sabato 25 gennaio 2014

un libro certo, ma che ne valga la pena

Anche sul nostro molto frequentato FB compare un monito,  spesso sotto forma di domanda: "il migliore amico dell'uomo? un libro".
Concordo in pieno e con gli anni ho tentato di sconfiggere quella giovanile pigrizia che per un po' di tempo aveva limitato le mie conoscenze letterarie. Da studente ero un silenzioso contestatore delle molte letture inutili alle quali ci costringevano. Classici veri o presunti, imposti alle nostre febbrili impazienze per costruire il cittadino modello che nel futuro avrebbe dovuto dare buona mostra di allineamento.
Poi, conquistata la necessaria autonomia di pensiero, ho attraversato periodi di innamoramenti esclusivi per autori  di varie nazioni. Ora sono praticamente onnivoro, specie da quando un giovane della mia famiglia ha cominciato a suggerirmi titoli e nomi sconosciuti. Qualche piacevole sorpresa, numerose delusioni, spesso sfociate in contestazioni vivaci con il mio mentore per  alcune opere che a me sono apparse completamente inutili. Da un lato spunti interessanti e prosa modestissima; dall'altro, gradevoli ghirigori formali per trame insignificanti.
Per Natale ho avuto la mia strenna letteraria abbastanza ampia, già quasi esaurita. Anche grazie a questi giorni uggiosi che ti fanno tanto desiderare un angolo caldo con la compagnia di un libro e la distrazione del gatto di casa.
Così ho affrontato un paio di testi di autore del quale ho letto quasi tutto. Le opere iniziali mi lasciavano un piacevole sapore: una bella scrittura, la ricerca attenta verso luoghi o atmosfere anche di tempi passati, una buona capacità di attrarre il lettore.
Ma, come sempre c'è un ma..che nel nostro caso è rappresentato dal fisiologico sviluppo dell'attività dell'autore. Per effetto dei discreti livelli di vendite, quell'iniziale  laboratorio artigianale dell'autore si è trasformato in una "fabbrichetta,  anche in conseguenza del cambio di editore. E così la produzione è diventata seriale, annacquata, stiracchiata al massimo per coprire i "sedicesimi" di libro che l'editore richiede. Descrizioni infinite, pretese analisi introspettive che non approdano da nessuna parte, trame tenui e senza colore con esiti di totale prevedibilità.
Per contratto, tre o quattro libri ogni anno. Presentazioni in ogni dove, massiccia immissione sui media per lo scrittore che è stato fagocitato nel meccanismo produttivo. Libri che diventano come "cinepanettoni", sfornati in  particolari occasioni per approfittare dei regali di Natale.
 Così va il mondo, mi direte. E non posso che darvi ragione. Ma resta ugualmente l'amaro in bocca per l'ennesimo imborghesimento dell'estro.

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