lunedì 22 ottobre 2012

Serve ancora votare?

Secondo i risultati di un recente sondaggio gli italiani vorrebbero un governo espresso dalla maggioranza che emergerà dalle prossime elezioni, a condizione che a guidarlo ci sia il prof. Monti. "Il dilemma della democrazia rappresentativa, scrive Ilvo Diamanti su "Repubblica" è tutto qui. se il voto non serve a scegliere chi governa attraverso i rappresentanti eletti, a che serve votare?"
Dilemma nemmeno tanto paradossale e neppure inedito. Per quasi cinquant'anni, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, l'assetto dei poteri internazionali ha di fatto impedito una vera alternanza, per la presenza in Italia del maggior partito comunista della sfera "occidentale". Giorgio Galli, a questo proposito, parlava di "bipartitismo imperfetto" perché doveva governare o la DC con coalizioni gradite agli USA oppure da sola. Al PCI, forte di milioni di consensi, spettava di guidare l'opposizione, avendo un proprio peso in molte   scelte. Questo fino al 1989, cioè  al momento dello storico crollo del muro di Berlino. Pur consapevoli dell'impossibilità di mutare questo assetto deciso altrove, gli italiani hanno continuato a votare, con percentuali alle urne vicine al 90%, tasso di partecipazione tra i più alti del mondo occidentale. Il voto era pro o contro la DC, talvolta sfiancata dagli alleati di coalizione che si chiamarono PLI, PSDI, PSI, PRI, e sullo sfondo la Chiesa e la sua influenza.
Nella seconda Repubblica questo modello sembrava tramontato. Ma non è stato così davvero, perché a ravvivare i fantasmi del comunismo ci ha pensato il nano di Arcore. E' cominciata così la stagione di anticomunisti contro antiberlusconiani, veri e propri referendum sulla fiducia che gli italiani riponevano su questo leader venuto dal niente. Mentre i votanti erano indotti a scegliere nomi voluti dai partiti e dai loro leader.
Fino ai giorni nostri, in cui nessun partito appare davvero credibile. In parte per la disinvolta disonestà che ha percorso trasversalmente tutti gli schieramenti, ma anche per il consolidarsi di queste scelte sul premier.
Oggi la partecipazione elettorale appare separata da quella del premier. Gli italiani o parte di essi vogliono ancora votare, ma a guidare il governo pretendono ci sia un tecnico, perché hanno imparato a non fidarsi dei partiti. Si vota cioè non per impostazione ideologica, ma pro o contro i partiti.
Lo suggerisce il successo travolgente del movimento 5 stelle che raccoglie tutti gli umori dell'antipartito e sostiene un concetto del tutto nuovo, la democrazia diretta attraverso la rete.
Mentre si dilata dismisura l'area degli incerti, che avvicina il 50% degli aventi diritto.
Una nuova stagione si profila: quella della dissoluzione dei partiti come li conoscevamo un tempo e resta una prospettiva inquietante Che un premier come Monti governi da solo in mezzo a tutti e contro tutti.





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