giovedì 1 maggio 2014

la cultura del sospetto

Le recenti polemiche che vedono per protagonisti, da un lato la madre di Federico Aldrovandi e dall'altro il sindacato di polizia, contengono i germi del  profondo malessere che pervade l'intero Paese. Difficile anche per l'opinione pubblica assumere una posizione che non sia soltanto l'immediato ed istintivo riflesso di quello che si pensa debba essere uno Stato. 
Spirito di democrazia e senso rigoroso dell'ordine si fronteggiano con asprezza, pretendendo un'impossibile giudizio da soggetti che non siano stati testimoni oculari delle vicende. E anche ipotizzando una nostra presenza fisica nei luoghi dove i fatti si svolgono potremmo non essere in possesso di tutti gli elementi utili di valutazione. 
E poiché non si può pretendere l'impossibile, fermiamoci a considerazioni minime. Provando ad augurarci dal profondo del cuore che il   senso della legalità sia principio ispiratore di chi si trova a scegliere, per vocazione o necessità, la delicatissima funzione di agente di pubblica sicurezza o carabiniere. Certamente si tratta di compito ingrato, che comporta anche funzioni di ordine pubblico o di polizia giudiziaria, a fronte di una paga da sopravvivenza e di duri e sacrificati turni orari. Il timore è che la più che comprensibile insoddisfazione di ordine lavorativo induca soggetti giovani ad esasperare  atteggiamenti autoritari e violenti, che niente hanno a che fare con il rispetto delle regole democratiche a loro affidato.
Questo grave dubbio è figlio della storia di questa terra che non riesce a fare davvero i conti con le proprie contraddizioni. E' la diretta conseguenza di quel retaggio di posizioni di privilegio e di frainteso senso dell'autorità che ha prodotto regimi dittatoriali ufficiali o ufficiosi, imposti con la forza o sostenuti dalla connivenza dei poteri forti.
Se dalla asserita liberazione dal regime fascista si fossero effettivamente  affermati nella coscienza comune quei criteri di democrazia sostanziale che la costituzione intenderebbe vedere attuati, non ci sarebbe più bisogno di dubitare del comportamento di celerini in piazza o di agenti che conducano un interrogatorio di un soggetto fermato.  Saremmo tutti sereni di fronte al comportamento delle forze dell'ordine. Senza sostegni opportunistici all'una o all'altra posizione da parte di finti politici.
Ed è a questa utopia che dedico il pensiero di questo 1 maggio, giornata consacrata ad un'altra utopica aspirazione verso un lavoro che sia condizione indispensabile di dignità e decoro personali.