venerdì 13 luglio 2012

ma tu non sei un vincente..

Il solco generazionale tra i nati nel dopoguerra e quelli degli anni '70 è rappresentato sostanzialmente da una parola: "vincente". Noi figli del primo dopoguerra abbiamo imparato a declinare una diversa sintassi. Nel periodo di ricostruzione c'era bisogno di tutto e di tutti. Soprattutto era necessario che lo spirito di solidarietà prevalesse sui principi individualistici. Lo sforzo collettivo era il solo che potesse consentire la ripresa di un Paese piagato dai disastri che avevano lasciato le bombe, dall'indigenza e dall'ignoranza. Quel senso di obbligata cooperazione non tardò a dare frutti positivi, fino alla grande illusione di essere diventati davvero una potenza economica. 
Qualche anno in bilico e poi a perdifiato verso la direzione indicata in malafede dai peggiori cattivi maestri: il riflusso nel privato. Significava in parole povere l'abbandono di quella atmosfera di condivisione di valori umani interpersonali per "rifugiarsi" nell'ambito più o meno ristretto della sfera personale. Farsi furbi, pensare al proprio particolare, irridere chi resisteva sul fronte solidale. Coniare addirittura il lessico valido nel periodo: "protagonista", "emergente", "pesce pilota", "vincente" ed il terribile contrario "perdente". Tutti termini che stavano ad indicare quale fosse la deriva della società nazionale nel dare risalto alle vere o presunte doti individuali che servivano per staccare una trincea tra i soggetti. Da un lato chi ce la faceva, a qualsiasi costo o prezzo, turandosi il naso o seguendo inclinazione naturale. Dall'altra, nell'inferno dei perdenti, quelli che vedevano nello sgomitare scorretto il tradimento dei principi che avevano ispirato intere generazioni e che avevano portato a conquiste sociali a suon di leggi di autentico respiro democratico. 
Quelle parole e le idee connesse servivano di fatto a dare una spallata esiziale al timido tentativo di stato sociale che si era venuto faticosamente formando dopo il '45.
Concetti mutuati da un mondo, quello di cultura statunitense, dove il valore di un individuo è esclusivamente legato a quanto lo stesso riesce a realizzare in termini di beni materiali e di apparente benessere. Alla formazione di questo clima di sottocultura contribuiva la straordinaria forza comunicativa dei nuovi mezzi audiovisivi. Trasmettere per anni insulse serie di fiction rendeva alla fine i fruitori inconsapevoli portatori di scale valoriali inconsistenti. Capaci di tutto pur di sentirsi protagonisti nell'irrinunciabile "quarto d'ora di notorietà". Un concetto che ha ispirato e continuerà ad animare tutti i serial killers e che nasconde tutta la solitudine e l'inconsistenza di una intera società.
Chi non avrà i propri quindici minuti di celebrità è un perdente, etichetta peggiore di iettatore o di sfigato, ma con lembi sovrapponibili a questi ultimi.
Insomma, una vera soddisfazione! Capita così di parlare con giovani che non capiscono altro che il tentativo di affermazione personale, prescindendo da qualsiasi tentativo di articolare un pensiero e quindi un giudizio sulla propria posizione, tenendo conto delle diverse opinioni. Li sentirai dire che sono giovani, che non vogliono regole, che sono interessati soltanto dalla propria soddisfazione di bisogni. Democrazia, condivisione, trasparenza rispetto della diversità. Ma di che parlate? Ci interessa un passaggio televisivo nel programma delle signore che si insultano o un provino per "il grande fratello". Andate a ramengo voi, il '68, le assemblee, la partecipazione e le altre macerie della vostra epoca!

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