giovedì 27 settembre 2012

che meraviglia di squallor

Al PAN di Napoli ieri sera, 26 settembre, presentazione del documentario di Michele Rossi dedicato agli Squallor. Gruppo musicale, potremmo dire semplicisticamente, in attività dal 1972 ed il 1994, che nel periodo pubblicò 15 LP, dai titoli più suggestivi: "Palle", "Tromba", Arrapaho" "Vacca" e peggio discorrendo.
Ma cavandomela così ometterei di ricordare quanto gli Squallor rappresentarono per la cultura del periodo. Dissacratori, provocatori, capaci di prendere per il culo tutti, senza farsi contagiare nemmeno un poco dal successo, sotterraneo e diffuso, riportato dai quattro amici. Divertendosi tra di loro, senza pretendere di fare operazioni artistico/culturali, i quattro amici lanciarono fendenti sanguinosi al comune senso del sentire, attraverso le parole apparentemente stralunate delle loro canzoni. Ma che colpivano nel segno, centrando bersagli da sempre protetti, chiesa, poteri forti, stilisti, industriali, establishment della musica  e dell'arte. Furono di conseguenza emarginati dai canali ufficiali di comunicazione - in sostanza dalla RAI, monopolista del periodo - ma circolarono in modo travolgente attraverso il passaparola, attraversando la società senza eccezioni. Dai coatti delle periferie più abbandonate fino alle massime emergenze accademiche, tutti conoscevano almeno una canzone degli Squallor. Cassette pirata o nastri copiati, ma loro c'erano nelle case degli italiani. A ricordare che una cattiva parola detta bene, al momento giusto, vale molto più di un testo noioso di sociologia destinato a pochi "bramini" del sapere. Testi abbozzati e poi sviluppati nel corso delle incisioni. Senza sapere né come né quando la canzone sarebbe finita, al punto che spesso si sentiva il vocione di Alfredo Cerruti che tuonava: "ma sta cazza e base nun finisce mai?"
Perché non hanno continuato, nonostante il riconosciutissimo successo? Un destino oscuro ha eliminato tre dei quattro componenti, scomparsi prematuramente. Resta solo Cerruti che più alternativo di così non si può,  rimasto a fare la caricatura a se stesso ed alla sua immagine di vitellone anni '60.
E il pubblico del PAN composto da giovani, dai loro genitori e qualche critico ha tributato un consenso unanime all'operazione del regista. Rispettosa della verità. Niente di più, niente di meno. Non invasiva delle vite private dei quattro artisti. Con commenti, quasi tutti giusti. A partire da quelli dell'unico erede del gruppo. Quel Gianfranco Marziano che sembra un gaglioffo di periferia, ma da artista vero e pieno di contenuti, esprime meglio di ogni altro che cosa intendessero rappresentare i mitici Squallor. Un tentativo non retorico di dare la sveglia alle coscienze addormentate, adagiate nel conformismo. Di dire con volgarità  paradossali quello che il resto della società non riesce a concepire o ad esprimere con parole alate. Grazie amici!

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