lunedì 28 dicembre 2009

gens napoletana


Avevo una diecina di anni e rientravamo a Napoli, dopo alcuni anni trascorsi tra Bella e Santa Maria Capua Vetere. Era il 1956 e Napoli era in piena ricostruzione. Ancora presenti le villette del Vomero e di San Martino. Tutto un profumo di agrumi e fiori alle pareti. Il distacco dal giardino di Santa Maria era stato pesante, ancora conservo il ricordo della frutta presa con le mani, dal sapore irripetibile. Ma intanto eravamo a Napoli e i genitori si sforzavano a dirci che tutto era meglio e che quella dove abitavamo finalmente era una casa nostra. I primi contatti con i giovani del quartiere, alcuni feroci, ma sostanzialmente tutti bravi ragazzi. Il pallone come stella cometa e le strade libere, i cortili pure, fino allo strillo della signora di turno che ci cacciava avviando il nostro tour intorno al caseggiato. A fine giornata pochi gol, ma tanti spostamenti in tanti improvvisati campi. Poi gli anni del ginnasio e del liceo, nei quali incominciavano i primi approcci con la vita sociale. Sempre più spesso mi chiedevano: ma tu chi conosci? Sulle prime sembrava una domanda bizzarra. Io conoscevo me stesso e quei pochi intorno. In fondo i miei avevano trascorso anni fuori Napoli ed in più avevano una scarsa vocazione per le relazioni sociali. Ad un certo punto quella strana domanda la posi a me stesso. Ma io chi conosco? Dovetti gioco forza inventarmi qualche amicizia. Magari leggendo sui "mosconi" i nomi dei ragazzi che frequentavano zone più chic e che facevano parte della borghesia cittadina. A conoscerli, tramite un compagno di scuola con ambizioni mondane, erano una delusione. Ma che ci vuoi fare, ero a Napoli e quello sarebbe stato il mio ambiente. Dove ero già discriminato, per le scarne conoscenze e perché ero vestito senza il tocco del pullover di Marino o le scarpe di Vellotti. Un provinciale, insomma, tornato in città ma sempre di secondo piano. Nel corso degli anni ho incontrato molti di quei ragazzi e di quelle ragazze. Il mio sconfortato giudizio di allora veniva rafforzato dalla pochezza delle persone adulte di oggi. Qualcuno aveva fatto anche strada, ma l'atteggiamento e l'apertura mentale restavano gli stessi. Piccoli, modesti, con velleità da star e spesso con possibilità da morti di fame. Poche le persone incontrate che avessero prospettive o desideri degni di nota. Napolicchio, con sempre meno cuore e con l'egoismo in espansione.

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