mercoledì 5 giugno 2013

incredibile, ma vero

Chi conosce il vecchio etrusco sa della lunga passione tennistica. E che di passione si tratti, nel senso etimologico di patire qualcosa, non vi è dubbio dopo quasi 50 anni di tentativi. In alcuni momenti giovanili più fruttuosi, con medio/piccole soddisfazioni di vittorie o piazzamenti in  tornei di livello basso; o riconoscimenti da parte di intenditori della nobile arte che si manifesta con la racchetta. Che resta arte, ma è anche dolorosa matrigna per chi trascuri la condizione fisica o si lascia andare a qualche pur legittimo godimento.Nel mezzo secolo di terra rossa ingoiata - e non solo, perché la polvere c'è anche sull'erba o sui campi in materiale sintetico - ho praticato gente di diversa impostazione mentale, ma quasi tutti convinti di saper giocare e di essere abili. Tutto legittimo, specialmente per chi sa quanta fatica comporta riuscire a ributtare con continuità una pallina dall'altra parte. Partiamo dal fatto che è sport asimmetrico, visto che dalla pancia materna usciamo senza quella protuberanza di una sessantina di centimetri detta racchetta. E aggiungo che è difficile riuscire a respingere con un minimo di armonia fisica la palla dall'altra parte, a meno di non sottoporsi allo stress di ripetute e costose lezioni di maestri. All'epoca dei miei esordi, contrastato in famiglia su tutto quanto non fosse applicazione agli studi, ho tentato di imparare da solo, guardando ed osservando con estrema attenzione i movimenti dei bravi ed in qualche occasione dei campioni. Questo tentativo di imitazione riuscì nel tempo a produrre modesti risultati, consentendomi di imparare un discreto rovescio e  poco più, visto che il dritto, colpo apparentemente più semplice, è stato e resta la mia croce. Negli anni ho strappato qualche nozione di gioco a volo, praticando più il doppio che il singolare.
Ora capita che a sessantacinque anni suonati, mi iscrivo ad un torneo veterani del  Gran Prix, ospitato  dal mio circolo. Dentro di me ho pensato: questi sono tutti tennisti allenati ed esperti. Male che vada mi farò una partita con qualcuno bravo.
Senza classifica, parto dal primo gradino del tabellone e mi capita al primo turno un signore taciturno, accreditato di ottime recenti prestazioni. Appena in gioco, vado sotto due a zero, poi prendo a giocare in maniera più attenta e vinco 6/2 il primo set, nonostante un personal coach del mio avversario ed un paio di amici dello stesso che facevano il tifo per lui. Anche il secondo set scorre facile, 5/0, poi gli faccio fare un game anche per allentare la mia ansia di vittoria.
Ma il bello è arrivato con il secondo turno dove gioco con un simpatico amico, classificate, udite, 4/3. Per chi non sia pratico indico che una classifica del genere proviene da numerose e continue vittorie con classificati.
Scendiamo in campo e mi rendo conto che il mio avversario, abile ed accorto, non ha però colpi a chiudere straordinari. Nemmeno io, intendiamoci bene, ma mi resta qualche reminiscenza dei tempi in cui correvo davvero. E così con applicazione ci provo, perdendo il primo set 6/4, ma rendendomi anche conto di un'impresa possibile, nonostante le qualità di chi sta dall'altra parte della rete.
Lunghissimo secondo set nel quale riesco ad andare 5/2 in mio favore. Ma il coraggio dove sta? Smarrito per strada, se mi faccio rimontare, inanellando una serie di errori con colpi inguardabili. Tie break e sento qualcuno da fuori che mi dice di fare il mio gioco. Chissà che cosa intende. Io ci provo ed attacco con maggiore continuità e conquisto il secondo set.
Sorpresa! il giudice arbitro mi informa che  per i vecchietti over 65 il terzo set è sostituito da un tie break lungo a 10.
Mi frego le mani, pensando: meno male almeno finiamo prima del coccolone in campo, quasi certo dopo due ore e dieci di gioco.
E così nel tie break finale, dopo essere stato sotto 5/2, riesco a battere in un modo meno indegno ed a fare i punti necessari con qualche discesa a rete. Vittoria.
Increduli i non pochi spettatori, sportivissimo il mio avversario che si complimenta. Io, quasi ai limiti della coscienza,
incasso questa grande soddisfazione. Il prossimo avversario, classificato 4/2, quindi ancora un gradino più in alto, pare sia ingiocabile.
Che vi devo dire? Io, con tutto il rispetto che merita l'impegno, ci proverò. A questo punto l'adrenalina prodotta mi fa quasi volare e chissà che non riesca a compensare i miei tanti difetti tennistici.. 

1 commento:

vicario ha detto...

È la forza di volontà che fa l'uomo grande o piccolo...