e l'estradizione per cuochi e calciatori. Chiede almeno undici anni di interdizione, con divieto assoluto di trasmettere calcio e gastronomia in televisione. Non so perché proprio undici anni, ma se ci pensate bene, eliminando dai principali palinsesti questi due spolpatissimi temi resta poco. 
Giusto quelle facce di sedicenti politici che si parlano addosso in una pantomima litigiosa gridando all'inciviltà dell'altro che non consente di terminare un fondamentale concetto. Ma quale concetto? Nella maggior parte dei casi si tratta di argomenti così stentati e mal esposti che sarebbe meglio un obbligo generale di silenzio.
Ma mi direte, così finisci per eliminare la democrazia. Rispondetemi voi: conoscete per caso la democrazia? Percorrendo i miei sessantasei anni e passa non ne ho vista traccia. Gli ambienti che ho frequentato, tutti e senza eccezioni,  mi hanno sempre più confermato che in ogni ambito c'è un gruppo di potere che impone le regole agli altri. Non mi ricordo di casi applicati di reale democrazia, di volontà generale che diventa norma per dare forza effettiva al patto sociale. 
Ieri notte ho preso la pessima decisione di assistere ad una finta gara sportiva. Il nome del vincitore era già scritto da tempo. Con tutti gli ingredienti per preparare il manicaretto. Compreso l'arbitro che era in quel posto soltanto per dare esecuzione agli ordini di scuderia che imponevano un certo copione. Il Brasile doveva vincere ad ogni costo la partita inaugurale del mondiale contro la povera Croazia. E forse la real politik imporrà la vittoria finale della squadra sudamericana, a prescindere dal merito effettivo. Per ragioni di politica interna di quel Paese, per la pace sociale, per evitare altri disordini, perché  non si può fare altro che rispettare gli equilibri dei vertici del calcio mondiale.
E il nostro baraccone nazionale tutto montato per dare spazio a questa enorme messinscena. Inviati speciali, ospiti con l'occhio spento, opinionisti del niente. Da quest'anno persino un contro canto fatto direttamente dalla RAI. Il povero Max Giusti chiamato a friggere con l'acqua in una mortificante esibizione di nullità assoluta.
Molto meglio il mio sport da dilettante, i miei sfoghi talvolta inopportuni con il compagno di doppio che puntualmente mi sfancula. Siamo dei signori anziani che, con la scusa della linea e del fatto che fa bene alla salute, ci aiutiamo l'un l'altro,  senza saperlo, a tirare avanti.
A non mollare ed a scansare l'altro incubo dominante che impone magnate ed abbuffate  a tutti i costi di cibi sempre più strani ed elaborati. 
Con gare e confronti tra chef e finti chef per creare il piatto perfetto. Uomini e donne di tutti i tipi, di ogni età e condizione mentale, si sfidano davanti alle telecamere, confinati nelle angustie di un segnatempo che impone di completare il manicaretto entro un certo termine.
Il contrario della vera cucina, piacere per raffinati che dedicano alla stessa il tempo necessario. Molto o poco, a seconda dei casi, ma senza rompiballe che ti cronometrino il tempo necessario.

lunedì 9 giugno 2014

mutanda vo' cercando..

Tra le molte stramberie mentali che contraddistinguono il vostro etrusco sta prendendo un posto di rilievo la passione da "pannacciaro". E' un termine dialettale lucano che sta per mercante di cose quasi inutili, del genere "bric a brac". In origini questi mercanti itineranti scambiavano le loro cianfrusaglie con "panni", intendendo per tali oggetti usati come vestiti, lenzuoli, pezzi di corredo non utilizzati. Giravano casa per casa in un'atmosfera che richiama all'immaginazione la canzone napoletana "e spingule francese". Infatti non era raro che il pannacciaro, fattosi troppo audace al cospetto di donne  di casa procaci, beccasse una sonora mazziata dai maschi indispettiti o anche dalle stesse maldisposte donzelle importunate.
Il vostro etrusco chiamato dal destino al ruolo di solitario sgomberatore di un paio di case di famiglia dalle moltitudini di cose che le riempivano, si è inventato l'ennesimo mestiere. La prima volta a  novembre scorso, la seconda, recentissima dal 6 all'8 giugno. Il sito, sempre lo stesso, area fieristica di Tito Scalo, provincia di Potenza che ospita il mercatino dell'usato Bidonville. Variabile  lo staff di collaboratori. Nell'ultima occasione, a sostituire la moglie alle prese con cure familiari, c'erano figlio e nipote Roberto. Due simpatici sfasolati che sarebbe azzardato definire venditori, impegnati piuttosto a non perdere le mosse di ipotetiche belle signorine, materiale del tutto sconosciuto tra i frequentatori del mercatino lucano. Così i due bellimbusti si sono riconvertiti al ruolo di assaggiatori di prodotti tipici della gastronomia locale, con soddisfazione massima dei venditori di salumi e mozzarelle, focacce di casa e varie.
Con noi c'era Lorenzo, detto Settina, impareggiabile figura di amico, veterano dell'evento in quanto già coinvolto in occasione del debutto. Questo quartetto di sciamannati ha venduto assai poco, ma ci siamo fatti sonore risate per commenti sui vari personaggi presenti. Prima fra tutti una nostra vicina, la zia Pina, che con la sua incomprensibile parlata ci intratteneva in godibili intermezzi. Pare che nella sua terra natia, S. Antonio Abate, si parli così, genere didascalia o codice fiscale. Però dovevano avvisarci e ci saremmo portati un simultaneista. Si, all'inizio eravamo contenti di capire anche solo il 5 per cento di quanto diceva. Successivamente, diventati più intimi della signora, ma senza esagerare, siamo entrati anche nell'onda sonora del suo lessico, con il risultato di riuscire persino ad afferrare l'intero discorso. Di fianco un antiquario di Francavilla Fontana, subito  amico, che ci siamo portati anche a cena, sottraendolo all'orribile trattamento dell'albergo convenzionato con Bidonville. Sul posto mio figlio Giovanni ha anche incontrato un vecchio amico che con la sua simpaticissima mamma aveva un banchetto di cose belle. A riempire le nostre ore vuote una deliziosa fanciulla di 4 anni, Eliana. Impareggiabile  quanto a grazia e tenerezza, con unico neo quello di dimostrare eccessivo slancio per Giovanni al quale ha fatto anche una scenata di gelosia.  Tornare contenti, non avendo  recuperato nemmeno le spese, la dice lunga sull'idoneità del gruppo rispetto all'attività. Dimenticavo, la maggior parte del lungo tempo di inattività, dovuto anche alla scarsezza di pubblico e'

stato destinato all'affannosa ricerca di sei, dico sei, mutande acquistate per le intimità di padre e figlio e mai più ritrovate. Se qualcuno avesse trovato i sei boxer comprati  e smarriti ci dia un segnale, siamo disposti a pagare persino un riscatto!

mercoledì 4 giugno 2014

vado a cacà, di renza

Crescevo a Napoli verso la fine degli anni '50. Famiglia di origini calabro/argentina - lucana. Il lessico familiare era una arzigogolata composizione di tanti suoni e delle loro distorsioni. I contatti con i compagni di scuola mi parvero da incubo. Loro dialogavano in napoletano stretto, idioma a me sostanzialmente sconosciuto. Ma che mi attirava per le sonorità accattivanti e per le immagini che sembravano saltare fuori dalle parole. 
Poi pensavo che da quel momento in poi quel simpatico frastuono sarebbe stata la colonna sonora delle mie giornate e ad ogni parola nuova o sconosciuta sentivo crescente il senso di inadeguatezza. Che tale rimase fino agli anni del liceo. In quel periodo si stavano per aprire le porte della conoscenza, attraverso un nuovo compagno, diventato presto amico. Dividemmo i tre anni di liceo classico e le fatiche della maturità. Periodo di impegno concreto, con un esame sullo sfondo che era la prima vera prova di una vita trascorsa fino a quel momento senza ostacoli. 
La famiglia del mio amico era da tempo impegnata nella panificazione, attività che a me sembra meravigliosa e piena di spunti magici. Ma la caratteristica più rilevante del gruppo era quella di parlare in napoletano vero. Si, quello con tutti gli spagnolismi e le espressioni idiomatiche di chi viene da lontano nella parlata. Non certo quella specie di esperanto bastardo che sentivo tutti i giorni, mosaico imperfetto ed abborracciato di tanti altri dialetti e del tentativo di italianizzare il vernacolo.
No, loro parlavano con naturalezza in una splendida lingua piena di termini che avevano un senso e creavano suggestioni intense. In quella casa ho sentito per la prima volta definire un uomo basso "nu muzzone 'e sicario"; o la mitica "arrasso sia", formula esoterica per allontanare dai presenti un male appena evocato; imparai la misteriosa "uosemo", che sta per fiuto; mi addentrai tra le impervie direzioni di "alliffato",  per persona lisciata e pulita o di "strafalario", il perditempo inutile che sosta all'angolo del portone o del bar. Ebbi altre rivelazioni, come "scurriato", che è la frusta, l"abbusco" che è la mancia a chi svolge piccoli servizi, scoprii che cosa volesse dire "ammarrare", cioè chiudere, serrare e l'importanza, specie nei giorni di festa, delle "sciosciole", la frutta secca delle grandi occasioni.
Quei maestri così gradevoli non ci sono più. Forse meglio per loro che si sono risparmiati quella pessima lingua che oggi circola in città, senza origini e senza personalità. Se ci fossero ancora potrei farmi rivelare che cosa voglia dire l'espressione del titolo: vado a cacà di renza. La prima parte è chiarissima e dimostra l'impellenza di un bisogno fisologico. Ma perché di "renza", cioè di lato? Me la sono spiegata in tanti modi, del tipo mi nascondo,  cerco di non farmi scorgere. Ma resta un mistero e chissà che non sia meglio così.