sabato 16 novembre 2013

Per scriver d'altro

Al vostro etrusco come a voi tutti non mancano le occasioni di particolare dispiacere. Vuoi per la vita sempre più difficile che affrontiamo, vuoi per gli anni che ci lasciano margini di tolleranza che vanno progressivamente a restringersi.
Uno dei vantaggi di avere un blog consiste nel potersi sfogare, magari non direttamente sull'argomento che ci affligge, quasi sempre di natura personale, ma divagando amenamente su varia umanità e cappellini delle signore.
Argomento quest'ultimo legato, quanto ad imprevedibilità, all'andamento meteorologico, come sostiene un impeccabile aforisma inglese.
Mi chiedevo stamattina se esista un equivalente di "guardone", riferito a chi usi l'udito in luogo della vista.  Si chiamerà "orecchione"? Temo di no, altrimenti da Latina in giù avrebbe fama di diversità sessuale. Allora "sentone" che è meno attraente, ma rende il significato.
Ho avuto la ventura di frequentare un tale, in ambiente lavorativo, fesso come pochi, che per comunicare al mondo quanto non gli sfuggisse nulla, usava il modo di dire: tengo orecchio a terra. E con le mani accartocciava l'organo interessato, quasi a sottolineare l'intensità dei suoi controlli. 
Sono lieto di non aver più occasioni di incontrare questo sedicente spione, che tra l'altro, raccoglieva gossip aziendali di profilo minore, incapace di inquadrare e sondare questioni reali.
La radio, in particolare radio due, e' la fedele compagna di molti miei momenti. Quando lavoro, ho il sottofondo del suono di una antica radio. Così sto diventando un gran "sentone" e certe volte mi chiedo a quante parole effettive si sia ridotta la lingua italiana corrente. Un numero intorno al cento. Non di più! Troppa gente ripete sempre le stesse parole e l'ambito si restringe sempre di più, lasciandoci intravedere un futuro prossimo con un contesto lessicale composto da qualche decina di parole note a tutti. Chi ha seguito i recenti tests di accesso alle facoltà universitarie a numero chiuso ha scoperto con raccapriccio che i nostri giovani ignorano il significato di parole invece ben noto  a soggetti di una  precedente generazione di diversa formazione.
Mi dite chi oggi, descrivendo se stesso o un altro, non abusi dell'aggettivo "solare"? 
E che vuol dire? Indica chi abbia rapporti con il sole? Oppure che illumina gli altri con la sua luce interna? Che si abbronza tanto? Nelle intenzioni di chi fornisce la definizione dovrebbe descrivere un soggetto che non sia ombroso, quindi incline ad annuvolarsi e rabbuiarsi per ogni contrarietà, che sia trasparente nei comportamenti e di pensiero positivo. Quanti solari conoscete? Io mica tanti.
E poi c'è l'abuso di emozioni ed emozionarsi.
Mandrie di scrittori, musicisti, registi ed attori, di ogni ordine e livello descrivono la propria ispirazione come legata ad un'emozione, ovvero le produzioni destinate a creare emozioni nel pubblico.
Ma ci sono soltanto le emozioni? ovvero si può suscitare curiosità, desiderio di conoscenza, apprezzamento, estasi, senso di umanità. E un'idea artistica può nascere da tanti diversi stati d'animo, quali dolore, piacere, sogno, indignazione, imitazione di un modello e tanto ancora che non dirò.
C'è dietro questo impoverimento del linguaggio l'idea imperialista di stampo nordamericano di omologare tutti ad un linguaggio povero, privo di intuizioni e di retroterra culturali. Un enorme gregge di consumatori e di poco pensanti che si lascino chetamente condurre dove vogliono i conducenti. Meditiamo, finché siamo in tempo.