mercoledì 21 dicembre 2011


Ho avuto per molti anni una certa
familiarità con un signore che aveva
venti anni più di me. Il motivo dei nostri incontri era la comune passione per
il tennis che ci conduceva nel medesimo circolo. Signore austero, sorridente per generico principio di convinta
civiltà, mai però indulgente o muto di
fronte ai nuovi barbari ed alle loro stupefacenti manifestazioni di idiozia. Nel tempo, ma senza fretta, mi accorsi
che mi accordava una cauta confidenza, con aperture minime, quasi sempre
conseguenti a partaccioni che mi infliggeva come compagno di doppio. Sermoni
attraverso i quali cercava, con successi minimi, di insegnarmi come muovermi in
modo positivo o almeno di fare i minori danni possibili. Ricordo quasi tutte le
sue parole: “ non guardare indietro
quando passa la palla, gioca deciso, se necessario tira addosso all’uomo a
rete, se il servizio non ti riesce gioca una prima palla piazzata, entra quando
devi entrare e non ti nascondere, mai
una smorzata se non nascosta o assolutamente necessaria, il pallonetto sul lato
del rovescio dell’avversario”.
Questo compagno di gioco non c’è più, ma il ricordo più intenso di lui risale a quando
avevo compiuto da poco 45 anni e per il primo anno potevo difendere i colori
del nostro circolo nel torneo a squadre per tennisti over 45. Fu proprio lui, che da sempre giocava
con ottimi risultati tra i veterani, a scegliermi come partner di doppio. Quel
giorno viaggiavamo insieme alla volta di
una località del beneventano, sede della partita, io alla guida e lui assorto nei suoi pensieri.
Poi ruppe il silenzio: “Ho notato che ti
piacciono due delle nostre consocie”. Un’affermazione che mi parve un
fulmine a ciel sereno, venendo da un uomo riservato ed un filo burbero come il
mio compagno di viaggio. La mia faccia interrogativa gli suggerì di continuare.
“Le signore non è che valgano granché,
però hanno un loro fascino discreto che le riabilita esteticamente, fino a
farle diventare appetibili. Ho notato, si..” “Non pensavo si notasse poi
tanto” fu la mia imbarazzata replica. “ A me
è parso così. Spero che tu mi creda,
ma io ho avuto una fortuna persino sfacciata con le dame” aggiunse con una
punta di compiacimento che non mi sfuggì “e ancora godo delle grazie di due signore,
che mi fanno dono della loro affettuosa dolcezza. E questa amorevolezza
compensa gli impacci dell’età, miei e loro..”
Davanti a queste spontanee confidenze rimasi senza parola, sapendo in particolare quanto
lui fosse geloso della sua vita privata, circondata da una specie di mistero
nel pettegolissimo nostro circolo del tennis. “So benissimo di essere un uomo di banale presenza estetica –
continuò – ma sapessi quale importanza ha
avuto per me sapere usare bene le parole. Si, proprio le parole. Me ne accorsi
le prime volte parlando al telefono con donne sconosciute. Erano occasioni di
lavoro, niente di intrigante. Ma in moltissime di queste circostanze mi
accorgevo di aver fatto colpo e di aver lasciato un segno. Il suono della mia
voce? L’atteggiamento misuratamente cordiale? Un tono particolare che inserivo
inconsapevolmente? Fatto sta che, talvolta senza un motivo preciso, le
interlocutrici si materializzavano. Con un pretesto o magari per semplice ventura me le trovavo
davanti. E l’impatto per loro non era sempre confortante perché l’uomo dalla
voce flautata doveva apparire loro in tutta la sua dimensione anonima. Un
contrasto probabilmente stridente tra realtà e quanto avevano immaginato. Ma,
appena si sviluppava il colloquio sentivo in molti casi queste signore
“accogliermi” sempre di più, fino a diventare allusive. A quel punto, ero io a
decidere se valesse la pena approfondire la conoscenza o lasciare tutto in
sospeso. E aggiungo che la stessa cosa mi succedeva quando avviavo una
corrispondenza con una donna. Una frase, un aggettivo che avvolgeva, un inciso
significativo o un avverbio appropriato e si scatenava una reazione di empatia
che spesso trovava sbocco in rapporti personali. Ho avuto solo una fortunaccia
o l’uso della parola è la chiave per aprire un mondo di nuove emozioni?
Non chiedeva una risposta, un
uomo come lui se l’era già data. Ma non avrebbe mai arrogantemente preteso di
imporre la sua soluzione. Intanto eravamo arrivati sul posto dell’incontro e io
maledivo la fine del percorso, sapendo che sarebbe stato difficilissimo
riprendere quel genere di dialogo. La sua riservatezza quel giorno aveva aperto
uno squarcio improvviso, difficilmente ripetibile. Però ci ho pensato tanto e tento di recuperare così quella memoria per me
preziosa.

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