mercoledì 27 aprile 2011

la coscienza per rinunciare al papato



Ho visto Habemus Papam di Moretti. Film di presentazione gradevole, apparentemente di facile lettura, ma di contenuto che a me è apparso profondissimo. Opera uscita quasi in silenzio, visto il tema che, secondo i benpensanti, andrebbe contro il "radicato senso religioso degli italiani". I quali, cattolicissimi come sono, mal sopportano l'idea di un papa che invece di affermare stantie certezze tralaticie, si fa cogliere dal dubbio, autentica forza degli uomini. Si, proprio il "prescelto da Dio", magari individuato attraverso l'interposizione di nevrotici principi della chiesa raccolti in conclave. E lui, il nuovo Cristo, invece di godere della designazione, si impunta come un cavallo davanti ad un ostacolo che in quel momento gli sembra insormontabile. E al momento del bagno di folla sul balcone vaticano fugge. In mezzo alla gente, inseguendo il sogno di fare l'attore, aspirazione mai potuta realizzare. E prima della fuga compare anche il Nanni Moretti, in versione psicanalista, che autocelebrandosi come il migliore della professione, dimostra anche lui, rinomato professore, come solo rifugiandosi nell'entusiasmo dei giochi infantili si riesca a recuperare quella spontaneità umana che ci aiuta a vivere ed a superare le crisi esistenziali.



Non voglio rivelare altri particolari. Il film merita di essere visto e meditato, nonostante, come dicevo, la furbesca presentazione da lavoro agile: Ma che, aben vedere, rivela trama assai spessa.



Ed il regista, anche lui, nonostante i girotondi e le pubbliche uscite, iscritto al grande partito dei "cerchiobottisti", ha sottoposto al vaglio preliminare delle gerachie teologiche vaticane la sceneggiatura. Non si mai! e poi, anche la produzione - presenti tutti gli investitori istituzionali - avrà avuto il suo peso in questa scelta di esame preliminare. Parigi, val bene una messa, ha detto saggiamente qualcuno tempo addietro.



Nello sviluppo, qualche barocchismo morettiano nell'indugiare in modo eccessivo sui cardinali che giocano. Certo, serve a rivelarne la natura fragile, terrena anche la loro. Serve a suggerire a tutti, persino al regista, che prendersi troppo sul serio è umano, ma comunque pericoloso. Che coltivare i dubbi senza vergognarsene ed accettare le debolezze personali traendone spunto per la riflessione rende significativa un'esperienza di vita.