giovedì 8 maggio 2014

generazione "bella cosa"

Chi sia nato nel primo dopoguerra, come il vostro etrusco, ha avuto un "filotto" di elementi positivi. Intanto si è risparmiato la diretta percezione degli orrori di una guerra e i momenti di paura che hanno punteggiato, spesso condizionandola, la vita delle generazioni precedenti. Col passare del tempo, al momento della sistemazione lavorativa i nati post 45 si sono trovati a poter addirittura scegliere se andare in una direzione piuttosto che nell'altra, tanto ampia era la richiesta  del mercato del lavoro.
Un rapporto di lavoro con connotati di stabilità e garanzie sindacali che è stato,  quasi senza eccezioni, fonte di aspettativa per  miglioramenti e  incrementi  nel tenore di vita. Alcuni di noi hanno potuto anche usufruire di un trattamento di pensione  in età di piena validità fisica, riuscendo a godersi prolungati periodi di non lavoro.
Che cosa avremmo potuto sperare di meglio? Pacatamente considerando, abbiamo avuto tutto quello che era possibile e questo mi porta ad avere stridenti dissensi con i coetanei che si lamentano. Di che cosa poi? Certo vorremmo nascere tutti sani, belli, ricchissimi, pieni di capacità e di talenti, con una salute da sfondare il muro dei cento anni. Ma pare non sia possibile.
Ricordo a questi eterni scontenti che noi siamo quelli della generazione "bella cosa". O almeno così  dicevano a noi le mamme e le nonne che ci crescevano al sud del Garigliano.
Era la promessa di una piccola sorpresa, un regalino di valore contenuto. A fronte dell'impegno ad  un buon comportamento in particolari situazioni, ovvero di piccoli servizi che svolgevamo per le nostre famiglie. Già la bella cosa! Si poteva trattare di un gelato portato a casa in una coppetta, di tre caramelle colorate, di una bustina di figurine dei calciatori o delle fiabe a seconda del sesso, una serie di biglie di vetro colorato.
Le mie "belle cose" provenivano tutte dalla mia nonna Ida, figura che accarezzo con tenerezza di pensiero. Lei era la padrona di casa in senso tecnico e doveva provvedere alle incombenze connesse. Aveva poco aiuto dalla figlia, mia madre, figura decisamente non "vocata" alle necessità domestiche e piuttosto tendente ad avvalersi del lavoro degli altri, nessuno escluso.
Così i nipotini, mia sorella, io, ed eventualmente i cugini presenti venivamo assoldati dalla nonna per piccole incombenze: pulire il riso, sbucciare piselli, fagioli e fagiolini, spezzare la pasta lunga, andare dal salumiere o fruttaiolo  a ritirare pacchetti. Il tutto nella cucina di casa sotto lo sguardo attento ma anche molto affettuoso della nonna, che accompagnava questa piccola equipe di lavoratori con racconti, "cuntarielli" veri o inventati per l'occasione per tenere alto il morale della truppa.
In cambio avremmo avuto "la bella cosa" ed una carezza. Che potevamo volere di più?
 

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