giovedì 16 dicembre 2010

i ruoli grandi, gli uomini piccoli

Qualche tempo fa fui avvicinato da un ragazzo del mio paese. Con grande garbo e altrettanto pudore, questo giovane, che non conoscevo direttamente, mi parlò di un caso giudiziario nel quale si era trovato coinvolto. Una leggerezza da ragazzi, con possibili ripercussioni sul suo futuro di studente universitario vicino alla laurea. Ebbi un'ottima impressione dell'interlocutore che sembrava vivamente colpito dalla vicenda, specie per le conseguenze sulla sua famiglia, contadini laboriosi che lo mantenevano agli studi. Dentro di me pensai automaticamente a che cosa avrei fatto se il caso avesse riguardato mio figlio. A quel punto un'ispirazione: mi sarei rivolto all'amico magistrato che occupa un importante ruolo per chiedergli un consiglio sul comportamento migliore da suggerire al giovanotto. Tornato a casa lo rintracciai, chiedendogli un appuntamento in ufficio viste le sue ristrettezze di tempi. Spiegai a questo signore la questione, aiutandomi con un documento per evitare di dire fesserie sullo stato del procedimento. Le vicende penali mi sono sostanzialmente estranee e nutrivo il timore di riferire cose inesatte. Lesse e si fece spiegare il tutto, rilevò il nome del magistrato che aveva il caso, uno dei molti che da lui dipendevano. A questo punto ebbe una specie di impennata deontologica, tentando di farmi una morale sulla improprietà delle mie richieste, rivolte a chi aveva un alto magistero da tutelare nel superiore interesse della giustizia, dei cittadini e della società, profondamente lesa dal reato contestato, il possesso di ben 2 grammi di hashish.
Mi resi conto in quel momento di quanto fossi stato leggero a rivolgermi ad un soggetto del genere. Da giovane era un mezzo sfigato, sfottuto da chi lo conosceva per la sua misura umana non proprio eccelsa e per la corrispondente apertura mentale. Superato il concorso in magistratura dopo qualche tentativo, aveva intrapreso una pervicace e fruttuosa opera di diffusione della sua immagine, quasi sempre in contesti che non avevano nulla a che fare con il lavoro. In ogni caso, meriti o demeriti, aveva ottenuto riconoscimenti anche grazie un'accortissima vita di relazione, a vari sgomitamenti e ad una disinvolta attitudine a cambiare casacca e padrini. In quel momento, in quella stanza occupata da oggetti impropri, che non sembrava un ufficio di un palazzo di giustizia, ma soltanto una fisica testimonianza della vanità e dell'autocelebrazione dell'occupante, io persi l'occasione per dirgli che da uno come lui non potevo aver alcun tipo di lezione morale. Invece, colto da una profonda rabbia riferita a me stesso ed alla mia leggerezza, restai quasi muto a farmi fare una specie di predicozzo da quel furbastro che mi parlava, ex catedra.
Per fortuna, il mio giovane conoscente è stato completamente tirato fuori dalla vicenda che non avrà conseguenze, quantomeno sulle sue speranze. Restano le mie amarissime considerazioni sugli uomini e sulle loro miserie e sulla mia profonda ingenuità.

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