venerdì 22 febbraio 2008

io, eduardo de filippo


Rappresentare l’uomo Eduardo, a margine del suo lavoro di attore, nei momenti del dopo spettacolo e nelle pause delle prove. Questa l’idea creativa che ha animato Bruno Colella, autore, regista ed anche interprete dello spettacolo “Io, Eduardo de Filippo” in scena dal 6 al 10 febbraio al Teatro Acacia. Proposito complesso, specialmente a Napoli, dove il desiderio di affermare il “mito” eduardiano secondo i più triti schemi dell’aneddotica è tentazione diffusa e difficile da scongiurare. La piece è animata, per converso, dal “sottoconversare” dell’Attore negli spazi privati, tra poesie e ricette di cucina, fino a sfociare in libere ricostruzioni quasi paradossali dei personaggi di contorno. Così in scena diventa “carattere” il segretario della compagnia, Argenio, personaggio apparentemente mite, al quale Eduardo indirizzava gli strali del suo cinismo non sempre bonario, ma pur sempre ispirato dal rifiuto della volgarità e dell’imbecillità. Spettacolo veloce, denso di contrasti, a tratti schizofrenico che coinvolge attori con registri teatrali diversi, tutti a misurarsi con le derive surreali volute dalla regia, circondati da una scenografia futurista di significativo impatto che richiama il novecento, epoca nella quale si sono raccolti i frammenti rappresentati. Bene Colella, convincente nei tempi e nelle cadenze sceniche del Maestro, sia pur rifacendosi ad interpretazioni già viste; brava Gea Martire, a pieno agio nell'occupare spazi gestiti mediante una consapevole sapienza attoriale; interessante, pur mancando spunti di ispirazione assoluta, la colonna sonora di Eugenio Bennato che ha dato musica ad alcune poesie eduardiane. Coraggiosi gli altri interpreti, impegnati a marciare su terreni scarsamente battuti: Sebastiano Somma, che appare peraltro coinvolto nell’idea teatrale di fondo, non può sfoggiare la sua ben riconosciuta presenza scenica e resta quasi intimidito dall’atmosfera soffusa e dal silenzio di molti momenti. Anche l’interpretazione di Tosca d’Aquino fa percepire il disagio della mancanza sulla scena di situazioni “solari”. Così la simpatica attrice cerca tra le sue corde i registri della macchiettistica che la hanno reso nota al pubblico, con impennate non tutte in linea con lo spirito onirico e psicologicamente complesso immaginato dal regista ed autore Colella. Poco da dire sulla prova incolore di Marco Tornese, mentre le doti vocali di Nicola Vorelli stentano ad imporsi, senza riuscire a convincere più di tanto. Il numeroso pubblico dell’Acacia ha reagito bene, con una presenza attenta ed interessata, sottolineando con applausi anche di incoraggiamento gli sforzi obiettivamente profusi da tutti i protagonisti. Discordi invece i commenti dei critici teatrali dei mezzi maggiori di informazione: ad un convinto riconoscimento della validità dell’idea e della opportunità dell’iniziativa fa riscontro una stroncatura abbastanza severa che, alla luce delle argomentazioni portate, non sembra del tutto serena.

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