lunedì 15 luglio 2013

Il cavalier Mennona

Il testo che riproduco è un  libero adattamento di un brano scritto da mio nonno, Angelo Gallo, che  racconta del suo debutto in magistratura presso il Tribunale di Firenze. Sono consapevole di aver fatto violenza al testo originale, assai più incisivo. Ma lo stesso era pieno di riferimenti familiari che ho preferito evitare.
 
Avevo da poco compiuto i ventuno anni. Quasi tutti spesi a studiare in modo forsennato, pur di levarmi da quella cloaca di seminario dove ero stato costretto a studiare. Non c'è da sorprendersi e non dimenticare che parliamo dell'ottocento, anche se alla fine. Nell'Italia appena unificata le poche scuole pubbliche importanti erano nelle grandi città. Nella zona dove vivevo non c'era altro che il seminario di Muro Lucano e così fui costretto a studiare con una zimarra addosso per cinque anni di ginnasio e liceo classico. Tappe bruciate, a diciassette anni ero diplomato, a ventuno laureato in legge. Primo concorso in magistratura affrontato e vinto, freschissimo di buoni studi. Così  nel 1901 - non avevo compiuto ancora ventiquattro anni- mi presentai al Tribunale di Firenze con la mia faccia da ragazzino, appena irrigidita da un paio di baffi neri. In cancelleria ci volle mezza giornata a far accettare dal cavalier Mennona, dirigente di quell'ufficio, che quello sbarbato davanti a lui era il nuovo "uditore giudiziario" assegnato al "suo" Tribunale.
Guardava e riguardava il decreto regio di nomina, i miei documenti, poi mi scrutava per carpire  la benché minima esitazione che potesse svelare dove fosse l'inganno. Niente, era tutto maledettamente in ordine ed io lo guardavo con lo stesso rassegnato sguardo di sopportazione che avevo riservato per tanti anni agli squallidi preti del seminario. E per allentare l'atmosfera tesa mi permisi una osservazione sul decoro di quel palazzo giudiziario. Mennona sembrò indispettito dal commento. Come mi permettevo giudizi sul suo palazzo? Ma chi credevo di essere, il presidente della Corte d'Appello?
Gelidamente commentò che rientrava tra le sue responsabilità quella della cura degli ambienti. Senza altre aggiunte o concessioni di confidenza al presuntuoso che aveva di fronte.
Da quando mi ero presentato al suo sguardo il cavaliere non faceva altro che pensare a suo figlio, che all'età di trentotto anni, laureato da dieci, non era ancora riuscito a vincere quel concorso, pur avendoci provato tre volte. L'esito dell'ultimo tentativo era ancora sconosciuto, ma il padre assicurava di essersi  mosso per tempo presso gli amici del Ministero che gli avevano promesso un consistente sostegno.
E voleva pure vedere che gli negassero questo favore! Lui, dirigente di cancelleria da ventitré anni, burocrate di livello superiore, che aveva cominciato come aiuto messo notificatore dei Regi Ufficiali giudiziari.
Ma guardate un poco, pensava, un terroncello di nemmeno ventiquattro anni, che gli si presentava davanti e poteva persino dargli ordini. E poi, quell'aria sorniona da sfottitore.
Io chiesi se fosse tutto in ordine e se potevo incontrare il giudice anziano al quale ero stato assegnato come uditore. Mennona capì che quello era l'ultimo lembo di potere che potesse esercitare su di me. E fece seguito con una grave faccia di circostanza. ". Per il Giudice dovrà attendere perché è impegnatissimo". Intanto se vuole le presento il personale subalterno. Mi segua, così potranno conoscerla tutti. Introdotto dal cavaliere con faccia da quaresima conobbi tutti gli uscieri e cancellieri del Tribunale. Un giro che non finiva mai, ma che mi dette il modo di capire come fosse grande quel palazzo e quanta gente ci lavorasse all'interno.
Dopo la cavalcata per le scale fui presentato al Presidente del Tribunale ed a tutti i giudici presenti. Da quei contatti ricevetti  sensazioni alternate di parrucconi sussiegosi e di tanta gente in gamba. Mi colpì più di tutti, e fu l'inizio di una lunga amicizia, un giovane giudice di Grosseto. Parlava chiaro e non era abituato a giri di parole nel definire le persone. Se "era un bischero" potevi metterci la mano sopra e se era uno giusto altrettanto.
Faceva quasi il verso al becero vociare di Mennona, omarino conosciuto per la sua meschinità, invidioso e borioso per quanto possibile. "Il figlio" aggiungeva "un coglione autentico che intanto riesce a vivere perché il padre è capace di procurargli incarichi in qualche causa minore. Diversamente sarebbe davanti ad una chiesa per quanto  poco ne sa di legge e di processi.
Davanti a te stava per schiantarsi per la bile. Un giovincello del sud più remoto che riesce a vincere il concorso al primo tentativo? Ti avrà attribuito legami con belzebù, altrimenti come avresti potuto fare a  riuscire nell'impresa?"
Fu comunque un bel periodo. Trovai casa sulle colline di San Miniato, nello stesso caseggiato dove abitava il collega di Grosseto. E tra pandette e scartoffie alternate alle giovanili passioni per donne e divertimenti vari, trascorsi il periodo più spensierato della mia vita. E aggiungo che me lo meritavo per davvero. Dopo tanti anni di sacrifici e di rinunce.