Per fortuna c'è ancora chi ci ricorda le cose come stanno davvero. Ancora una volta la rubrica quotidiana L'amaca di Repubblica, curata da Michele Serra, in poche righe riesce a fare la sintesi di troppi e spropositati commenti sulla "querelle" tra don Patriciello e il prefetto De Martino. Sentite:
Il prefetto di Napoli è stato subissato da una tale quantità di critiche e sberleffi (meritati) che si esita a infierire.
Ma c'è un punto, potentemente politico, che merita una ulteriore riflessione. Il prefetto non sa che "signore" (e ovviamente "signora") è molto più di prefetto, eccellenza, commendatore, cavaliere, dottore. Più di signore - che vuol dire Sire ed è il titolo onorifico di Dio - non esiste nulla. E mano a mano che un appellativo così assoluto diventa appellativo di tutti, finalmente ciascuno diventa signore di se stesso: è la democrazia.
Il prefetto De Martino ha parlato nel nome di quell'inguaribile notabilato meridionale - e più in generale di quella inguaribile piccola borghesia italiana - che vive di titoli, onorificenze, diplomi da appendere dietro la scrivania, perché non è mai stata contagiata dal virus liberatorio della con-concittadinanza. Quel virus che la Rivoluzione Francese tentò di esportare quasi ovunque, nel nostro povero Sud morì infilzato sui forconi della Santa Fede, ferale alleanza tra plebi servili e baronie neghittose, con la benedizione del papato. Le conseguenze le paghiamo ancora: abbiamo molti parrucconi, pochissimi signori.