mercoledì 24 ottobre 2012

Baroni tanti, signori pochi

Per fortuna c'è ancora chi ci ricorda le cose come stanno davvero. Ancora una volta la rubrica quotidiana L'amaca di Repubblica, curata da Michele Serra, in poche righe riesce a fare la sintesi di troppi e spropositati commenti sulla "querelle" tra don Patriciello e il prefetto De Martino. Sentite:

Il prefetto di Napoli è stato subissato da una tale quantità di critiche e sberleffi (meritati) che si esita a infierire.
Ma c'è un punto, potentemente politico, che merita una ulteriore  riflessione. Il prefetto non sa che "signore" (e ovviamente "signora") è molto più di prefetto, eccellenza, commendatore, cavaliere, dottore. Più di signore - che vuol dire Sire ed è il titolo onorifico di Dio - non esiste nulla. E mano a mano che un appellativo così assoluto diventa appellativo di tutti, finalmente ciascuno diventa signore di se stesso: è la democrazia.
Il prefetto De Martino ha parlato nel nome di quell'inguaribile notabilato meridionale - e più in generale di quella inguaribile piccola borghesia italiana - che vive di titoli, onorificenze, diplomi da appendere dietro la scrivania, perché non è mai stata contagiata dal virus liberatorio della con-concittadinanza. Quel virus che la Rivoluzione Francese tentò di esportare quasi ovunque, nel nostro povero Sud morì infilzato sui forconi della Santa Fede, ferale alleanza tra plebi servili e baronie neghittose, con la benedizione del papato. Le conseguenze le paghiamo ancora: abbiamo molti parrucconi, pochissimi signori.