domenica 17 ottobre 2010

C'è tunnel e tunnel

L'esperienza dei minatori cileni ci insegna una serie di cose. Anzitutto che è possibile affrontare con serietà una grave emergenza che vede in pericolo tante vite umane. E che quello è un Paese che merita in blocco elogi per l'approccio umano al problema. Chi è rimasto dentro è diventato una sola squadra con chi lavorava per liberarli. Senza strombazzamenti di miracolosi interventi del governo, come sarebbe successo dalle parti nostre.
Tra cainano e Bertolacchio ci avrebbero fatto due campagne elettorali di fila, senza smettere di occupare le telecamere anche durante le inevitabili sedute di massaggi del capo della protezionecivile.
Niente di tutto questo. Notizie all'esterno, ma dosate come la situazione meritava. Cioè con rispetto per chi stava dentro a penare, delle famiglie, delle squadre di soccorso. E finalmente immagini liberatorie di uomini che avevano affrontato il buio e le incognite di tanti disperati giorni in segregazione.
Tra loro un ex calciatore, che a suo tempo aveva fatto parte della nazionale cilena. Particolare non indifferente. Vi immaginate un nostro ex azzurro che, appese le scarpe alla parete, non diventi opinionista, manager, allenatore, guru, procuratore, ruffiano, commentatore televisivo, talent scout, dirigente federale? Io non ne ho conoscenza.
In Cile le cose, tutte, anche quelle economiche, devono andare diversamente. Il buon Lobos, una volta lasciate le luci dei riflettori del calcio si deve essere trovato a fronteggiare i problemi reali della vita. Tanto da accettare un lavoro usurante, pericoloso e di estremo sacrificio.
Dovrebbe insegnare qualcosa ai tanti sbarbati che guadagnano l'impensabile grazie a qualche buona pedata. Ma per diffondere questo come altri messaggi virtuosi ci vorrebbe un potere politico capace di mostrarsi come esempio di condotte civili.
Ho detto troppo? Si, avete ragione, rischio di essere retorico. Tra poco anch'io imboccherò le orme gloriose del dio, patria e famiglia e sarà la fine!

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