mercoledì 3 febbraio 2010

arbeit macht frei


>> Se se ne parla qualche giorno dopo il 27 gennaio, è per più di una
>> ragione. Da una parte, è difficile scrivere a freddo, dopo essere
>> stati in un lager. Secondo, perché bisognerebbe parlarne tutto l’anno.
>> Altro che giorno: la Memoria andrebbe conservata ogni istante.
>> La Provincia di Napoli ha varato, da alcuni anni a questa parte, un
>> progetto per i licei. L’iniziativa consiste nel portare i migliori
>> allievi di ogni classe in visita ai campi di sterminio di Auschwitz,
>> in Polonia, in occasione delle celebrazioni legate al Giorno della
>> Memoria. Assieme alle delegazioni di molti paesi venuti ad omaggiare i
>> morti nei campi di sterminio e a rifiutare (“Mai più” è lo slogan
>> permanente) la barbarie, anche i giovani napoletani hanno avuto la
>> possibilità di guardare da vicino la più ributtante impresa umana di
>> tutti i tempi. “Il più grande omicidio di massa perpretato dall’uomo”,
>> si legge su una lapide. Auschwitz, Birkenau, gli inferni dai nomi così
>> sinistri sono ancora là, in quella landa remota a pochi passi da
>> Cracovia. E la prima sorpresa, come dice il giovane Salvatore
>> dell’Istituto Galileo Ferraris, è che “sono posti in una terra
>> bellissima. Fredda, desolata, ma dal fascino molto potente. Assurdo
>> pensare a tante atrocità in questo paradiso di sole e neve”. Un
>> conflitto aperto è l'eredità più cruda del Male.
>>
>> La giornata del 27 è divisa in due fasi: la mattinata è destinata alla
>> visita ad Auschwitz 1, dove i prigionieri andavano a lavorare e
>> venivano “accolti” dai loro perversi ospiti dai terminal della
>> ferrovia che finiva nei presi della scritta “Arbeit match frei”. Con
>> la B capovolta dal fabbro ebreo che la realizzò in segno di protesta.
>> Si entra nelle camerate dove i reclusi dormivano a gruppi anche di 12
>> in due lettini, si osserva con raccapriccio la zona latrine. E si
>> resta sgomenti davanti alle migliaia di foto appese alle pareti.
>> Uomini, donne, bambini con occhi sbarrati che guardano dritto alle
>> coscienze con una spaventosa attualità. E in pigiama a strisce. Unico
>> indumento loro consentito, col gelo o i 40 gradi all’ombra d’estate.
>> Le date di ingresso e morte, poste con zelo dai tedeschi in calce alla
>> diapositiva, parlano chiaro: pochi, specie d’inverno, sopravvivevano
>> più di due giorni. Sfilano immagini e molti quadri dipinti nel
>> dopoguerra. Ce n’è uno incredibile: ritrae il ritorno dal lavoro, con
>> una banda costretta a suonare marcette allegre tra gli schiamazzi di
>> SS e kapò. Le guide raccontano che all’inizio i nazisti simulavano
>> buone maniere: raccomandando a tutti di segnare nome e data di nascita
>> sulle valigie. Indicavano poi le camere, e la vacanza nell’incubo
>> poteva cominciare. Quello che segna maggiormente i ragazzi, e che
>> ritornerà nei discorsi della sera, sono “i capelli. Non ci credevo,
>> sono rimasta per un tempo che non saprei calcolare davanti a tutte
>> quelle ciocche. Un orrore”, confessa Ilaria, diciassettenne del liceo
>> scientifico di Sant’antimo. Si riferisce alle molte montagne di chiome
>> che i nazisti strappavano a morti e morituri, per ricavarne stuoie e
>> tessuti. Insieme alle colline di scarpe e spazzole, inserite con
>> drammatica ma efficace scelta dagli allestitori tra le teche del
>> Museo-Lager, costituiscono i reparti più parlanti. O urlanti.
>>
>> Nel pomeriggio la comitiva di professori, alunni, politici e
>> giornalisti si trasferisce a Birkenau, Auschwitz 2. Il luogo delle
>> camere a gas, il regno di Zyklon B. Le torrette di guardia, il filo
>> spinato, la precisione geometrica dei capannoni dell’enorme campo (17
>> volte più grande del primo) lascia senza fiato. E anche qui la rabbia
>> più forte la suscita l'intimità. I bagni. Squallidi buchi in fila, con
>> sotto gabbie di metallo che impedivano ai prigionieri di nascondersi
>> tra i propri escrementi. Immagine mortifera solo lievemente attutita
>> dallo sciamare di bambini di tutto il mondo, pellegrini della
>> religione civile della memoria. Chi si aspettava la Mejdugorie degli
>> ebrei, con speculazioni di turismo e marketing, ne rimane deluso. Non
>> una bancarella né un chiosco, nessuno approfitta del Male per tirarci
>> su qualche soldo. A dirla con la Arendt, sarebbe stato banale. Giusto
>> dei gazebo muniti di stufa per la distribuzione gratuita di the caldo
>> che riscalda gli avventori. Il freddo ruggisce, siamo a -25. Ma c’è
>> tanta gente. Lasciano corone di fiori, stendardi. E non si capisce da
>> dove vengano né importa: Primo Levi scrisse: “da qualunque paese tu
>> venga, qui non sei un estraneo”.
>>
>> Giovanni Chianelli

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