lunedì 21 maggio 2012

tifosi onesti

Diciamola tutta: che cosa c'è di meglio che la passione? Tutti quelli che hanno provato lo sperdimento della ragione per un sentimento, per un'idea, per un progetto, mi comprenderanno. E' bello lasciarsi andare, perdere i contatti con la razionalità e tornare allo stato primordiale dell'istinto. E' una pausa dai momenti della responsabilità, della coscienza. E la vita vale la pena di essere vissuta proprio per questi lampi che si aprono nella normalità della vita di tutti i giorni, allontanando anche se per un poco ansie e pensieri tetri. 
Chi ha vissuto come me una gioventù ispirata dalle le passioni della politica, mi capirà. Ancora oggi, a distanza di oltre quarant'anni, rivedo alcuni dei compagni di viaggio di quei momenti per noi epici. La nostra meravigliosa incoscienza ci portava a credere fermamente anche negli spropositi che gridavamo come slogan e che animavano i nostri giorni e le nostre notti. Notti di occupazione all'università, di paure e di piccoli eroismi. Ma anche di innamoramenti repentini o di odii improvvisi. Di famiglie che rompevano e che minacciavano misure draconiane. Di amici che non condividevano e ti facevano sentire isolato come i giorni dei "filoni" a scuola. Ma c'era tutto, specialmente l'entusiasmo degli anni verdissimi ed il passaggio pieno di incognite ad una vita adulta.
E così mitizzavamo i nostri leader studenteschi che ai nostri occhi  sembravano coraggiosi, lucidi e decisi.  Le stesse tensioni emotive che riservavamo ai campioni dello sport. C'era, è vero, una non trascurabile corrente di pensiero giovanile che ci ricordava che anche quelle erano figure borghesi, da cui prendere le distanze, ma alla fine la passione per i colori della squadra o per l'atleta del cuore avevano il sopravvento.
Poi insieme agli anni sono caduti molti veli del  mondo dello sport. Lasciando trasparire la trama sempre più scadente e compromessa di quel mondo. Figure di mercenari pronti a comprare e vendere tutto, marchettisti un tanto a parola, falsi profeti che curano esclusivamente i propri interessi. Insomma un mondaccio fatto di uomini indegni di ricevere tributi di passioni e di entusiasmi della gente normale. Che va a lavorare in condizioni impossibili per tirare avanti. Che sopporta l'indicibile dai vari "caporali" che incontra. E che al momento opportuno vorrebbe credere almeno in qualcosa.
Con il tempo ho accettato l'idea che una partita di calcio è soltanto uno spettacolo. Se accetto di vederlo non devo farmi tante domande, ma solo godere del bel gesto tecnico o della coralità di una manovra. Senza chiedere di più. Gli uomini bandiera? Scomparsi. L'amore per una maglia? Solo a condizione di essere lautamente compensati. Ed insieme a tutto questo incontri venduti, giocatori disposti a tutto. Un minuetto cadenzato dal ritmo del denaro, scandito da enormi interessi in ballo.
E con questo, nel mio caso, è finito il tifo. Anche quando la mia squadra vince, resto a farmi tante domande. Ed a chiedermi se è giusto che ancora tanta gente si getti nelle strade a gioire e sia disposta a fare sacrifici per dare lauto alimento ad un mondo fatto di sfruttatori e mercenari.
Scusatemi, ma io mi riprendo la mia libertà di fregarmene.