venerdì 23 luglio 2010

il piacere di non rispondere

Da quando nasciamo c'è sempre qualcuno che pretende di insegnarci qualche cosa. Ed è pure necessario imparare alcuni rudimenti di base che ci accompagneranno nel corso della vita. Poi, crescendo, entriamo nelle svariate quasi inevitabili gabbie, tipo scuola, università - per chi ha avuto quest'esperienza -, servizio militare ('?), poi il posto di lavoro ed i vari contesti di tipo associativo nei quali ci imbattiamo. Ma per apprendere e diventare "istruiti" e "disciplinati", dobbiamo metabolizzare un pregiudiziale obbligo: quello della risposta. C'è un tale, maschio o femmina, dietro un banco, una scrivania o altro simbolo del potere che ci interroga. E noi, un po' angosciati e timorosi, dobbiamo fornire risposte. Ma non risposte qualsiasi, bensì quelle che nei vari camminamenti sono "obbligatorie", quelle che fanno di noi personcine inquadrate. Guai a discostarsi, perché in quel caso immediatamente viene diffusa di noi una immagine: quello è strano, "diverso" nelle varie accezioni, non sembra proprio la giusta proiezione del cittadino modello cui il potere deve aspirare. Per poter riprodursi e continuare in eterno. Simile a se stesso, sai pure con abiti e qualche dettaglio differente.

Sin da giovane ho dato segni evidenti di una palese insofferenza alle regole scritte da altri, quei vari libri sacri che spesso non condividevo e che mi sembravano una grande fregatura, spesso un affronto alla semplice logica. Mi è capitato così di suscitare varie forme di reazione, subdola ovvero violenta, a questa impensabile ed improponibile voglia di pensare con la mia testa. Magari pessima, ma in ogni caso mia. La repressione giungeva nelle varie forme: con un pretesto amoroso una fanciulla borghese mi staccò dalla amata musica degli anni giovanili, forse realizzando anche uno scopo sociale lodevole, perché riconosco di essere stato sempre una mezza frana musicale. Ma fu pur sempre una dolorosa rinuncia. Poi tentarono, riuscendoci apparentemente, di inquadrarmi in una organizzazione di lavoro tra le meno creative di quelle disponibili. Ci provarono anche con le marce e i discorsi allucinanti sulla patria (?), poi con le varie gabbie di una vita borghese. Ed io, miseramente, continuavo a fornire risposte. Non esattamente quelle che gli interlocutori pretendevano, ma comunque erano rinunce a me stesso, con rappresentazioni persino grevi di un altro da me. Un altro che ha dovuto affrontare anni di autogiudizio severo e di interni conflitti prima di potersi liberare.

Poi, finalmente, anche se tardivo, è arrivato il mio 25 aprile. Alla mia età, purtroppo non più verde, ho deciso di non rispondere a quelli che si aspettano da me certe risposte preconfezionate o che in modo oltraggioso credono di potermi continuare ad insegnare il mondo e la vita attingendo ai loro libri.

Semplicemente non rispondo. Mi sono infatti convinto che una risposta darebbe una indiretta dignità ad interlocutori che per l'assoluta mancanza di sensibilità e di rispetto dimostrano di non meritare interlocuzione.
Ed il criterio discriminante della improprietà della domanda l'ho individuato nel tempo e vi assicuro che funziona: "farei mai una domanda del genere a qualcuno?" Se al quesito rispondo di no vuol dire che chi chiede sta andano oltre quei precisi limiti che intendo consentire agli altri

La vecchiaia deve avere pure aspetti positivi o è solo una straordinaria fregatura?

3 commenti:

Sara ha detto...

Libertas, quae sera tamen respexit...

etrusco ha detto...

Sara ti ringrazio per l'attenzione. dal 24 al 31 luglio sarò all'Elba, grosso modo dalle tue parti.
E' sempre un piacere avere contatti con te. Seguo il tuo blog e talvolta sarei tentato da un commento. Ci penserò. Ciao e buone vacanze ovvero goditi il posto bello dove sei. Ciao Etrusco

Sara ha detto...

Uhm! vacanza immagino bellissima! io invece devo aspettare settembre, anzi fine agosto. E dunque lavoro sempre!